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In India per difendere la giustizia sociale

Susana Barria, ginevrina dal sangue cileno. swissinfo.ch

Susana Barria, svizzera di origini sudamericane, ha deciso di stare dalla parte dei più vulnerabili. In India si batte contro gli effetti negativi della globalizzazione e gli accordi di libero scambio. Come quello che stanno negoziando Berna e Nuova Delhi.

Occhi grandi e sorriso raggiante, Susana Barria ci accoglie nel suo ufficio di Nuova Delhi con la cordialità tipica dei latini. Nata e cresciuta a Ginevra, è figlia di un rifugiato politico cileno emigrato in Svizzera.

Il suo desiderio di battersi per i diritti dei più deboli l’ha condotta in India, dapprima a Mumbai e poi a Delhi. Dall’inizio del 2009 lavora presso Intercultural Resources, un’organizzazione non governativa (ong) indiana che punta sul dialogo e lo scambio per prevenire gli impatti sociali di ciò che definisce «lo sviluppo distruttivo».

«Facciamo parte del forum “against FTA” [contro i “Free trade agreement”, gli accordi di libero scambio, ndr], il quale riunisce le ong che affrontano le questioni di accesso ai medicinali, della biodiversità o della produzione agricola». Intercultural Resources, aggiunge, è l’ong che segue più da vicino i negoziati per un accordo di libero scambio tra l’India e l’AELS (Associazione europea di libero scambio, che riunisce Svizzera, Norvegia, Islanda e Liechtenstein).

swissinfo.ch: Come nasce il tuo spirito “no-global”?

Susana Barria: A Ginevra ho iniziato a lavorare presso un’associazione per la difesa dei diritti umani. Mi sono interessata alle conseguenze della liberalizzazione economica sui movimenti sociali.

Ho lavorato come interprete al Forum mondiale sociale del 2005 e ho effettuato uno stage in un’ong a Mumbai. Poi sono arrivata a Intercultural Resources siccome cercavano uno specialista di trattati di libero scambio.

swissinfo.ch: Quali aspetti dell’accordo di libero scambio tra l’India e l’AELS vi preoccupano maggiormente?

S. B.: Parecchi. Di sicuro l’accesso ai medicinali e la liberalizzazione del settore bancario. Un accordo metterebbe in pericolo la produzione locale di generici a basso costo. Consentirebbe inoltre alle banche straniere di esercitare in India senza sottostare a regole, contrariamente a quanto devono fare le banche locali.

La legge indiana stabilisce ad esempio che una parte del capitale delle banche locali deve essere investita nei settori vulnerabili, come nelle zone rurali. Nel quadro di un accordo di libero scambio, queste banche risulterebbero tuttavia penalizzate dalla presenza sul mercato di istituti stranieri “deregolarizzati”, più competitivi. Il rischio è che molte banche debbano chiudere e i più poveri non ricevano più crediti.

L’aspetto più inquietante concerne però la pesca, un tema su cui spinge la Norvegia. Le leggi indiane attuali limitano, almeno in parte, l’accesso alle imbarcazioni straniere. Le clausole dell’accordo di libero scambio annullerebbero tuttavia le regolamentazioni interne, compromettendo di fatto l’attività dei pescatori locali.

swissinfo.ch: In che modo?

S. B.: Norvegia e Giappone, che pure sta negoziando un trattato con l’India, hanno flotte e imbarcazioni molto grandi e moderne, che possono lavorare il pesce direttamente a bordo. Il pescato viene in seguito venduto ad altre compagnie.

Questa pratica si ripercuote non solo sui pescatori indiani, meno competitivi, ma su tutto il sistema di distribuzione del pesce. In molti stati indiani sono infatti le donne a vendere il pesce e ad occuparsi delle attività annesse a terra. Una lavorazione del pesce in mare escluderebbe però tutta la comunità femminile, peraltro già vulnerabile, togliendole l’unica attività redditizia.

swissinfo.ch: Gli interessi economici dei paesi europei sono chiari. Ma cosa guadagna l’India da un accordo sottoscritto con un mercato limitato come quello dell’AELS?

