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Il realismo magico di Graciela Iturbide

Graciela Iturbide swissinfo.ch

Il Fotomuseum di Winterthur propone il meglio delle immagini che Graciela Iturbide, la più importante fotografa messicana contemporanea, ha realizzato negli ultimi 40 anni.

Dentro un corpo esile e discreto, gli occhi scuri di Graciela Iturbide sono come due perle luminose e vive che guardano il mondo con movimenti leggeri, spostandosi su persone e cose con una dolcezza e una disponibilità che incanta.

Basta sollevare lo sguardo verso le pareti dove sono esposte le sue bellissime foto in bianco e nero per comprendere che questo atteggiamento rispettoso e gentile ma insieme profondo e indagatore è lo stesso che l’artista destina anche al suo lavoro.

«Per me la fotografia è un pretesto per conoscere la mia e le altre culture e più in generale per conoscere la vita» ci dice sorridendo Graciela. «È il mio modo di vedere il mondo, ciò che mi sorprende e ciò che incontro quando cammino nella vita.»

Cariche di mistero e di una forza mitica le sue immagini magico-realistiche sono capaci di cogliere sia nel rituale dei gesti quotidiani, che nei paesaggi e negli oggetti la dimensione poetica e simbolica dell’umano.

Tra documento e poesia

A rendere famosa la fotografia di Graciela Iturbide sono stati i lavori realizzati alla fine degli anni ‘70 durante i soggiorni tra le popolazioni indigene messicane, nei quali la fotografa è riuscita a cogliere in modo magistrale lo specifico di quelle realtà e il loro legame profondo con la natura e il rituale.

La mostra si apre con una delle foto più celebri di questa serie, La donna angelo (1979), scattata tra gli indiani zapotechi nel deserto di Sonora. Quest’immagine, dove una donna presa di spalle avanza nel deserto con una radio in mano, non è solo un documento antropologico ma è diventata anche il simbolo della tensione tra due culture.

Nella stessa sala sono esposte le foto che raccontano l’esperienza della Iturbide con le donne di Juchitán tra il 1979 e il 1986. Forti, autonome e politicizzate le donne di questa cittadina dell’Oaxaca, acquistano grazie all’obiettivo di Graciela un carattere mitico. Come nel caso della Signora degli iguana (1979), il cui gesto consueto di portare sul capo i prodotti da vendere al mercato, si traduce in una statuaria Gorgone.

Altri confini

È stato proprio per rispondere al fascino verso le manifestazioni generate dall’incontro tra culture o realtà diverse che Graziela ha iniziato a viaggiare anche in altre parti del mondo tra cui Argentina, India, Stati Uniti e Italia.

Le immagini scattate durante alcuni di questi viaggi, a Winterthur sono raccolte nella sezione «altri confini» e insieme a realtà culturali diverse mostrano anche una svolta nel lavoro della Iturbide. Gli esseri umani, sempre al centro della sua fotografia cominciano infatti a rarefarsi per lasciare il posto a paesaggi ed oggetti.

«Ho sempre lavorato con la gente, ho vissuto con loro e quando mi sono trovata a fotografare negli Stati Uniti, casualmente ho incontrato la solitudine. Nelle strade degli Stati Uniti non c’è gente come nelle strade del Messico e lì ho preso coscienza del paesaggio», ci spiega la fotografa.

«Così a poco a poco ho cominciato a cambiare e anche se continuo a fotografare gente, preferisco nutrirmi della sensazione di stare nella terra, con la pietra, gli oggetti, elementi che comunque in qualche modo rappresentano anche l’essere umano».

Verso una fotografia contemplativa

Come dimostrano le immagini raccolte intorno alle sezioni intitolate, «giardino botanico», «paesaggi e oggetti» o «il bagno di Frida», alla fine degli anni ‘90 la figura umana scompare per lasciare il posto a paesaggi dal sapore surreale e metafisico.

Nei giardini botanici di Oaxaca (Messico, 1998-2002) e di Lucknow (India, 1999) la natura è sempre colta nel suo incontro con la cultura ma qui sembra che la fotografa voglia anche confrontarsi con un sentimento di solitudine, di assenza e nostalgia.

