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In Zimbabwe “non c’è più niente di stabile”

Davanti alle banche di Harare, le persone fanno la coda per ore nella speranza di poter ritirare qualche spicciolo Reuters

Lo Stato dell'Africa australe è da anni sprofondato in una crisi senza fine, crisi che si è ulteriormente aggravata dopo le elezioni del 29 marzo 2008. Marc Duvillard vive da più di 10 anni ad Harare. La sua testimonianza.

Non passa giorno senza che giungano notizie drammatiche dallo Zimbabwe. Il paese è confrontato a una grave crisi alimentare e i membri dell’opposizione sono confrontati alle violenze sistematiche dei partigiani del presidente Robert Mugabe, in carica dal 1987.

Le elezioni del 29 marzo hanno visto trionfare il Movimento per il cambiamento democratico (MDC) di Morgan Tsvangirai. Lo ZANU, il partito di Mugabe, ha perso la maggioranza parlamentare che deteneva da 28 anni. Mugabe non sembra però intenzionato a farsi da parte.

Dopo una carriera di calciatore ed allenatore in Svizzera, Marc Duvillard è approdato in Zimbabwe nel 1995. Dal 2001 dirige una scuola di calcio a vocazione sociopedagogica.

swissinfo: Dalle elezioni del 29 marzo scorso, la crisi nello Zimbabwe si è ulteriormente aggravata. Può descriverci la situazione?

Marc Duvillard: Economicamente il paese è completamente allo sbando. L’inflazione in queste ultime settimane ha raggiunto livelli da record del mondo, attorno al 170’000%. Il denaro non vale più niente.

Un dollaro USA è scambiato con 100 milioni di dollari dello Zimbabwe. Un anno fa il cambio era di 1 a 3’000.

I prezzi cambiano almeno due volte alla settimana. È una situazione completamente assurda. Non c’è più niente di solido a cui aggrapparsi. Vi sono alcuni beni estremamente a buon mercato. Basti pensare che la mia fattura del telefonino raggiunge circa 10 franchi al mese, pur chiamando almeno due volte alla settimana in Europa. Per uno yogurt bisogna invece sborsare cinque franchi.

Noi che abbiamo accesso alle divise estere siamo dei privilegiati. Per chi ha un salario in dollari dello Zimbabwe è invece un dramma.

swissinfo: E per quanto concerne la sicurezza?

M.D.: Bisogna distinguere tra quanto succede ad Harare e nelle altre città importanti e la situazione nelle campagne.

La fase pre-elettorale è stata contraddistinta da una relativa calma rispettto, ad esempio, a quanto accaduto durante le elezioni del 2000. Adesso nelle campagne e in alcune ‘township’ regna una violenza incredibile.

Cominciano a circolare fotografie e testimonianze. Ad Harare è però difficile rendersi conto di quanto stia succedendo, perché la situazione è relativamente tranquilla. Nelle strade non circolano più poliziotti rispetto a prima, non vi sono soldati.

È proprio questa relativa calma che mi impressiona. Stamattina ho visto una coda di circa 300 persone davanti a una banca. Se riescono a ritirare qualcosa – perché anche questo non è sicuro – possono rientrare a casa con l’equivalente di 10 dollari ed acquistare un po’ di pane ed altre due o tre cose. Anche per acquistare un po’ di pane bisogna a volte aspettare cinque ore, magari senza successo. La gente riparte senza dire nulla. In altri paesi africani una situazione simile sarebbe già esplosa.

swissinfo: Come lo spiega? La gente è rassegnata?

M.D.: Non penso di sbagliare affermando che nel paese nove persone su dieci volevano un cambiamento e avrebbero voluto una vittoria dell’MDC. Dopo le elezioni la gente si diceva ‘be’, adesso è fatta’, e invece niente, sono riusciti a mantenersi al potere con uno scenario che nessuno immaginava, aspettando ben cinque settimane prima di pubblicare i risultati delle presidenziali, risultati chiaramente falsi. È stata veramente una grande delusione.

