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Kobe, bilancio in chiaroscuro

A Kobe, il Giappone ha presentato un sistema di monitoraggio dei terremoti in grado di generare un segnale d'allarme Keystone

Al termine della conferenza di Kobe, la comunità internazionale si è impegnata a prevenire in modo più efficace le catastrofi naturali.

Soddisfatta la Svizzera. Ora però i paesi partecipanti dovranno mettersi all’opera, affinché il piano d’azione adottato a Kobe abbia degli effetti concreti.

La conferenza di Kobe era pianificata da tempo, ma dopo il devastante tsunami che ha colpito il Sudest asiatico, ha assunto un valore simbolico.

Proprio la promessa di realizzare un sistema d’allarme per l’Oceano indiano sembra essere il solo risultato veramente concreto del vertice internazionale.

Meinrad Studer, membro della delegazione svizzera, è tuttavia soddisfatto. «Il nostro bilancio è molto positivo», confida a swissinfo. «La conferenza, che è stata guidata dalla Svizzera, ha elaborato un piano d’azione concreto».

«Siamo riusciti a mettere tutti d’accordo su questo documento, volto a rafforzare le misure di prevenzione. Certo, in parte le trattative si sono rivelate difficili».

Effetto tsunami

Malgrado le dichiarazioni di soddisfazione della delegazione ufficiale elvetica, le critiche ai risultati della conferenza di Kobe non mancano.

Molti ritengono che l’attenzione portata al disastro senza precedenti del 26 dicembre – i morti dovrebbero essere più di 200’000 – abbia condotto a trascurare l’elaborazione di misure concrete per una prevenzione più completa delle catastrofi naturali.

Ci si sarebbe concentrati, per contro, solo sul sistema di allerta precoce in caso di tsunami nell’Oceano indiano. Il nuovo sistema dovrebbe essere attivo fra un anno. Il progetto sarà guidato dall’Onu, che dovrà vedersela con le diverse proposte e ambizioni degli Stati partecipanti.

«Sfortunatamente una concorrenza tra paesi è molto probabile, così come è stato per le donazioni», afferma Walter Amman, direttore del dipartimento delle catastrofi naturali di Davos. «Non si può pensare di mettersi a posto la coscienza realizzando un sistema d’allarme oneroso». L’aspetto tecnico è solo una parte del problema, bisogna pensare anche ad educare le popolazioni a rischio, spiegare loro cosa devono fare in caso di pericolo.

Documento fumoso

Il documento finale, intitolato Programma d’azione di Hyogo 2005-2015, dovrebbe servire come quadro di riferimento per le misure che dovranno essere prese nei dieci anni a venire per ridurre i rischi e la vulnerabilità delle popolazioni esposte a catastrofi naturali.

Insieme ad un altro testo, intitolato Dichiarazione finale, è il frutto del lavoro della diplomazia elvetica, lavoro cominciato l’autunno scorso a Ginevra e sfociato in un’ampia intesa internazionale.

Meinrad Studer respinge le critiche di chi ritiene il documento poco incisivo. «Non tutti si aspettavano la stessa cosa dalla conferenza. Le organizzazioni non governative speravano in qualcosa di più. Ma gli Stati volevano in primo luogo un documento di fondo, nel quale fossero definite in modo chiaro le priorità».

Ma non tutti condividono quest’opinione. «Siamo estremamente preoccupati», ha dichiarato John Sparrow (Federazione internazionale Croce Rossa e Mezzaluna Rossa). «La formulazione di alcuni passaggi è così vaga che, al di là della retorica, è difficile capire cosa vogliano dire per davvero».

swissinfo e agenzie

Conferenza di Kobe: 18-22 gennaio 2005
168 paesi rappresentati
Una trentina di Organizzazioni non governative
Più di 4000 delegati ed esperti
La conferenza ha elaborato un piano d’azione per il periodo 2005-2015 (Hyogo Framework for Action)

La prima conferenza mondiale sulla prevenzione dei disastri si è svolta a Yokohama (Giappone) nel 1994.

L’incontro di Kobe ha fatto il punto sui progressi effettuati negli ultimi 10 anni e ha definito il piano d’azione per il periodo 2005-2015.

A Kobe si è discusso di come affrontare le catastrofi future, in particolare altri tsunami nell’Oceano indiano.

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