Mentre è più probabilmente l’incontro tra una realtà di isolamento e insieme di libertà ad averla ispirata a scattare Cani persi (India, 1998), la foto che riprende il portamento statuario di 4 cani in una landa del Rajasthan sui quali si librano uccelli in volo.

L’universo del dolore

Dietro la serie dedicata al bagno di Frida – il bagno di Casa Azul, l’abitazione privata dell’artista messicana rimasto chiuso per più di 50 anni-, la messa in scena dell’universo del dolore di Frida Khalo serve, come ci spiega la fotografa, a dare ancora più luce all’intima passione che la mitizzata pittrice aveva per la vita.

«Quando entrai per la prima volta nel bagno, fu un’esperienza molto forte vedere la protesi, il corsetto e tutti gli oggetti del dolore di Frida Khalo. Chiesi il permesso di poter interpretare quello che avevo visto e fotografare solo gli oggetti che avevano a che fare con il dolore di Frida.»

«Io non sono ‘fridomane’ – perché ora in Messico è santa Frida -, ma ammiro molto questa donna che nonostante il suo dolore ha seguito con disciplina questo amore per la sua arte».

Gli insegnamenti del maestro

Sebbene Gaciela Iturbide abbia individuato ben presto uno stile personale ed autonomo, dietro alle sue atmosfere sospese, alla resa dell’universale nel particolare, alla ricerca di accostamenti che hanno del magico, è impossibile non pensare al primo grande fotografo messicano, Manuel Álvarez Bravo di cui fu allieva e poi anche assistente.

«Credo che sia un obbligo per un fotografo tagliare il cordone ombelicale e trovare il proprio linguaggio. Ma per me Alvares Bravo non è stato solamente un insegnante ma un maestro di vita. Un essere umano poetico, rispettoso e silenzioso che mi ha insegnato ad avere un’altra visione dell’esistenza», confessa la fotografa.

Paola Beltrame, swissinfo.ch, Winterthur

Ultima di 13 figli, Graciela Iturbide nasce a Città del Messico nel 1942. A 20 anni sposa Manuel Rocha Diaz con cui ha 3 figli.

Nel 1969 inizia a studiare cinema al Centro di Studi Cinematografici di Città del Messico ma nel 1970, dopo la morte della figlia di 6 anni, trova nella semplicità e autonomia del medium fotografico un rifugio al suo dolore.

Allieva e poi assistente del fotografo messicano Manuel Alvarez Bravo, è in quegli anni che sviluppa un interesse particolare per le scene e i rituali di morte degli indigeni del Messico.

Feste e rituali tradizionali diventano i temi dei suoi primi lavori. Nel 1979 viaggia prima nel deserto di Sonora e poi a Juchitán dove realizza le immagini che la renderanno famosa.

Nel 1982 i suoi lavori attraversano l’Atlantico e vengono esposti al Centro Pompidou di Parigi e al Museo d’Arte Contemporanea di Madrid. Nel 1987 anche il Museo Cantonale d’Arte di Losanna le dedica una mostra.

Alla fine degli anni ‘90 si apre a nuovi paesi e temi sviluppando una fotografia più contemplativa. Ottiene numerosi premi e riconoscimenti tra cui nel 2008 il prestigioso Hasselblad Award, ritenuto il nobel per la fotografia.

Vive e lavora a Città del Messico nella circoscrizione di Coyoacán.

L’esposizione «Graciela Iturbide – L’occhio interno» rimarrà aperta al Fotomuseum di Winterthur fino al 7 febbraio 2010. La mostra è realizzata in collaborazione con l’Istituto di Cultura della Fondazione Mapfre di Madrid, dove è stata precedentemente presentata.

Suddivisa in sezioni tematiche, l’esposizione propone ca.180 fotografie in bianco e nero rappresentative dei lavori realizzati dalla fotografa nel corso degli ultimi 40 anni. Dai famosi lavori del 1979 sugli indigeni messicani, alle recenti immagini di paesaggi del 2008. In una vetrina sono presentate anche le sue numerose pubblicazioni fotografiche.

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