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La protesta dei sudanesi giunge all’ONU

Il gruppo di sudanesi rimane sotto la sorveglianza delle guardie di confine. Ti-Press

Intercettati mercoledì notte dalle guardie di confine nei boschi sopra Chiasso, i 57 cittadini sudanesi hanno saputo fare ascoltare la loro voce.

Giunti da Milano per denunciare condizioni di maltrattamento e minacce, ora intendono illustrare la loro condizione ad un funzionario dell’ONU.

Grazie infatti alla mediazione del consigliere di Stato Luigi Pedrazzini, che proprio l’altro giorno si era incontrato con il relatore speciale dell’ONU sul razzismo Dodudou Diène – per la prima volta in Svizzera – oggi è atteso l’arrivo dell’olandese Hans Lunshof, rappresentante dell’Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite.

Ospitati nei locali della Protezione civile di Castel San Pietro, dove sono in attesa di una decisione, i sudanesi avevano la ferma intenzione di raggiungere la sede delle Nazioni Unite a Ginevra per denunciare le condizioni di vita cui sono costretti a Milano.

Una mano tesa

Fermati a Chiasso, hanno sospeso lo sciopero della fame solo dopo la mediazione del ministro ticinese. “Mi è ben chiaro – ha detto alla stampa Pedrazzini – che siamo in presenza di un caso di entrata illegale in Svizzera, tanto più che queste persone dispongono di un regolare permesso di soggiorno in Italia. Nulla osta, dunque, al loro rinvio”.

“Tuttavia, per ragioni di tipo sanitario e umanitario – ha aggiunto il consigliere di Stato – ho assicurato loro che saranno riaccompagnati alla frontiera solo dopo l’incontro con un funzionario dell’ONU”.

“Non era comunque nostra intenzione – fa notare il portavoce del gruppo Imam Ahmed – stabilirci in Svizzera. Volevamo e vogliamo unicamente parlare con un rappresentante dell’ONU, che ha sede in questo paese. Rientrare in Italia? Sì, siamo disposti, ma solo a determinate condizioni. E soltanto se avremo una casa”.

Linea dura a Milano

Da Milano, intanto, si fa sapere che non c’è nessuna intenzione di adottare una linea morbida nei confronti del gruppo che, con altri cittadini, aveva occupato uno stabile nel capoluogo lombardo.

“Se tornano in Italia – ha dichiarato alla stampa il portavoce del comune Massimo Zennaro – dovranno tornare nel dormitorio e accettare le regole. O accettano, o vadano dove vogliono”.

Dalle notizie che si rincorrono in questi giorni sui giornali al di qua e al di la della frontiera, sembrerebbe che a Milano non sappiano più che cosa fare, dal momento che i sudanesi non si esprimerebbero in modo chiaro neppure sulle soluzioni alternative proposte.

Le conseguenze della Bossi-Fini

Secondo gli operatori sociali e umanitari, la situazione in cui si trovano i sudanesi è una delle conseguenze della Legge sull’immigrazione Bossi-Fini, che ha ridotto i tempi di accettazione delle domande d’asilo.

Prima dell’entrata in vigore delle nuove norme, i richiedenti l’asilo venivano ospitati in centri di accoglienza dove avevano la possibilità di imparare la lingua e cominciare a muoversi nel mondo del lavoro.

Ora, con le nuove regole, una volta ottenuto il permesso non possono più accedere a strutture di protezione. Spesso, dunque, si trovano allo sbaraglio in una società che non conoscono.

Le speranze per un lieto fine di questa odissea è dunque nelle mani del commissario delle Nazioni Unite, giunto venerdì in Ticino. Ma i primi colloqui con i cittadini sudanesi non hanno dato alcun esito.

Il gruppo, che non intende tornare in Italia, è stato temporaneamente trasferito al Centro di registrazione dei richiedenti l’asilo di Chiasso.

swissinfo, Françoise Gehring

11 gennaio: le guardie di confine svizzere intercettanno nella notte un gruppo di sudanesi
Il gruppo è composto di 57 persone, di età compresa tra i 20 e i 30 anni
12 gennaio: fine dello sciopero della fame dopo la mediazione del canton Ticino
13 gennaio: incontro con il mediatore dell’ONU

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