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La democrazia in Guatemala, il compito di una generazione

I pupazzi di carta con abiti carcerari rappresentano l’ex vicepresidente Roxana Baldetti e il presidente Otto Pérez: un’immagine delle recenti manifestazioni in Guatemala. Keystone

Il presidente del Guatemala Otto Molina ha rassegnato le dimissioni giovedì, dopo la decisione di un giudice del paese di emettere un ordine di detenzione contro di lui per uno scandalo di corruzione. Per Jürg Benz, ambasciatore svizzero in Guatemala, il vento di collera che soffia sul Centroamerica è solo un primo passo verso un lungo processo di democratizzazione.

Da diversi mesi, migliaia di guatemaltechi si riversano ogni settimana nelle strade delle principali città del paese per denunciare la corruzione dei loro dirigenti.

Il presidente Otto Pérez Molina, 64 anni, è accusato dal Ministero pubblico guatemalteco e da una commissione dell’ONU contro l’impunitàCollegamento esterno di aver diretto un sistema di corruzione in seno alle dogane, attraverso il quale dei funzionari incassavano tangenti per esonerare dalle tasse certe importazioni. Martedì il parlamento ha revocato l’immunità a Molina, il cui incarico scadeva nel gennaio 2016, e il giorno seguente un giudice ha emesso un mandato d’arresto contro di lui. Un simile procedimento giudiziario è una novità per questo paese. La vicepresidente Roxana Baldetti è già dietro le sbarre.

Ancora sabato, moltissime persone avevano manifestato per chiedere le dimissioni di Molina e il rinvio delle elezioni generali, previste domenica 7 settembre. Elezioni dalle quali non dovrebbero però scaturire cambiamenti fondamentali, spiega Jürg Benz, ambasciatore svizzero in Guatemala e Honduras, intervistato da swissinfo.ch prima degli sviluppi avvenuti in questi ultimi due giorni. Uno dei compiti principali di Benz è proprio di rafforzare lo stato di diritto in questi paesi, fortemente toccati dalla corruzione e marcati dalle violenze del passato.

swissinfo.ch: Che ruolo ha la Svizzera nella lotta contro l’impunità in Guatemala?

Jürg Benz: Per la Svizzera lo stato di diritto e i diritti umani sono temi importanti; fanno parte dei valori che difendiamo e della politica estera svizzera.

Dal 2007, dall’inizio delle attività della CICIG, la Svizzera ha sostenuto il lavoro della commissione. Ora sono venuti alla luce questi casi di corruzione, che sono stati all’origine di molte proteste. Speriamo che diano l’impulso alle riforme necessarie a impedire in futuro il ripetersi di situazioni simili. Credo che il lavoro della commissione e il sostegno della Svizzera siano stati molto importanti,

Jürg Benz è ambasciatore di Svizzera in Guatemala dall’inizio del 2014. Imagen de La Prensa

Spero che, se i mezzi finanziari lo permetteranno, l’anno prossimo potremo dare un piccolo aiuto, fornendo un esperto alla CICIG. Ma è una questione che va ancora discussa.

swissinfo.ch: In caso di malinteso, come far capire che la CICIG non è interventista, ma vuole solo dare un contributo alle istituzioni di uno Stato sovrano?

J.B.: Non vedo un problema in questo senso, perché la CICIG è stata costituita su richiesta del governo e il suo mandato deve essere approvato ogni due anni. Di recente, in maggio, il governo del Guatemala ha sollecitato l’ONU a estendere il mandato per altri due anni. Il mandato è definito chiaramente: sostenere il rafforzamento delle capacità istituzionali del paese, in particolare del Ministero pubblico, e appoggiare e proporre riforme in ambito legislativo e nel settore della giustizia.

swissinfo.ch: In questo senso, qual è il suo compito concreto in Guatemala?

J.B.: Uno dei compiti principali è davvero quello di promuovere i valori della politica estera svizzera, che comprendono il rispetto dei diritti umani. Lo facciamo per esempio implementando le nostre direttive sulla protezione dei difensori dei diritti umani. Accompagniamo organizzazioni per la difesa dei diritti umani, ascoltiamo dei casi, offriamo protezione se siamo confrontati con un caso grave. Lo facciamo nell’ambito del gruppo Filtro, di cui fanno parte l’Unione europea, la Norvegia e la Svizzera. Ascoltiamo i difensori dei diritti umani, cerchiamo di visitarli sul terreno: questo garantisce protezione, perché dà loro visibilità. Seguiamo anche dei processi in tribunale.