S. B.: L’India è interessata al settore dei servizi, ad esportare i suoi lavoratori. Ma sappiamo che la Svizzera non è molto aperta sulle questioni della migrazione.

I negoziatori ci hanno detto che ci sono soprattutto interessi geopolitici. Il fatto di essere vicini, di avere una relazione con l’AELS e l’UE, che pure sta negoziando con Nuova Delhi, è più importante delle ricadute economiche.

swissinfo.ch: La tua ong sembra bene informata. Quale rapporto c’è in India tra Stato e società civile?

S. B.: I negoziatori indiani parlano con la società civile. Su alcuni punti specifici degli accordi di libero scambio le ong hanno voce in capitolo. È già capitato di vedere il governo assumere una posizione che rifletteva quella della società civile.

swissinfo.ch: Ad esempio?

S. B.: Penso all’accordo negoziato tra India e Giappone: nel capitolo sulla proprietà intellettuale sono state tolte alcune clausole che solitamente fanno parte dei trattati conclusi tra il Giappone e altri paesi.

La pressione non è comunque venuta soltanto dalle ong. Anche le grandi ditte farmaceutiche produttrici di generici, che hanno i loro interessi da difendere, hanno probabilmente svolto un ruolo.

swissinfo.ch: Elencaci perlomeno qualche aspetto positivo degli accordi di libero scambio…

S. B.: Non ne vedo… Dipende dal punto di vista: per le grandi società indiane ci sono sicuramente dei vantaggi. Tuttavia, se si considera la prospettiva degli attori vulnerabili del settore economico, è difficile trovare dei punti positivi.

In India ci sono enormi disuguaglianze di base e i benefici non sono distribuiti tra i lavoratori. L’80% della popolazione ha pochissimo potere a livello economico.

swissinfo.ch: In generale, queste persone vivono meglio oggi o dieci anni fa?

S. B.: È una domanda difficile: meglio lavorare in campagna, come una volta, o nelle città inquinate e sovraffollate? L’India cresce a ritmi vertiginosi: uno sviluppo che però non ha migliorato le condizioni di vita dei più poveri. La malnutrizione, ad esempio, è sempre più diffusa.

L’India è il quarto partner commerciale della Svizzera in Asia.

L’Associazione europea di libero scambio (AELS, che riunisce Svizzera, Norvegia, Islanda e Liechtenstein) e l’India stanno negoziando un accordo di libero scambio dal 2008.

Il trattato mira a facilitare il commercio dei prodotti, soprattutto industriali, attraverso la soppressione dei dazi doganali e delle barriere tecniche all’esportazione (ad esempio le procedure burocratiche).

Berna è soprattutto intenzionata all’esportazione di prodotti chimici e farmaceutici, macchine e orologi; auspica inoltre un’apertura del settore finanziario nel campo della gestione patrimoniale.

Altri settori del mercato indiano che presentano un grande potenziale per l’economia elvetica sono: telecomunicazioni, assistenza medica, strumenti di precisione, industria agroalimentare, energie rinnovabili e infrastrutture.

Nuova Delhi insiste dal canto suo sulla liberalizzazione dei servizi e chiede una maggiore mobilità delle persone tra i due paesi.

Ad interessare le ditte indiane sono in particolare i settori dell’industria farmaceutica, delle biotecnologie e dell’informatica.

(fonti: Segreteria di Stato dell’economia, Camera di commercio Svizzera-India)

Il trattato di libero scambio è combattuto da diverse organizzazioni non governative svizzere, tra cui Alliance Sud e Dichiarazione di Berna.

Secondo loro, le piccole e medie imprese indiane non sono in grado di sostenere la concorrenza delle aziende straniere: l’apertura del mercato significherebbe la perdita di numerosi posti di lavoro in India.

Le ong chiedono alla Svizzera di non includere nell’accordo disposizioni più severe rispetto alle regole dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC).

In particolare, non vogliono che siano rafforzate le regole sui brevetti, per timore che l’attività dei produttori indiani di generici (medicamenti a basso costo) venga compromessa.

Prima di concludere un accordo simile, sottolineano le due associazioni, vanno condotti studi preliminari sugli impatti sociali.

Di ritorno da Nuova Delhi

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