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L’Italia segue con distacco le elezioni svizzere

Marcello Foa, inviato speciale del quotidiano italiano "Il Giornale" swissinfo.ch

Marcello Foa, inviato speciale del quotidiano italiano "Il Giornale", segue la campagna elettorale per le elezioni federali con interesse, ma non in modo continuo.

Abbastanza, tuttavia, per analizzare alcuni fenomeni e tendenze che rendono la Svizzera, pur nella sua diversità, un paese normale e non più un’eccezione in mezzo all’Europa.

Co-fondatore dell’Osservatorio europeo di giornalismo, inserito nella Facoltà di Scienze della comunicazione dell’Università di Lugano, Marcello Foa analizza il dirompente impatto dell’Unione democratica di centro (UDC, destra nazionalista) sulla scena politica svizzera.

swissinfo: Il suo giornale come segue la campagna elettorale svizzera?

Marcello Foa: Non la segue, come altri giornali italiani. In ogni caso non ora, è troppo presto.

swissinfo: Ma non si interessano alla Svizzera?

M.F.: Non direi che non si interessano della Svizzera. Ma parlare di elezioni adesso è troppo presto. Manca poi un personaggio chiave e Blocher non ha la medesima risonanza di altri personaggi europei: fuori dalla Svizzera non è conosciuto.

La Svizzera, inoltre, come Stato autenticamente federale e quadrilingue, perde un po’ il suo peso specifico. Nessuna delle regioni linguistiche è abbastanza forte per influenzare le rispettive aree linguistiche di riferimento.

swissinfo: Quali sono gli elementi che la colpiscono in questa campagna elettorale? Come si situa la Svizzera nel contesto europeo?

M.F.: Da osservatore esterno e occasionale, mi sembra che all’inizio fossero i temi della sicurezza ad essere premiati; è peraltro su di essi che l’UDC ha costruito i suoi consensi, facendosi interprete di una preoccupazione molto sentita dalla popolazione. Il tema della sicurezza, del resto, non è solo in Svizzera, ma anche nel resto dell’Europa, come in Italia, Francia e Germania.

I politici che capiscono questa preoccupazione ottengono consensi, a destra come a sinistra. In un recente sondaggio svolto in Francia, è emerso che il 35% degli elettori di sinistra ha collocato la sicurezza al primo posto.

Nella campagna elettorale elvetica si è poi inserito lo scandalo dell’ex procuratore Valentin Rorschacher. Al di là del caso specifico, su cui non entro in materia, ciò che è emerso in modo palese è una polarizzazione degli schieramenti pro o contro Blocher. Benché questa sia una vicenda molto svizzera, vedo comunque delle assonanze con altri paesi europei.

swissinfo: Perché?

M.F.: In Italia la vita politica degli ultimi dieci anni è stata polarizzata da Silvio Berlusconi. Non si è mai veramente valutato la qualità di leader Berlusconi, buono o cattivo che sia. In Italia o si era pro Berlusconi o anti Berlusconi.

Con Nicolas Sarkozy, in Francia, è successa la medesima cosa. Con José Luis Rodríguez Zapatero la Spagna sta vivendo dinamiche simili. Nel Regno Unito Tony Blair è stato un catalizzatore di sentimenti di amore-odio.

Questo ci mostra la politica viene sempre più catalizzata non attorno ad un programma, ma ad una figura che divide. E Blocher è indubbiamente un personaggio politico che divide.

swissinfo: L’ingresso dell’UDC sulla scena politica ha determinato una cesura rispetto al passato, nello stile e nei contenuti. Come leggere questo cambiamento?

M.F.: Se personaggi come Blocher emergono sulla scena politica, la ragione risiede essenzialmente negli errori dei partiti tradizionali. Ci sono bisogni che nascono dal basso e che esprimono sentimenti molto diffusi. Se i partiti tradizionali moderati non li sanno interpretare per tempo, questo ritardo gli si ritorce contro.

Le istanze proposte da Blocher sono legittime dal momento che rispondono a un sentimento di smarrimento molto forte in tutta la Svizzera. E non si tratta solo di sicurezza. La globalizzazione comporta uno sradicamento dell’identità, un tasto sensibile che la Svizzera ha sempre difeso.

Se un partito intercetta e comprende questi segnali, allora ha buone possibilità di avere un ritorno di consensi. E’ totalmente inutile demonizzare Blocher. Occorre invece capire le ragioni del successo e che cosa c’è a monte di questo crescente consenso.

swissinfo: La provocazione è pagante nella propaganda politica?

