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L’analisi dell’antropologo Sabelli

Martedì una buona fetta di Svizzera ha seguito con trepidazione l'impresa del Basilea. Tutti uniti, per lo spazio di una partita.

Per l’antropologo Fabrizio Sabelli, un buon esempio del misterioso potere del calcio.

Secondo Lei, il Basilea è riuscito ad unire gli abitanti di questo paese?

Unire è forse una parola troppo grossa. Ma l’impatto della partita è certamente considerevole. È una delle poche volte in cui la Svizzera vive la stessa situazione di altri paesi in relazione ad un fenomeno oggi fondamentale: il calcio.

Da alcuni anni, il calcio è diventato un elemento unificante al di là delle culture e delle divisioni politiche o ideologiche. La Svizzera era un po’ ai margini di questo fenomeno.

L’impatto della partita è perciò molto importante sul piano interno, in particolare nell’ambito delle relazioni tra Svizzera tedesca e Svizzera francese.

Anche gli stranieri in Svizzera hanno tifato per il Basilea… Pure gli italiani, tradizionalmente legati alle squadre nazionali.

È il fatto più sorprendente che ho notato guardando la partita in TV: il numero di stranieri sulle gradinate che sostenevano il Basilea.. Come se fosse la loro squadra!

Il fenomeno è molto importante per l’unificazione… o meglio per il sentimento d’appartenenza.

Un sentimento superficiale o profondo?

Credo che si tratti di un sentimento profondo. Oggi la nazione non esiste più. I simboli nazionali, le bandiere, hanno un impatto molto meno importante di un fenomeno rituale che unisce attraverso le emozioni e non attraverso la ragione o l’ideologia.

Lo sport ha questo di meraviglioso. Mobilita i sentimenti. Ho visto gente piangere per la gioia. Un sintomo importante. Vuol dire che il lato affettivo è sviluppato agli estremi. Ciò che fa tutta la differenza.

In Italia, ed esempio, credo che il calcio sia l’unico fattore che fa sentire uniti gli abitanti – sono italiano, quindi lo posso dire!

E il Basilea, anche se non è la squadra nazionale, simbolizza la Svizzera in maniera emblematica.

Crede che il sentimento di appartenenza sia oggi particolarmente necessario?

Probabilmente. Perché siamo dispersi. I sistemi di affiliazione sono multipli. Il successo delle sette lo prova: c’è il bisogno di far parte di un’entità, per quanto assurda essa sia.

Il calcio offre tutto ciò, senza dubbio. E le persone ne hanno bisogno, sì… perché la solitudine è detestabile. Per il tempo di una partita, gli individui si sentono uniti dalla posta in gioco.

Un fatto che è stimolato soprattutto dall’idea di nemico, virtuale o simbolico, incarnata dalla squadra avversaria. Paradossalmente, è come se ci fosse una guerra. Ci si unisce sotto la stessa bandiera. È una specie di conflitto, ma sublimato dal gioco e dall’aspetto sportivo.

Intervista di Alexandra Richard, swissinfo (traduzione: Andrea Tognina, swissinfo)

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