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Iniziativa foie gras: spaccatura destra/sinistra sul controprogetto

Keystone-SDA

Il controprogetto parlamentare all'iniziativa popolare contro il foie gras non fa l'unanimità.

(Keystone-ATS) Se la sinistra e il centro valutano positivamente questa proposta a favore del benessere animale, la destra si oppone a qualsiasi nuovo inasprimento, che potrebbe nuocere all’economia svizzera.

Il controprogetto indiretto è una risposta all’iniziativa popolare “Sì al divieto di importazione di foie gras (Iniziativa foie gras)”. Fa seguito ad un’iniziativa parlamentare della Commissione della scienza, dell’educazione e della cultura del Consiglio nazionale (CSEC-N) proposta a gennaio con 13 voti contro 12.

L’obbligo di dichiarazione per i prodotti ottenuti da animali ingozzati sottoposti a determinati interventi dolorosi senza ricorso all’anestesia è entrato in vigore lo scorso luglio. Ciò concerne fegato e carne di oche e anatre derivanti da alimentazione forzata, incluso quindi anche il foie gras.

La commissione propone l’introduzione di un monitoraggio delle importazioni a scopo professionale e l’adozione di misure da parte del Consiglio federale dopo cinque anni, se non si registra una diminuzione delle importazioni a fini commerciali. Suggerisce inoltre di inserire l’obbligo di dichiarazione nella legge.

Tema delicato

Nella sua risposta alla procedura di consultazione, che termina oggi, il Centro stima che il controprogetto offra una replica graduale e proporzionata a un tema molto delicato. Da un lato c’è la considerazione dell’impatto dell’ingrasso forzato sul benessere animale, dall’altro esiste un ampio segmento della popolazione culturalmente legato al consumo di questi prodotti, soprattutto durante le feste di fine anno.

Il partito accoglie con favore in particolare la volontà del controprogetto di fissare a livello di legge i nuovi obblighi di dichiarazione, attualmente stabiliti tramite ordinanza dal Consiglio federale. Reputa positivo anche il fatto di osservare gli effetti di tali obblighi su un periodo sufficientemente lungo (cinque anni).

Se dopo questo lasso di tempo le importazioni non dovessero diminuire a sufficienza, il Centro sostiene l’adozione di misure progressive. Evitando, per quanto possibile, situazioni in cui la Svizzera si troverebbe coinvolta in controversie commerciali.

No a ulteriori divieti

Al contrario, il PLR respinge categoricamente il progetto, opponendosi a qualsiasi nuova regolamentazione o divieto specifico in questo ambito. Secondo i liberali radicali questa proposta non sembra in grado di raggiungere gli obiettivi dei promotori dell’iniziativa né di portare a un eventuale ritiro del testo.

Dato che l’obbligo di dichiarazione è stato introdotto soltanto a luglio, un ulteriore inasprimento non è opportuno, stando al PLR. Il partito sottolinea che il controprogetto rafforzerebbe il turismo d’acquisti e quindi nuocerebbe all’economia elvetica.

L’UDC respinge sia l’iniziativa sia il controprogetto indiretto. La Svizzera ha una legislazione sulla protezione degli animali fra le più severe al mondo, stima il partito. Il divieto attuale di produzione in Svizzera, nonché l’obbligo di dichiarazione sono sufficienti.

Stando ai democentristi, ulteriori restrizioni legali all’importazione e prescrizioni supplementari in materia di dichiarazione a livello della legge “sarebbero dannose per l’economia, ostili a una parte della cultura del paese e semplicemente sproporzionate”.

Sostegno a sinistra

A sinistra, i Verdi, che sostengono l’iniziativa, appoggiano in via subordinata il controprogetto. Accolgono con particolare favore la possibilità di adottare misure supplementari se, cinque anni dopo l’entrata in vigore, le importazioni non saranno diminuite.

Per permettere un reale miglioramento del benessere animale, è essenziale che la modifica legislativa abbia un effetto marcato sull’importazione di prodotti ottenuti mediante alimentazione forzata o altre pratiche vietate in Svizzera, osserva il partito ecologista. Per questo sostiene una proposta di minoranza, che fissa obiettivi chiari e richiede una riduzione “significativa” delle importazioni.

La pensa allo stesso modo il PS, che richiede anch’esso l’inserimento di questo aggettivo, certamente soggetto a interpretazione ma che permette di quantificare, almeno in maniera astratta, la riduzione prevista.

Per mettere in pratica il rispetto del benessere animale, i socialisti ritengono che non sia sufficiente fare appello alla responsabilità dei consumatori o puntare su una promozione volontaria. Al contrario, un allevamento eticamente accettabile è innanzitutto una questione di regolamentazione responsabile.

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