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La posizione forte della diplomazia israeliana

Funerale di un membro di Hamas ucciso da un missile israeliano a Rafah, 5 gennaio 2009 Keystone

In Svizzera, così come in altri paesi occidentali, le reazioni alle operazioni militari di Israele nella Striscia di Gaza sono piuttosto moderate. Per l'intervento in Libano le cose andarono diversamente. Due esperti spiegano il perché.

«Le reazioni della comunità internazionale sono giudicate molto comprensive dagli stessi dirigenti israeliani. In effetti, i toni sono molto diversi da quelli usati in altre occasioni, come le operazioni in Libano nel 2006 o la presa del campo di Jenin, in Cisgiordania, nel 2002», afferma Pascal de Crousaz, ricercatore e specialista di Medio Oriente.

«Negli ultimi tempi, la diplomazia israeliana ha constatato con soddisfazione di essere riuscita a riconquistare qualche punto sulla scena internazionale. Lo testimoniano ad esempio gli accordi siglati recentemente dall’Unione europea con lo stato ebraico».

Prudenza svizzera

Anche la Svizzera, in quest’occasione, si è mossa con maggiore prudenza del solito. In un comunicato diramato il 27 dicembre, il Dipartimento federale degli affari esteri ha denunciato come prima cosa Hamas e i razzi lanciati dalla Striscia di Gaza in direzione d’Israele.

Per Yves Besson, già membro del corpo diplomatico svizzero, questa prudenza ha delle motivazioni interne. «La ministra degli esteri Micheline Calmy-Rey è stata ripresa dai suoi colleghi di governo quando ha criticato Israele per la guerra contro Hezbollah in Libano nel 2006».

Pascal de Crousaz aggiunge che «senza dubbio la Svizzera non vuole esporsi troppo nei confronti di Israele». Questo per non intensificare «le tensioni che si sono venute a creare nel 2007, quando Berna ha concluso un accordo per le forniture di gas con Teheran».

Prudenza occidentale

Ma a contare non sono solo gli specifici interessi elvetici. Anche il resto dei paesi occidentali è piuttosto prudente. «La situazione è molto diversa da quella del 2006 in Libano», afferma de Crousaz. «A Gaza non siamo di fronte ad uno stato sovrano. Hamas ha preso il potere con la forza, anche se in precedenza ha vinto le elezioni».

«I governi occidentali non contano su un controllo perenne della Striscia di Gaza da parte di Hamas. Anzi, il radicalismo islamico non è ben visto in occidente».

Anche Yves Besson è dello stesso parere. «Molte cancellerie – anche nel mondo arabo e in seno all’autorità palestinese – sarebbero felici di sbarazzarsi di Hamas. In questo contesto, la Svizzera non vuole certo profilarsi come l’unico difensore occidentale di Hamas».

Aspettando Obama

Secondo Yves Besson, Hamas non potrà probabilmente contare nemmeno sul sostegno degli Hezbollah libanesi. Questi ultimi sono legati all’Iran e «l’Iran non vuole giocarsi l’opportunità d’instaurare un dialogo con la nuova amministrazione degli Stati uniti».

Barack Obama, che entrerà in carica il 20 gennaio, per il momento tace. Il suo silenzio su Gaza stupisce i media, ma non Pascal de Crousaz: «Obama non vuole esporsi inutilmente esprimendosi su un soggetto tanto delicato. Rischierebbe di svelare anzitempo il suo piano d’azione». De Crousaz ricorda poi che le priorità dell’amministrazione Obama in Medio Oriente sono rappresentate dall’Iraq e dal dossier nucleare iraniano piuttosto che dal conflitto tra Israele e i Territori palestinesi.

Il risultato è che «gli israeliani approfittano dell’interregno negli Stati uniti per agire con una certa impunità dal momento che hanno ottenuto il sostegno del presidente uscente George W. Bush».

«La situazione è di un cinismo notevole», commenta Yves Besson. «Soprattutto se si pensa al destino della popolazione civile di Gaza. Ma la buona diplomazia non si fa con i buoni sentimenti».

Prospettive di pace

Besson non esclude che l’atteggiamento attuale dei paesi occidentali sfoci in una forte pressione per un accordo globale di pace tra Israele e la Palestina una volta entrata in funzione la nuova amministrazione statunitense.

Bisognerà però che Israele raggiunga rapidamente i suoi obiettivi e che il suo esercito non commetta – come in passato – dei gravi errori. Questo soprattutto perché in ambito arabo i paesi in buoni rapporti con l’occidente sono in difficoltà. «La loro posizione è sempre più delicata», afferma Pascal de Crousaz. «Maggiori sono la durata e l’impatto sulla popolazione di Gaza dell’operazione militare israeliana, maggiore sarà l’adesione dell’opinione pubblica di questi paesi alla causa dei palestinesi e di Hamas».

swissinfo, Frédéric Burnand, Ginevra
(traduzione, Doris Lucini)

L’ambasciatore Jean-Daniel Ruch, incaricato di missioni speciali, ha dichiarato all’Agenzia telegrafica svizzera che la priorità della diplomazia elvetica è ottenere l’accesso umanitario alla Striscia di Gaza.

«La popolazione civile [della Striscia di Gaza] paga un pesante tributo. La situazione umanitaria, già difficile [a causa dell’embargo israeliano], si è deteriorata», ha detto Ruch. «Occorre che l’aiuto umanitario, in particolare medicinali e cibo, possa giungere a Gaza in maggiori quantità».

Ruch ha aggiunto che la Svizzera non è coinvolta nelle trattative diplomatiche in corso.

La Confederazione ha mantenuto dei rapporti con i rappresentanti di Hamas dopo le elezioni del gennaio del 2006. Nello stesso anno, la diplomazia elvetica ha contribuito alla redazione di un documento volto a facilitare il dialogo tra Israele e Hamas. Secondo Jean-Daniel Ruch si tratta di sforzi che non hanno portato alcun frutto.

In seguito ai combattimenti in corso a Gaza fra militari israeliani e militanti di Hamas, la Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC) si è vista costretta a sospendere le sue attività nel territorio palestinese, tra cui il programma di distribuzione di medicinali.

Negli ultimi giorni anche le infrastrutture di una delle organizzazioni partner della DSC sono state danneggiate in un bombardamento, ha reso noto Toni Frisch, responsabile dell’aiuto umanitario svizzero. Secondo Mario Carera, direttore dell’ufficio della DSC nei territori palestinesi, a Gaza è in corso una vera e propria “catastrofe umanitaria”.

La DSC ha intanto deciso di mettere altri 4 milioni di franchi a disposizione del CICR e dell’Agenzia dell’ONU per i rifugiati in Palestina. Anche il capo delle operazioni del CICR a Gaza Pierre Kraehenbuehl ha denunciato l’impossibilità di prestare soccorso alle vittime, in seguito alle difficoltà di spostamento nel territorio palestinese.

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