M.F.: Blocher è al centro di una situazione paradossale. Da un lato difende la Svizzera profonda, tradizionale. Ma nel difendere il proprio paese fa spesso capo a tecniche di comunicazione estremamente sofisticate.

La provocazione costante è, secondo me, studiata, perché consente di mantenere alta l’attenzione. Ma se spinta troppo, può diventare nociva. Quando un ministro, come nel caso di Blocher, continua a mescolare la sua funzione istituzionale con quella di leader politico, alla fine rischia di togliere credibilità alle istituzioni. Ed è grave.

swissinfo: Toni esasperati e sistematico ricorso alle emozioni sono riscontrabili in altre parti d’Europa o la tendenza sta cambiando?

M.F: Io sono un aperto critico dello “spin”, ossia di quelle tecniche di comunicazione che permettono agli strateghi di orientare i media, spesso all’insaputa dei giornalisti. Se noi prendiamo in esame il periodo tra il 1984 (era Reagan) fino al 2006 (era Blair), ci rendiamo conto che lo “spin” – inteso come esagerazione, personalizzazione, provocazione, estremizzazione – è stato premiante. Chi sapeva usare queste tecniche, ha vinto.

L’abuso di questi strumenti ha però provocato un atteggiamento di rigetto molto sano da parte della gente, stanca di vedere che le tante promesse annunciate venivano in definitiva scarsamente mantenute.

Oggi in Europa assistiamo ad un cambiamento di tendenza. In Francia Sarkozy ha condotto una campagna innovativa che, sui contenuti, è stata l’esatto contrario dello “spin”: ha promesso dieci cose e in particolare tre. E ora che è presidente sta tenendo fede alle promesse.

Stessa tendenza anche in Germania, con Angela Merkel, e in Gran Bretagna con Gordon Brown. Questi leader offrono solidità anziché sogni impossibili. E oggi gli elettori questo vogliono: solidità e concretezza.

In Svizzera, finora paradiso di correttezza e di una comunicazione fin troppo seduta, assistiamo invece alla predominanza della politica gridata, c’è dunque un “décalage” rispetto ad altre realtà.

In passato i problemi della popolazione sono stati trattati in maniera irrealistica. Questa debolezza del sistema, che si è tradotta anche in una certa forma di ipocrisia ignorando o sottovalutando le necessità dei cittadini e delle cittadine, ha in definitiva permesso l’ascesa di Blocher.

Intervista swissinfo, Françoise Gehring, Lugano

Marcello Foa, nato a Milano nel 1963. Laureato in Scienze politiche all’Università degli Studi di Milano, è cittadino svizzero e italiano.

Ha iniziato la sua carriera giornalistica a Lugano nel 1984 alla Gazzetta Ticinese e poi al Giornale del Popolo, due quotidiani ticinesi. Nel 1989 è stato assunto al Giornale con la qualifica di vicecaporedattore esteri.

Nel 1993 Indro Montanelli, all’epoca direttore del Giornale, lo ha nominato caporedattore esteri. Dall’agosto 2005 è inviato speciale. Ha collaborato con numerose testate radiotelevisive, in particolare Bbc Radio, Radio3Rai, Radio24, Rai Uno, Rtsi, Italia Uno, Retequattro e i settimanali svizzeri Azione e Weltwoche.

Nel 2004 ha fondato con il professor Stephan Russ-Mohl l’Osservatorio europeo di giornalismo. Ha focalizzato le proprie ricerche accademiche sul fenomeno dello spin politico. Ha scritto un saggio “Gli stregoni della notizia. Da Kennedy alla guerra in Iraq: come si fabbrica informazione al servizio dei governi”.

Dal 2004 svolge corsi seminariali di giornalismo internazionale all´USI ed ha tenuto lezioni e conferenze all’Università degli Studi di Milano, all’Università Cattolica di Milano e all’Università di Bergamo.

Lo Spin doctor (termine inglese la cui traduzione è : dottore del raggiro, manipolatore di opinioni) è un consulente politico esperto di comunicazione, che può scrivere discorsi, essere manager di elezioni, portavoce di partiti, esperto di sondaggi, o al servizio dei governi. È anche indicato con il termine consigliere.

I compiti dello spin doctor sono diversificati, ma tutti riconducibili ad una radice comune: “massaggiare il messaggio”, cioè estrarre il meglio da qualsiasi situazione in cui sia implicato il suo committente, fornendo ai giornalisti e ai media una versione “aggiustata” di un evento-notizia in veste volta per volta di consigliere per la comunicazione, capo ufficio stampa, portavoce o campaign manager.

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