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L’Eco universale dei segni

Il semiologo e la sua pipa al Forum economico di Davos del 2000 Keystone

Umberto Eco, l'ambasciatore della semiologia, ha compiuto 70 anni. Con saggi e romanzi ha conquistato il mondo. E ha lasciato il segno anche in Svizzera.

Umberto Eco è un “intellettuale-puzzle”, così lo definisce il giornale a lui più vicino, “la Repubblica”. “Nessuna tessera, da sola, lo definisce – ricorda il giornale romano – i suoi rimbalzi dall’erudizione alla vita quotidiana sono diventati in certi casi proverbiali: dal Medioevo a Rita Pavone, da Mike Bongiorno a James Joyce, e, più recentemente, dall’informatica alla bibliofilia”.

E’ per questo che il compleanno del Professore trova spazio un po’ ovunque nel mondo della stampa. Questo malgrado Eco stesso cerchi di placare l’euforia per l’avvenimento. Per i suoi 70 anni, ha accettato solo un’intervista a “La Repubblica”.

Alla giornalista che gli ha fatto presente di essere un’autorità riverita, tanto che molti lo considerano una sorta di padre dell’italica patria, l’illustre professore ha replicato beffardo: “Padre della patria? La patria quando si è cercata un padre, ha scelto Berlusconi”.

“Comunque – ha continuato – io sono un fallito. Da piccolo, prima volevo fare il bigliettaio del tram. Un po’ più tardi avrei voluto diventare generale e invece, fatto il servizio militare sono andato in congedo col grado di caporale maggiore. Ma so che la mia vera ambizione sarebbe stata quella di fare il pianista di pianobar”.

Lo stacanovista della penna, autore di una quantità incredibile di scritti, ha comunque avuto un destino completamente diverso da quello sognato nell’infanzia. Da giornalista televisivo della prima ora è passato alla carriera accademica e poi alla letteratura, incontrando sempre il successo.

Dal “Nome della rosa” ai milioni

Il successo mondiale è arrivato nel 1980, con il primo romanzo «Il nome della rosa», diventato poi anche un film interpretato da Sean Connery. E proprio questo romanzo, venduto in oltre 20 milioni di copie, è considerato dallo stesso Eco il punto di svolta nella sua vita pubblica.

In un’intervista rilasciata alla tempo fa alla Rai, Eco ricorda: «Non so perché ho scritto, improvvisamente, dopo essermi occupato fino a quasi 50 anni solo di saggistica, il mio primo romanzo. E sono anche stufo di sentirmelo domandare e ogni volta ho dato una risposta diversa (tutte ovviamente false). Diciamo che l’ho fatto perché me ne era venuta la voglia».

Per Cla Riatsch, professore e romanista dell’Università di Berna, il fine è invece esplicito: “Il teorico voleva dimostrare di poter costruire un successo letterario e c’è riuscito”. L’impiego cosciente della teoria analitica del testo avrebbe permesso di produrre un best seller.

A più livelli narrativi, il racconto permette di gustare un giallo “gotico”, ambientato in un convento domenicano del Medioevo, apre un dialogo con il pensiero filosofico e letterario di diversi secoli – attraverso il ripetersi di citazioni e riferimenti percettibili da un pubblico colto. Il tutto in una struttura ferrea, disseminata di indizi e ammiccamenti a letteratura e cultura.

Modello svizzero senza confini

Al convento del “Nome della rosa”, confluiscono monaci da tutta Europa facendone una metafora per la transnazionalità della cultura, (ri-)nata oggi grazie ai nuovi mezzi di comunicazione. Una parte fondamentale del discorso promosso dal semiologo.

In un suo scritto del 1991, pubblicato in occasione del Settecentesimo della Confederazione svizzera, Eco sottolineava l’esistenza in Svizzera di una “lingua della ragione”, modello per l’Europa. Un codice che travalica le lingue o la conoscenza delle altre parlate dello stato elvetico.

Per Eco, l’istituzionalizzazione del plurilinguismo svizzero è un modello riuscito che permette la convivenza. Una realtà già attuata nella cultura umanista del Medioevo che permette di dialogare oltre i confini linguistici.

“L’Europa delle lingue potrebbe essere possibile – conclude nel suo contributo il semiologo – perché, almeno una volta nella storia, e per sette secoli, è stata possibile una Svizzera delle lingue”.

Successo universale

È forse sono state la sua capacità di formulare concetti che superano i confini, grazie al metodo, la sua incisività di pensiero e la capacità divulgativa ad averne fatto l’intellettuale italiano vivente più famoso al mondo, come l’ha definito il “New York Times”.

I suoi libri, sia romanzi sia saggi, trovano ormai da anni le vie della distribuzione internazionale, e – il nome dell’autore è programma – un’eco immediata, anche nei media elvetici. Non importa di quale delle quattro lingue.

Le sue “Bustine di Minerva”, pubblicate sui giornali italiani, vengono riprese per esempio periodicamente dalla Weltwoche e non manca mai una recensione o un riferimento in qualsiasi pagina culturale che si rispetti.

Cla Riatsch ha una spiegazione per il successo, anche finanziario del personaggio: “Eco sa gestire l’industria della comunicazione. È probabilmente il primo intellettuale postmoderno che ha saputo applicare nella realtà il suo oggetto di studio”.

Studio e applicazione

Anche la Svizzera non è estranea a questa “Ecomania”. I suoi libri, dal primo successo all’ultimo “Baudolino”, hanno coinvolto un po’ tutti. La sua lettura della TV inoltre ha aperto, a molti contemporanei, nuove prospettive di comprensione delle dinamiche del piccolo schermo.

In particolare la nuova Università della Svizzera italiana di Lugano offre dalla sua apertura un corso di scienze della comunicazione che si avvicina molto al modello bolognese del DAMS (Discipline Arte Musica e Spettacolo), dove è stata creata per lui la prima cattedra di semiotica italiana.

Non è un caso. La comunicazione cosciente è anche un fattore economico, oltre che sociale e permette di completare l’offerta dell’ateneo ticinese. L’intellettuale meglio pagato d’Italia fa scuola anche oltre i confini.

Non ancora stanco

A fine gennaio Bompiani pubblicherà un nuovo libro, intitolato «Sulla letteratura»: si tratta di una raccolta di saggi in cui Eco parla della sua attività di scrittura creativa e racconta anche qualche gustoso segreto e aneddoto, collegato al suo mestiere di romanziere, che da vent’anni ha affiancato quello di studioso della lingua e della comunicazione.

Daniele Papacella

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