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Impronte svizzere in Asia centrale

Da un decennio, la Svizzera collabora con l'Asia centrale sulla lunga strada verso la transizione swissinfo.ch

Helvetistan. Ecco come viene definito il gruppo di paesi rappresentato dalla Svizzera presso le istituzioni di Bretton Woods.

Da ormai un decennio, la Confederazione promuove tutta una serie di progetti per facilitare la transizione di questi paesi verso l’economia di mercato.

Il destino di diverse repubbliche dell’Asia centrale è strettamente legato alla Svizzera dall’inizio degli anni 90.

Da allora si parla di Helvetistan. Un termine dedicato ai paesi guidati da Berna in seno alla Banca mondiale (BM), al Fondo monetario internazionale (FMI) ed alla Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERS).

Ma la significativa definizione non ha niente a che vedere con il carattere montagnoso della regione.

L’impegno svizzero in questa parte del mondo risale al 1991, l’anno della dissoluzione dell’Unione sovietica. La Svizzera era alla ricerca di una via per accedere ai consigli d’amministrazione delle istituzioni di Bretton Woods.

“Quale piccolo paese, all’epoca la Svizzera si chiedeva se entrare a far parte di un gruppo di paesi già esistente oppure crearne uno proprio”, ricorda Bernhard Gasser del Segretariato di Stato dell’economia (Seco).

1992, l’anno della svolta

A quei tempi, gli equilibri geopolitici mondiali erano in completa trasformazione. Dopo la caduta della cortina di ferro (1989), una nuova Europa si stava formando. E, soprattutto, l’implosione dell’Unione sovietica poneva la parola fine a 40 anni di guerra fredda.

Per ragioni puramente egoistiche, le repubbliche dell’Asia centrale continuavano a pronunciarsi contro la dissoluzione dell’Unione. Il cui crollo, per loro, significava la fine dello sviluppo finanziato da Mosca da quasi 80 anni.

Abilmente consigliato, il ministro elvetico delle finanze di allora, il socialista Otto Stich, decise poi di provare a convincere le nuove repubbliche a farsi rappresentare dalla Svizzera presso la BM ed il FMI. Creando così un nuovo gruppo presieduto da Berna.

E nel 1992, composto da Uzbekistan, Kirghizstan, Tagikistan, Turkmenistan, Azerbaigian e Polonia, l’Helvetistan vide effettivamente la luce. La Svizzera s’impegnava così a sostenere questi paesi nel loro lungo cammino di transizione verso l’economia di mercato.

Necessità d’apprendere

“Le repubbliche dell’Asia centrale interessavano anche ad altri attori, ma la fiducia e la credibilità di cui gode la Svizzera hanno permesso di concludere l’affare”, rileva Denis Knobel della Direzione per lo sviluppo e la cooperazione (DSC).

Ma per poter esprimersi, ad esempio, in nome dell’Uzbekistan, la Svizzera si è trovata praticamente obbligata a conoscere nel dettaglio i suoi nuovi partner.

Un obiettivo che ha richiesto una concreta presenza nella regione. Ciò che spiega l’apertura di tre uffici di cooperazione a Bishkek (Kirghizstan), Dushambe (Tagiskistan) e Tashkent (Uzbekistan).

Attraverso Seco e DSC, la Svizzera ha da allora finanziato tutta una serie di progetti: promozione della democrazia o gestione dell’acqua; modernizzazione dell’agricoltura o aiuto alla creazione d’imprese.

Lungo, difficile percorso

Dieci anni dopo, Bernhard Gasser definisce i risultati mitigati: “Il processo di transizione necessità di molto più tempo rispetto a quel che credevamo. Non abbiamo ancora ottenuto dei veri successi in Asia centrale”, precisa l’interessato.

Il Kirghizstan gode di una certa stabilità macro-economica ma necessita di progressi a livello politico. Il Tagikistan, appena uscito da una guerra civile durata 5 anni, sta cercando la via della normalizzazione.

Turkmenistan ed Uzbekistan sono invece ancora caratterizzati da regimi piuttosto autoritari.

Ognuno dei paesi conserva la sua identità e dovrà sviluppare una propria soluzione per uscire dall’attuale fase di transizione. E le strutture esistenti, a volte, frenano il processo.

“Non possiamo nemmeno imporre loro una strada da seguire”, aggiunge Denis Knobel. L’entrata della Polonia nell’Unione europea nel 2004 dimostra che la transizione è possibile.

Ma, per quel che riguarda l’Helvetistan, il lungo cammino delle riforme non è ancora del tutto compiuto.

Identità svizzera

D’altro lato, i dieci anni di cooperazione hanno permesso alla Svizzera di dotarsi di un’identità forte in una regione del mondo che, all’origine, le era totalmente estranea.

“Grazie alla nostra presenza ed al nostro sostegno sul lungo termine, siamo riusciti a costruire con questi paesi delle relazioni permeate di vera fiducia. Ed i progetti svizzeri si distinguono nettamente da quelli di altri Stati”, rileva Denis Kobel.

Ma l’iniziativa, prima o poi, si troverà confrontata ad un importante interrogativo: ogni processo di transizione ha un inizio ed una fine.

L’assenza di risultati concreti nei prossimi dieci o quindici anni, rimetterebbe profondamente in questione la bontà stessa dell’approccio elvetico.

swissinfo, Jean-Didier Revoin
(traduzione, swissinfo, Marzio Pescia)

L’Helvetistan comprende Svizzera, Polonia, Serbia-Montenegro, Azerbaigian, Uzbekistan, Kirghizstan, Tagikistan e Turkmeni-stan;
Esiste dal 1992 nell’ambito delle istituzioni di Bretton Woods.

FMI e BM formano le istituzioni di Bretton Woods, create dopo la seconda guerra mondiale per finanziare lo sviluppo economico di paesi emergenti e sostenere i processi di transizione.

Contrariamente alle Nazioni Unite, che funzionano secondo il principio “uno Stato – un voto”, gli Stati che vogliono un seggio nei consigli d’amministrazione di FMI e BM devono rappresentare una certa quota del loro capitale.

Per farlo, molti piccoli paesi si alleano tra loro, disponendo così di un solo rappresentante che s’incarica di difendere gli interessi di tutti. Una soluzione che la Svizzera ha adottato sin dal 1992.

Ad un decennio dall’inizio dell’avventura, quattro giornalisti di swissinfo si sono recati in Asia centrale per visitare progetti svizzeri in due dei paesi partner della Confederazione: il Kirghizstan e l’Uzbekistan.

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