Insomma, cerchiamo attraverso la nostra presenza e l’attenzione internazionale di garantire una protezione ai difensori dei diritti umani che svolgono un lavoro importante nel loro paese, promuovendo diritti che rappresentano un aspetto importante della democrazia.

swissinfo.ch: Qual è la relazione tra questa difesa dei diritti umani e lo sviluppo democratico?

J.B.: I diritti umani e i diritti politici sono diritti fondamentali, vale a dire il diritto di esprimersi, il diritto di riunirsi. E questi sono i diritti che vengono violati, quindi questo è un aspetto fondamentale della democrazia. La democrazia non è solo la possibilità di eleggere i propri rappresentanti ogni quattro anni; è anche la possibilità di esprimersi, opporsi a situazioni che vanno a scapito della gente.

swissinfo.ch: Molti parlano di un risveglio, di una «primavera centroamericana». Secondo lei si tratta di un processo di transizione democratica?

J.B.: Sì, lo vedo così, però si tratta di un processo di lunga durata. In un paese come il Guatemala la democrazia non si costruisce da un giorno all’altro. Credo che queste proteste e anche la risposta del mondo politico, l’apertura che si sta creando, contribuiranno al processo di democratizzazione. 

In Guatemala c’è per esempio molto da fare affinché i partiti politici siano davvero partiti con una programma, con idee ben definite, con contenuti decisi in modo democratico all’interno del proprio gruppo, ciò che oggi quasi non esiste.

swissinfo.ch: A Berna sono custoditi i dati digitalizzati della Policía Nacional, che oggi non esiste più. È stato rinnovato l’accordo che permette di conservare in Svizzera questi dati sensibili?

J.B.: Sì, si tratta della collaborazione con l’archivio storico della polizia nazionale. Questi archivi contengono dati su persone assassinate durante il conflitto interno. Bisogna recuperare, documentare e rendere accessibili queste informazioni. Per chi? Per le famiglie che stanno cercando i loro cari e vogliono sapere come e dove morirono. E per fornire prove in alcuni procedimenti giudiziari.

La Svizzera conserva una copia di questi archivi nell’Archivio federale, come garanzia nell’eventualità che l’originale conservato in Guatemala vada perso. Questo impegno continua.

swissinfo.ch: È necessario spiegare ai cittadini svizzeri e ai parlamentari il lavoro che la Svizzera compie in Guatemala nell’ambito dei diritti umani?

J.B.: È sempre necessario rendere conto di quello che si fa. Alla fine si tratta di soldi dei contribuenti, investiti in un’attività che deve dare risultati. Il lavoro di elaborazione storica è importante nel caso del Guatemala. Stiamo parlando di compiti come quello relativo agli archivi della polizia nazionale o del progetto di investigazione forense, che serve a identificare i corpi e dar loro un nome e un volto. È un lavoro importante affinché fatti simili non si ripetano. E queste sono attività che la Svizzera sostiene.

swissinfo.ch: Altri programmi specifici?

J.B.: No. Come ambasciata siamo però molto interessati alla giustizia transizionale, in relazione con vari casi, per esempio quelli di genocidio. Anche qui, come dicevo parlando del tema dei difensori dei diritti umani, c’è l’interesse da parte della comunità internazionale che questi processi si svolgano in modo corretto, con indipendenza e oggettività. Quello che assumiamo è un ruolo politico.

swissinfo.ch: Parlando di genocidio, il pensiero va subito al caso Ríos Montt…

J.B.: Sì, lo stiamo seguendo. Una mia collaboratrice partecipa al processo, insieme a rappresentanti di altre ambasciate.

swissinfo.ch: Primavera del Centroamerica, presto le elezioni. Quanto è forte in Guatemala il desiderio che questi processi, in cui lei è coinvolto, si amplino e perdurino, in modo da rafforzare lo stato di diritto?

J.B.: La «primavera» è un termine coniato dall’Economist, è lì che l’ho letto per la prima volta. Esprime il fatto che la popolazione chiede un cambiamento, delle riforme, soprattutto nella lotta contro la corruzione e l’impunità. Sono convinto che sarà un processo lungo. Per la popolazione organizzarsi, formulare proposte concrete e partecipare in maniera costruttiva perché queste riforme vengano adottate è una sfida. Ma è il compito di un’intera generazione e non saranno le prossime elezioni a risolvere di colpo tutti i problemi.

Sostegno della Svizzera alla CICIG

2007: 435’000 dollari

2009: 300’000 dollari

2010: 200’000 dollari

2011: 100’000 franchi svizzeri

2012: 200’000 franchi svizzeri

Tra il 2009 e il 2014 esperti svizzeri hanno partecipato ai lavori della CICIG. La Svizzera è intervenuta attraverso il suo gruppo di esperti per la promozione civile della pace, per esempio con un investigatore di flussi finanziari.

Traduzione di Andrea Tognina

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