Iran: Rohani, volto rassicurante sul nucleare
(Keystone-ATS) Per qualcuno è il mullah dal volto umano. Per altri, l’espressione di una rivincita della protesta dell’Onda Verde repressa nel 2009. Ma per tutti Hassan Rohani è soprattutto l’alfiere dell’Iran moderato, e il leader ‘rassicurante’ a cui affidare le speranze di una pacificazione con l’Occidente sullo spinoso dossier nucleare.
Eletto oggi a sorpresa presidente al primo turno, Rohani viene visto nelle prime analisi del dopo voto come un elemento di contrappeso importante nel contesto dei molteplici centri di potere della Repubblica islamica: centri di cui la stessa Guida suprema iraniana, l’ayatollah Ali Khamenei, deve tener conto nell’assumere decisioni strategiche, questione nucleare inclusa.
Dietro di lui – rileva un osservatore bene introdotto a Teheran – sembra ritrovare spazio quella tendenza ‘liberale’, o quanto meno moderata, “maggioritaria nel Paese”, ma soffocata dall’era del presidente uscente Mahmud Ahmadinejad.
L’analista, che preferisce rimanere anonimo per motivi di opportunità, tiene innanzi tutto a contraddire un approccio troppo semplicistico al tema dei poteri della Guida suprema sul dossier nucleare: “È vero che le decisioni finali spettano a Khamenei, ma lui non le prende da solo”, puntualizza. “La questione è più complicata: il presidente può influenzare le decisioni della Guida, come possono fare altri attori dell’intricato schema di potere iraniano: i militari, a cominciare dai Pasdaran e soprattutto dal capo della Forza Qods; ma anche l’intelligence; i consiglieri della Guida; o il segretario del Supremo Consiglio di sicurezza nazionale, incarico finora ricoperto da un altro candidato, Said Jalili”. È in questo quadro si dovrà inserire Rohani, che peraltro vi si muove da sempre, essendo stato per 16 anni capo del Supremo Consiglio e attuale rappresentante della Guida al suo interno.
Come altri, anche l’analista attribuisce notevole importanza al fatto che Rohani è stato l’uomo che 2003 concordò con Francia, Gran Bretagna e Germania una moratoria sull’arricchimento dell’uranio, l’aspetto più pericoloso del programma atomico iraniano, e l’applicazione del protocollo addizionale al Trattato di non proliferazione che aprì la strada alle ispezione nei siti iraniani. Una svolta provvisoria, poi annullata da Ahmadinejad, ma che ora potrebbe ripetersi.
Sul fronte interno, segnato da una commistione fra politica e religione tipica dell’Islam di confessione sciita, Rohani recupera una tendenza elettorale consolidatasi negli anni scorsi: “In caso di coinvolgimento emotivo della popolazione, come avvenne nel 2009, il bacino elettorale dei riformisti e liberali è di 20 milioni di voti, tradizionalmente più ampio di quello conservatore che arriva a 15, 16 milioni al massimo”, sostiene l’analista basandosi sulle serie storiche delle 11 elezioni presidenziali iraniane. È dunque a questa parte del paese che Rohani dovrà dare risposte come fu chiamato a fare – solo in parte con successo – l’ex presidente Mohammad Khatami (1997-2005), leader riformista oggi schierato al suo fianco. Gli impegni presi con l’elettorato vanno dalla promessa ‘Carta dei diritti civili’, che dovrebbe garantire maggiore pluralismo politico e libertà sociali, alle dichiarazioni in favore della condizione femminile e delle minoranze etniche. Rohani si è anche distinto per aver criticato l’aumento delle pressioni di polizia esercitata durante il periodo pre-elettorale.
Il clima di apertura, ha segnalato all’agenzia di stampa italiana Ansa un’altra fonte, è testimoniato intanto dalla borsa iraniana che già stamattina ha festeggiato. E dai tassi di cambio delle valute forti come dollaro ed euro che hanno cominciato a scendere a mano a mano che la vittoria di Rohani diventava certezza.