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La flessibilità diffusa del mercato del lavoro

Flessibilità e precarietà: dietro i veli del mercato del lavoro swissinfo.ch

In Svizzera come in Europa la trasformazione del mercato del lavoro si misura sulla deregolamentazione.

In Ticino uno studio della SUPSI ha indagato e analizzato l’ottica dei datori di lavoro che considerano l’ampiezza del fenomeno inevitabile e ineluttabile.

Sono infatti relativamente poche (il 22%) in Ticino le aziende che dichiarano di non fare uso di nessuna forma di lavoro atipico. Ciò significa che il 78% delle imprese fa capo al lavoro atipico.

E sebbene il 57% delle imprese valuti ottimo o buono l’utilizzo del lavoro flessibile, “si avverte una certa disponibilità da parte dei datori di lavoro – osserva l’economista Christian Marazzi e direttore di ricerca – ad entrare nel merito di una regolamentazione di questo fenomeno tramite l’estensione dei contratti collettivi o l’introduzione di un salario minimo legale”.

I risultati della ricerca non lasciano tuttavia dubbi: la flessibilità del lavoro, divenuta normalità, è essenzialmente una risorsa nelle mani degli imprenditori e non sembra essere uno strumento per creare nuova occupazione in forma duratura.

L’avvento della liberalizzazione



“Da più parti si è sostenuto e si sostiene – afferma Christian Marazzi – che per far fronte alla crisi economica e occupazionale, occorre deregolamentare il mercato del lavoro. Seguendo questa logica in tutti i paesi del mondo si sono approvate riforme con l’obiettivo di modificare l’organizzazione del lavoro”.

“Si sono voluti eliminare lacci e lacciuoli – gli fa eco Paola Villa, professore di Economia industriale all’Università di Trento – nella speranza di ridurre la disoccupazione in Europa” e di rilanciare un’economia affaticata.

Se dal 1970 al 1990 gli Stati Uniti hanno creato 30 milioni di posti di lavoro, nell’Unione europea gli impieghi creati sono stati 12 milioni. “Mentre negli USA – spiega Paola Villa – il tasso di disoccupazione era contenuto, nell’UE aumentava progressivamente”.

Così per “correggere” il trend negativo, l’UE ha affidato alla liberalizzazione e alla diffusione di nuove tipologie di contratti, la riforma del proprio mercato, caratterizzato da un basso tasso di occupazione rispetto agli USA o al Giappone.

Mercato a due velocità



“Impossibile però rilanciare il mercato attraverso la flessibilità. Sebbene l’Europa – spiega Villa – nel 2000 si sia data nuovi obiettivi strategici prestando maggiormente attenzione alle politiche attive (istruzione e formazione), il mercato a due velocità è una realtà”.

L’esempio dei bassi salari è lampante: il 44% delle persone con un basso salario riesce a migliorare la propria posizione solo dopo 7 anni, mentre la possibilità di uscire dal mercato del lavoro è del 30% (rispetto al 17% delle persone con salari più alti).

La storia si ripete e, in fondo, si assomiglia. La ricerca condotta in Ticino dalla Scuola Universitaria professionale (SUPSI) – intitolata “L’impresa della flessibilità” – conferma molte cose. “I motivi che spingono le aziende a ricorrere alla flessibilità – osserva la ricercatrice Angelica Lepori – sono di natura prevalentemente economica”.

La fatica di essere giovani e anziani

I lavoratori atipici sono essenzialmente giovani e con un livello di qualifica medio basso. “E questo è vero – precisa Lepori – soprattutto per le forme più precarie, come il lavoro interinale, e per i disoccupati che beneficiano delle misure di reinserimento professionale”.

Non va meglio per gli anziani; in alcune aziende si è addirittura operata una vera e propria espulsione del personale anziano, parte del quale reintegrato con mandati individuali o consulenze. “Esistono aziende, anche di grandi dimensioni, – puntualizza Lepori – dove non ci sono dipendenti con più di 55 anni”.

“In questi giorni si parla molto di disoccupazione giovanile, ma si fa poco. Non è solo la mancanza di posti di lavoro a preoccupare – ricorda la consigliera di Stato Patrizia Pesenti, che ha affidato il mandato di ricerca alla SUPSI – bensì la precarietà dei lavori che i giovani accettano di fare pur di non essere senza lavoro”.

“La somma di tanti impieghi precari – aggiunge la consigliera di Stato – non portano lontano”. Anzi la precarietà, l’insicurezza e la paura hanno effetti deleteri sullo stato di salute delle persone.

E per meglio comprendere le relazioni tra lavoro e sofferenza psichica in Ticino sarà creato un Laboratorio di psicopatologia del lavoro.

swissinfo, Françoise Gehring, Lugano

In Ticino il 78% delle imprese fa capo al lavoro atipico
Il 40% degli imprenditori sostiene di non volere aumentare il lavoro flessibile in azienda
Il 28% dichiara di voler aumentare il lavoro atipico
Nell’UE il programma strategico 1997-2002 per il rilancio dell’occupazione ha creato 10 milioni di impieghi

L’analisi della diffusione delle diverse forme di lavoro atipico nella aziende del Canton Ticino, mette in evidenza il punto di vista dei datori di lavoro in merito alla flessibilità dell’impiego.

La ricerca “L’impresa della flessibilità” mette in evidenza come la flessibilità sia una risorsa nelle mani degli imprenditori. E uno strumento che genera disagio, insicurezza ed esclusione.

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