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L’Europa concede una proroga alla Svizzera

Un sospiro di sollievo (temporaneo?) anche per l'industria tessile elvetica Keystone

La Svizzera ha ottenuto una prima vittoria nel contenzioso sul nuovo regime doganale dell’Unione europea riguardante le riesportazioni elvetiche.

Bruxelles ha rinviato di tre mesi l’entrata in vigore della misura inizialmente prevista per il primo marzo.

La proroga è stata ottenuta durante una riunione tra la delegazione elvetica e la controparte europea, riunitesi martedì a Basilea per discutere delle basi giuridiche e dell’impatto economico del nuovo regime.

«È un primo passo verso una soluzione definitiva», ha detto il capo dei negoziatori svizzeri Luzius Wasescha, precisando come le discussioni si siano tenute in un clima costruttivo.

“Si tratta di una decisione che rappresenta un’importante vittoria per l’area di libero scambio in Europa”, ha quindi sottolineato l’ambasciatore.

Dal primo marzo 2004, l’amministrazione doganale europea intendeva revocare l’esenzione doganale applicata da trent’anni sulle merci dell’UE riesportate nell’UE dalla Svizzera e da altri partner di libero scambio.

L’UE farà marcia indietro?

Wasescha si è mostrato ottimista in merito al proseguimento delle trattative. Le possibilità che l’UE faccia marcia indietro non sono poi così poche, ha affermato.

Il dossier è ora sul tavolo del ministro dell’economia Joseph Deiss. Dal canto suo, la Commissione europea affronterà l’incarto probabilmente già mercoledì. Nuove discussioni sulla questione sono previste tra un mese.

La delegazione elvetica ha ribadito che, dal suo punto di vista, il nuovo regime doganale costituisce una violazione dell’accordo di libero scambio del 1972.

Dal canto loro, i rappresentanti dell’UE hanno ammesso che l’entrata in vigore dei dazi potrebbe comportare diversi svantaggi. Per la Svizzera, ma anche per la stessa Unione.

Miliardi in pericolo

Per la Confederazione i danni sarebbero notevoli. Un’eventuale modifica dell’applicazione del diritto avrebbe conseguenze pesanti per le aziende.

Particolarmente colpite sarebbero le imprese commerciali, il commercio d’automobili, le vendite per corrispondenza, le imprese artigianali e l’industria manufatturiera. Oltre che all’industria meccanica, tessile e chimica.

Il mancato guadagno è difficile da quantificare, ma il Segretariato di Stato dell’economia (Seco) ha già avanzato qualche cifra. Per quel che riguarda l’industria chimica, il provvedimento potrebbe costare fino a 1-2 miliardi di franchi all’anno.

Berna non ha comunque percepito alcuna intenzione della Commissione europea di utilizzare il nuovo regime doganale per esercitare pressioni sulla Confederazione.

“Non vi è nessun legame tra questo dossier ed i negoziati bilaterali», ha affermato Wasescha.

Prova ne sarebbe il fatto che il suo omologo europeo, il direttore politico dell’amministrazione delle dogane Alexander Wiedow, non era nemmeno a conoscenza del dossier prima delle proteste elvetiche.

Reazioni positive

In un comunicato, economiesuisse, la federazione padronale che raggruppa le imprese svizzere, si è rallegrata della proroga ottenuta.

L’organizzazione ha tuttavia precisato come una soluzione temporanea non sia sufficiente a cancellare tutte le insicurezze che gravano sugli imprenditori svizzeri. E, di conseguenza, sull’intera economia.

swissinfo e agenzie

Una settimana fa, Bruxelles annunciava un nuovo regime doganale che riguardava da vicino anche la Svizzera.

Secondo i piani comunitari, dal primo marzo, i prodotti europei importati in Svizzera e riesportati nei paesi dell’Unione sarebbero dovuti essere tassati da un nuovo dazio doganale che, in certi casi, avrebbe potuto raggiungere anche il 12%.

Fino ad oggi, le riesportazioni nell’UE e nei paesi dell’Associazione europea di libero scambio (AELS, che comprende Svizzera, Norvegia, Liechtenstein e Islanda) erano esonerate dai dazi.

Una pratica che si basava sull’accordo di libero scambio del 1972 tra le due organizzazioni.

Bruxelles stima tuttavia che, finora, la Svizzera ha beneficiato di vantaggi riservati ai membri dello Spazio economico europeo (SEE). Del quale tuttavia, dopo il rifiuto popolare del 1992, non fa parte.

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