Prospettive svizzere in 10 lingue

Le molte lingue dei confederati

L'antica Confederazione come Babele: ogni villaggio un'altra lingua (foto: people.freenet.de) swissinfo.ch

Fino al 1800 gli svizzeri si muovevano liberamente sul territorio e nelle lingue. Un passato multiculturale ante litteram?

L’antica Confederazione era un paese dalle “quaranta lingue”; lo dimostra lo storico Norbert Furrer.

Nel 1608, il diplomatico veneziano Giovanni Battista Padavino, descrivendo la Confederazione, annotava con una certa ammirazione: “Gli abitanti sono di complessione così forte che non sanno cosa sia fatica, e molti professano belle lettere e soprattutto, più di qualsivoglia nazione, si dilettano oltre la lingua materna, tedesca o savoiarda, posseder la francese, l’italiana, la latina e qualch’altra”.

I montanari dei secoli passati risultavano agli occhi dell’osservatore come lavoratori, ma interessati alla cultura e soprattutto versatili nelle lingue. Lo dimostra il caso dello spazzacamino Paolo Pancaldi di Ascona. Un bando lo descrive così: “Bocca di dimensioni medie, un segno sul labbro superiore, cammina un po’ curvo e parla italiano, tedesco, polacco e boemo”.

Il cestaio Peter Nicolet di Morat invece era alto cinque piedi e unici pollici, la sua pelle si presentava coperta di butteri, i segni del vaiolo, ma parlava “francese, tedesco, olandese, italiano e il dialetto friburghese”. La sua scheda risale al 1819 quando Nicolet aveva solo 23 anni.

Pluralità linguistica

Attraverso il suo studio interdisciplinare fra storia e linguistica, lo storico Norbert Furrer ha analizzato il rapporto con le lingue fra Settecento e Ottocento, presentando dei risultati sorprendenti. Mentre la didattica contemporanea e le organizzatissime scuole odierne raggiungono solo risultati modesti nell’acquisizione delle lingue straniere, in passato il pluriliguismo era una realtà consolidata.

Oggi solo la Svizzera tedesca conserva gelosamente il dialetto, obbligando tutti i parlanti alla diglossia, ma si notano comunque dei fenomeni di appiattimento. Nella Svizzera italiana i dialetti convivono e si amalgamano con la lingua standard. In Romandia il patois è invece praticamente scomparso a favore del francese.

Diversamente, in passato le regioni avevano una loro caratteristica identificabile. Ogni villaggio e ogni vallata aveva una sua parlata particolare. Soprattutto chi si spostava doveva dunque imparare altre lingue per comunicare.

Tutti gli strati sociali

Attraverso l’analisi della versatilità linguistica, Furrer relativizza l’idea che in passato la gente fosse esclusivamente legata al luogo di nascita. Proprio nelle classi sociali più sfavorite c’era una mobilità notevole, imposta dalla necessità di cercare lavoro.

Ma anche in loco molti erano confrontati con più idiomi. Nelle chiese della Svizzera francese si predicava in francese, ma per la cura d’anime il pastore faceva riferimento alla lingua del posto. I sacerdoti cattolici ticinesi dovevano conoscere l’italiano e il latino; gli omologhi protestanti svizzero-tedeschi durante gli studi imparavano, oltre alla lingua scritta, anche dei rudimenti di greco e ebraico.

L’élite della città di Berna faceva uso comune del francese come lingua di cultura. Ma anche fra gli umili e gli analfabeti, le conoscenze orali di svariate lingue erano molto diffuse e nel parlato le varianti si mischiavano senza inibizioni.

Lezione per il futuro?

Malgrado la società di oggi sia definita multiculturale, Furrer non registra un aumento della disponibilità all’acquisizione di altre lingue. Sempre più l’inglese sostituisce le altre lingue; “una volta era il latino ad essere la lingua franca fra gli eruditi”, suggerisce Furrer, ma non c’è più la prossimità e la varietà conosciuta un tempo.

“L’acquisizione spontanea è in gran parte scomparsa con il cambiamento della società”, conclude l’autore.

swissinfo/Daniele Papacella

Il libro apparso solo in tedesco: Norbert Furrer, Die vierzigsprachige Schweiz, Sprachkontakte und Mehrsprachigkeit in der vorindustriellen Gesellschaft (15.-19. Jahrhundert), 2 volumi, Chonos Verlag, Zurigo 2002.

Con dovizia di particolari lo storico Norbert Furrer ripercorre le tracce del comportamento linguistico degli abitanti dell’antica Confederazione.
Commerci, emigrazione, servizio mercenario imponevano la conoscenza di più lingue.
Nei secoli passati il plurilinguismo non era appannaggio di una classe colta, ma dote diffusa anche fra gli analfabeti.

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