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La “resistenza” svizzera, una storia nell’ombra

Il diplomatico August R. Lindt, nel 1956; uno dei rappresentanti più noti della resistenza svizzera al nazismo RDB

C'è stato in Svizzera un movimento di Resistenza durante la seconda guerra mondiale?

È la domanda alla quale cerca di dare una risposta un giornalista francese, Jean-Pierre Richardot, lui stesso studente in Svizzera negli anni di guerra, in uno studio dal taglio divulgativo.

L’impostazione data allo studio e all’interpretazione del periodo tendeva o ad accreditare l’impressione di un intero paese – popolo esercito ed autorità – unito come un sol uomo nella difesa dell’indipendenza, della libertà e della democrazia, oppure a presentare gli Svizzeri come cinici profittatori di guerra, pronti a adattarsi più che a resistere.

Le varie forme di resistenza

Il suo libro, pubblicato in francese nel 2002 (Une autre Suisse 1940-1944) è stato tradotto in tedesco e pubblicato in Germania (Die andere Schweiz. Eidgenössischer Widerstand 1940-1944, Aufbau-Verlag, Berlino, 2005, 297 p.), descrive le varie forme di resistenza al nazifascismo manifestatesi in Svizzera dopo la sconfitta della Francia nella primavera del 1940.

Si parla della lotta contro la tentazione del disfattismo e dell’adattamento alla “nuova Europa” di Hitler, del sostegno a profughi e combattenti esteri, dei servizi d’intelligence a favore degli alleati, dei piani di resistenza armata in caso d’invasione o di “tradimento” delle autorità politiche.

Il complotto di Lucerna

Il libro ricostruisce in dettaglio – scegliendo talvolta per la forma narrativa invece dell’analisi storica – soprattutto le iniziative nate in ambienti militari e patriottici.

Nell’estate del 1940, una ventina d’ufficiali dell’esercito svizzero complottò a Lucerna: lo spirito di rassegnazione e d’allineamento all’ordine hitleriano che aleggiava nel messaggio del Consiglio federale al paese del 25 giugno, impropriamente noto come discorso di Pilet-Golaz, lasciava prevedere il peggio. I congiurati erano pronti anche a far arrestare il Consiglio federale, qualora non si fosse mostrato deciso a resistere ad oltranza in caso di attacco tedesco.

Pochi mesi dopo nacque l’Azione di resistenza nazionale, creata per iniziativa di Hans Hausamann, ufficiale dei servizi d’informazione. Proprio Hausamann (1897-1974), fotografo di scarso successo, ufficiale dell’esercito e titolare di un ufficio d’informazioni (spionaggio) “privato” – un uomo che in altre circostanze sarebbe potuto diventare una sorta di De Gaulle elvetico – è un personaggio chiave dei movimenti di resistenza in Svizzera e del libro di Richardot.

Le previsioni di Hausamann

Nel 1940, subito dopo la firma dell’armistizio franco-tedesco, Hausamann affermò che la Gran Bretagna non avrebbe mai capitolato, che gli Stati Uniti sarebbero entrati in guerra contro Hitler, che il Terzo Reich avrebbe aggredito l’URSS e che la guerra sarebbe finita con la disfatta della Germania!

Aiutato da un gruppo di persone di varia estrazione e orientamento ideologico (giornalisti, ufficiali, intellettuali, pastori evangelici, ecc.), Hausamann creò una rete d’informazione e di sostegno a favore degli Alleati, nonché un movimento di propaganda e controinformazione interna, per rafforzare la volontà di resistenza e denunciare possibili cedimenti alle lusinghe o alle minacce hitleriane.

Il movimento patriottico degli ufficiali non fu la sola forma di resistenza. Sul modello di “Quelli che la Resistenza…”, il libro di Richardot rende omaggio tanto a personalità autorevoli quanto a semplici cittadini, che hanno disobbedito, violato la legge o chiuso un occhio per proteggere e salvare rifugiati.

Persone che hanno sostenuto in vari modi le organizzazioni di resistenza alleate; che hanno messo la loro penna, le loro convinzioni e la loro influenza politica al servizio della causa della libertà e della dignità umana; che hanno preso rischi concreti quali militanti in movimenti partigiani.

Perché questa storia è rimasta finora quasi ignorata dall’opinione pubblica?

Alla fine del conflitto ha prevalso in Svizzera la volontà di occultare le divisioni interne emerse durante la guerra; inoltre, l’ossessione della neutralità elvetica ha persino impedito di riconoscere i servizi resi alla causa alleata e di onorare i resistenti.

Essendo poi in gioco l’atteggiamento di militari e di autorità politiche, appariva sconveniente esaltare il ruolo di chi era pronto alla resistenza armata, perché non si fidava del governo e di certi alti ufficiali. Gli animatori stessi dei movimenti di resistenza hanno scelto la discrezione sulle loro gesta.

D’altra parte, una resistenza ispirata da ufficiali patrioti che credevano nelle virtù militari del popolo svizzero non corrispondeva agli schemi ideologici di molti storici e intellettuali che hanno proposto un’interpretazione più critica dell’atteggiamento del nostro paese durante il conflitto.

swissinfo, Marco Marcacci

“Une autre Suisse 1940-1944”, è appena stato tradotto in tedesco e pubblicato in Germania “Die andere Schweiz. Eidgenössischer Widerstand 1940-1944”, Aufbau-Verlag, Berlino, 2005, 297 p.

L’interpretazione tradizionale del periodo di guerra voleva che popolo, esercito e autorità fossero uniti come un sol uomo a difesa dell’indipendenza e dei valori svizzeri.

Sull’altro lato della storiografia, si vedeva la Svizzera come un popolo di cinici profittatori di guerra, pronti a adattarsi più che a resistere.

La realtà presentata dal libro di Jean-Pierre Richardot, che non si occupa tanto della “Svizzera ufficiale”, ma dell’atteggiamento del popolo, è più sfumata.

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