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Libera circolazione con l’UE: i sì sfiorano il 60%

Il settore alberghiero svizzero potrà continuare a contare anche su personale europeo Keystone

L'elettorato elvetico si è categoricamente pronunciato per la libera circolazione delle persone tra Svizzera e Unione europea. Nella votazione federale di domenica i sì hanno quasi raggiunto il 60%. Solo in quattro cantoni l'oggetto è stato bocciato. La partecipazione ha superato il 50%.

La vittoria dei sostenitori del rinnovo dell’accordo per la libera circolazione delle persone e la sua estensione a Romania e Bulgaria sembra aver nettamente superato le attese. L’oggetto è infatti stato approvato con il 59,6% di voti a favore, contro il 40,4% di no.

Per la riuscita dell’oggetto sarebbe bastata la semplice maggioranza popolare. Comunque anche a livello di cantoni l’approvazione è stata schiacciante: a favore si sono schierati 17 cantoni e 5 semicantoni. Soltanto Ticino, Svitto, Glarona e Appenzello Interno si sono pronunciati contro.

Gli elettori elvetici si erano già espressi in passato sulla libera cirocolazione delle persone, approvando l’accordo nel 2000 ed esprimendosi a favore della sua estensione ai nuovi paesi dell’Unione europea nel 2005.

Questa volta la campagna era apparsa però più dura del passato e i sondaggi prevedevano che il risultato si sarebbe probabilmente giocato sul filo di lana o comunque su pochi punti percentuali. Invece questa volta il sì è stato addirittura superiore di quasi 4 punti percentuali rispetto al settembre 2005. La volontà popolare non lascia dunque ombre di dubbi sulla strada che i cittadini vogliono seguire.

La discussione sul decreto unico

La campagna aveva preso avvio già al momento della discussione del relativo decreto alle camere federali. La destra aveva reagito con indignazione alla decisione del parlamento – contraria alle intenzioni del governo – di unire in un solo decreto le due questioni, proroga ed estensione.

La discussione si era concentrata, soprattutto all’inizio, su quel punto. Per la destra, l’unione delle due questioni avrebbe impedito ai votanti di esprimersi liberamente sull’estensione dell’accordo a Romania e Bulgaria.

In particolare l’Unione democratica di centro (UDC), che in passato si era espressa favore della libera circolazione e che solo con qualche esitazione ha deciso di sostenere il referendum in votazione l’8 febbraio, ha insistito su questo argomento. L’UDC si diceva infatti contraria solo all’estensione a Romania e Bulgaria.

La maggioranza del parlamento, invece, ha ritenuto che le due domande non possano essere distinte, perché l’Unione europea in ogni modo non accetterebbe che due dei suoi stati membri siano discriminati rispetto agli altri.

L’economia e i corvi

Nel corso della campagna, anche altri argomenti erano venuti in primo piano. Da parte dei fautori della libera circolazione delle persone si era messo l’accento in particolare sull’importanza economica dell’accordo e sulle misure di accompagnamento volte a evitare fenomeni di dumping salariale.

Il fronte del no aveva invece insistito sui pericoli di una presunta immigrazione incontrollata per lo stato sociale elvetico e per la sicurezza del paese. Questo diffuso senso di minaccia è stato riassunto nell’immagine dei corvi che si avventano sulla Svizzera, apparsa nei manifesti della campagna per il no.

Pur non raggiungendo i livelli di provocazione toccato dalla destra nazional-conservatrice in altre campagne di voto, il manifesto con i corvi ha dimostrato una volta di più la capacità dell’UDC di occupare il terreno sul piano dell’immagine, costringendo gli avversari a reagire alle sue provocazioni.

Nel corso della campagna sono stati sollevati anche argomenti contrari all’intero accordo sulla libera circolazione delle persone, a riprova del fatto che per una parte del fronte del no il problema non è rappresentato solo dalla Romania e dalla Bulgaria, ma dall’idea stessa di un apertura del mercato del lavoro ai cittadini di altri paesi.

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Ipotetiche conseguenze in caso di bocciatura

Una questione che ha fatto molto discutere è stata inoltre quella delle conseguenze di un’eventuale maggioranza contraria al decreto. Per i fautori della libera circolazione era chiaro che un no alle urne non solo avrebbe messo fine all’accordo sulla libera circolazione, ma avrebbe fatto scattare irrimediabilmente la clausola ghigliottina, facendo crollare l’intero impianto dei bilaterali I.

Il fronte del no affermava invece che la clausola ghigliottina scatterebbe solo se uno dei due partner abrogasse esplicitamente l’accordo. Non avendo i due partner interesse a che questo accada, rimarrebbe lo spazio – secondo i sostenitori del no – per rinegoziare l’estensione della libera circolazione delle persone alla Romania e alla Bulgaria.

L’argomento si basa sul fatto che secondo la lettera dell’accordo, la clausola ghigliottina scatta sei mesi dopo la notifica del mancato rinnovo dell’accordo. E la notifica dovrebbe avvenire «prima che scada il periodo iniziale» dell’accordo, vale a dire entro la fine di maggio, altrimenti l’accordo sarebbe tacitamente prorogato.

Appariva però inverosimile che il governo potesse semplicemente ignorare il responso delle urne e non comunicasse l’esito della votazione a Bruxelles. A livello politico del resto, un no avrebbe aperto una fase di incertezza nelle relazioni tra la Svizzera e l’Unione europea.

swissinfo, Andrea Tognina

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L’accordo concede ai cittadini elvetici ed europei il diritto di scegliere il paese in cui soggiornare e lavorare.

La libera circolazione non è incondizionata. Per ottenere un permesso di soggiorno occorre essere in possesso di un contratto di lavoro, dimostrare di esercitare un’attività indipendente oppure disporre di mezzi finanziari sufficienti e di un’assicurazione malattie.

Per evitare fenomeni di dumping salariale e sociale, la Confederazione ha introdotto delle misure di accompagnamento. In caso di abuso salariale reiterato possono essere adottate misure che garantiscono condizioni salariali minime obbligatorie.

L’estensione della libera circolazione alla Bulgaria e alla Romania avverrà gradualmente. Durante un periodo di sette anni l’immigrazione da questi paesi sarà sottoposta a diverse restrizioni: contingenti, priorità alla manodopera indigena, controllo preventivo delle condizioni salariali e lavorative

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