Penso che la gente non abbia più voglia di battersi, di farsi pestare per un pezzo di pane. Parte dal principio che un giorno tutto questo cambierà. E intanto aspetta.

swissinfo: Crede che il presidente Robert Mugabe continuerà ad aggrapparsi al potere o cercherà di negoziare un’uscita di scena onorevole?

M.D.: Forse la sola soluzione è proprio questa, garantire una via d’uscita al presidente. Pare del resto che vi siano dei negoziati in questo senso. Simba Makoni (ex ministro dissidente e pure lui candidato alle presidenziali, ndr) propone di creare un governo d’unità nazionale. Morgan Tsvangirai, dal canto suo, ha vinto e vuole il potere. La grande forza dell’MDC è di essere composto da gente coraggiosa. Non so però se sono dei politici abbastanza scaltri per dirsi ‘adesso per far uscire il paese dalla crisi e mettere il vecchio Mugabe da parte dobbiamo lavorare assieme agli altri’.

Mugabe non ha più preso la parola una sola volta dalle elezioni. È una persona molto orgogliosa. Non può dire ‘sì, ho perso, ma vinceremo al secondo turno’, perderebbe ogni residua credibilità.

Le milizie del suo partito fanno regnare il terrore per cercare di scoraggiare la gente ad andare a votare in un ipotetico secondo turno. Questa violenza potrebbe però avere l’effetto contrario. La gente ne ha veramente abbastanza. La sola cosa che può fare è votare contro Mugabe e penso che non esiterà a farlo.

swissinfo: Quali sono i sentimenti che regnano tra gli espatriati?

M.D.: C’è un’esasperazione generale. Molte organizzazioni non governative e i responsabili di molte aziende stanno valutando se lasciare il paese.

swissinfo: E lei, non ha mai pensato di rientrare in Svizzera?

M.D.: No, poiché la situazione è meno allarmante per noi che siamo sul posto che per chi osserva dall’estero. In fondo, ad Harare il nostro quotidiano non è cambiato molto. Abbiamo sempre i soliti problemi: come organizzarci per avere dei soldi, come trovare da mangiare per gli allievi della scuola…

Non ho però nessuna intenzione di abbandonare l’accademia e la sessantina di bambini che la frequentano. È chiaro però che a volte con mia moglie e i miei figli ci chiediamo se è ragionevole continuare a vivere qui.

swissinfo, intervista di Daniele Mariani

La crisi che sta attraversando il paese affonda le sue radici negli anni ’90 con il rafforzamento del regime autoritario imposto da Robert Mugabe, primo ministro tra il 1980 e il 1987 e in seguito presidente.

Nel 2000, dopo aver perso un referendum su una riforma costituzionale, Mugabe, oggi 84enne, approva le prime espropriazioni di fattorie appartenenti a proprietari terrieri bianchi. Una “riforma” che si traduce in un drastico calo della produzione agricola.

Due anni dopo Mugabe è riconfermato alla presidenza. La comunità internazionale, ed in particolare il Commonwealth, impongono sanzioni al regime di Harare. La situazione economica si degrada ulteriormente.

Il 29 marzo scorso una prima svolta: malgrado i brogli e le violenze, il movimento d’opposizione MDC vince le legislative e conquista la maggioranza in parlamento.

Il candidato dell’opposizione Morgan Tsvangirai, 56 anni, non riesce però ad ottenere la maggioranza assoluta per essere eletto alla presidenza. L’opposizione e la comunità internazionale parlano di cifre scandalosamente truccate – i risultati sono stati comunicati solo cinque settimane dopo il voto. Un secondo turno dovrà essere organizzato in data da stabilire.

Marc Duvillard, classe 1952, ha militato in diverse squadre di calcio svizzere tra il 1971 e il 1983.

Nel 1983 è diventato allenatore, guidando dapprima il La Chaux-de-Fonds, poi il FC Lugano (tra il 1985 e il 1991) e infine il Losanna.

Tra il 1992 e il 1994 è stato osservatore tecnico per la nazionale svizzera.

Nel 1995 è arrivato in Zimbabwe, dove ha allenato i Black Aces di Harare e per tre partite la nazionale.

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