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Liberata la delegata filippina rapita da Abu Sayyaf

La 37enne Mary Jean Lacaba, liberata giovedì dal gruppo Abu Sayyaf Reuters

Il gruppo armato Abu Sayyaf, che ha rapito tre delegati del CICR nel sud delle Filippine, ha rilasciato giovedì la delegata filippina Mary Jean Lacaba. Rimane incerta la sorte dello svizzero Andreas Notter e dell'italiano Eugenio Vagni.

I tre impiegati del Comitato internazionale della Croce rossa (CICR) – la filippina Mary Jean Lacaba, l’italiano Eugenio Vagni e lo svizzero Andreas Notter – sono stati rapiti lo scorso 15 gennaio durante la visita a una prigione. La donna è stata liberata giovedì: la notizia, annunciata da un’emittente locale, è stata confermata dall’ambasciata italiana a Manila.

«Esiste una rete costante di collegamento con i negoziatori della Croce Rossa internazionale con cui è bene non interferire», aveva dichiarato il ministro degli esteri italiano Franco Frattini. Mercoledì il governo elvetico aveva rivolto un appello ai sequestratori, chiedendo di liberare gli ostaggi e sottolineando che essi si trovavano nelle Filippine per aiutare la popolazione.

Il governatore Sakur Kan aveva dichiarato martedì lo stato d’emergenza sull’isola, situata nella zona settentrionale dell’arcipelago filippino (circa 7’000 isole): questo provvedimento consente di effettuare un’operazione armata contro i rapitori che minacciano di decapitare i prigionieri.

Dubbia matrice islamica

Per giustificare la sua fermezza, il governo filippino ha dichiarato che Abu Sayyaf fa parte della nebulosa terroristica di Al Qaida. Un’affermazione contestata da un analista svizzero che desidera rimanere anonimo: «Si tratta di un gruppo criminale senza obiettivi politici. Le attività criminose sono camuffate dietro una parvenza islamica, ma in realtà questa formazione non gode di alcun seguito presso la popolazione».

Un’opinione condivisa dalla studiosa francese Sophie Boisseau du Rocher, ricercatrice all’Asia centre di Parigi e autrice del libro L‘Asie du Sud-Est prise au piège (Il sud-est asiatico in trappola), dedicato in parte alle Filippine.

«Durante i miei ultimi viaggi nelle Filippine, ho appreso che le cellule di Al Qaida in contatto con i diversi movimenti musulmani delle Filippine meridionali hanno parecchi problemi con Abu Sayyaf, perché questo gruppo non scende a patti con nessuno», spiega l’esperta.

In particolare, aggiunge, «si tratta di un gruppo ribelle che rifiuta di negoziare sul piano politico e preferisce far parlare le armi. Abu Sayyaf è noto per le sue azioni di banditismo, mentre non ha mai avuto un programma politico definito».

Dopo la sua creazione, nel 1991, il gruppo ha dato filo da torcere ai successivi governi filippini, che non sono mai riusciti a venirne a capo. Anche se l’esercito lo ha molto indebolito nel corso degli ultimi anni, «la capacità di resistenza di Abu Sayyaf è stupefacente», rileva Sophie Boisseau du Rocher.

Base criminale

«Oggigiorno, il gruppo è costituito da giovani scarsamente istruiti e senza punti di riferimento, che sono poi ‘riconvertiti’ in terroristi islamici», afferma la ricercatrice.

Decisamente violento, Abu Sayyaf non esista a uccidere: nel mese di aprile del 2007 il gruppo ha infatti decapitato sette ostaggi cristiani. «I loro bersagli sono generalmente dei filippini cristiani o degli occidentali. Vengono però presi di mira anche dei musulmani, per esempio a scopo di estorsione».

Il raggio d’azione è costituito principalmente dall’isola di Jolo, in una regione a maggioranza musulmana (mentre a livello nazionale i cattolici sono l’83% della popolazione).

Antiche tensioni

Pur non avendo un vero e proprio programma politico, Abu Sayyaf rivendica la creazione di uno Stato islamico e sfrutta la lotta – in corso dagli anni Settanta – tra i separatisti musulmani e le autorità di Manila.

Le radici di questo conflitto affondano nel passato: «Quando, nel XVIesimo secolo, gli spagnoli sono sbarcati nelle Filippine, si sono trovati di fronte dei musulmani che erano giunti fino alle porte di Manila. Sono quindi riusciti a farli retrocedere, ma non oltre l’isola di Mindanao [al sud del paese, comprendente la regione di Jolo]», fa presente Sophie Boisseau du Rocher.

Di conseguenza, l’area meridionale dell’arcipelago filippino è sempre stata difficilmente controllabile, sia dai coloni spagnoli, sia dagli americani, sia dalle autorità indipendenti cristiane.

La regione è quindi stata marginalizzata, e a volte completamente ignorata, dal governo di Manila. «Non vi sono infrastrutture, gli ospedali e le scuole scarseggiano: in assenza di prospettive, la gioventù locale preferisce spesso darsi al banditismo».

Questo contesto ha inoltre costituito un terreno fertile per i principali movimenti separatisti delle Filippine meridionali, come il Fronte di liberazione nazionale Moro e i dissidenti del Fronte islamico di liberazione Moro.

L’alleato americano

Sophie Boisseau du Rocher fa notare che le rivendicazioni di Abu Sayyaf sono simili a quelle di analoghi gruppi presenti in Indonesia: viene auspicata la creazione di uno Stato islamico comprendente le isole musulmane dell’Indonesia, una parte della Malesia e le Filippine meridionali.

Secondo l’esperta, Abu Sayyaf sa sfruttare astutamente le occasioni per farsi notare a livello internazionale. «Non è un caso che la presa di ostaggi coincida con la visita di Hillary Clinton nella regione. Durante il suo viaggio, la Segretaria di Stato ha infatti affermato che gli Stati Uniti sarebbero ridiventati l’alleato principale dell’Asia sudorientale, ricordando che gli americani sostengono e consigliano l’esercito filippino nella sua lotta contro i ribelli».

swissinfo, Frédéric Burnand, Ginevra
(traduzione e adattamento: Andrea Clementi)

Le isole di Jolo, Mindanao e Basilan, situato circa 1’000 chilometri a sud di Manila, costituiscono una delle roccaforti del gruppo Abu Sayyaf.

Secondo le forze di sicurezza filippine, che hanno dispiegato a Jolo circa 8’000 militari, Abu Sayyaf può contare su circa 400 militanti.

Il gruppo è stato fondato all’inizio degli anni Novanta dal predicatore islamico Abdulrajak Abubakar Janjalani, ucciso nel 1998.

Martedì mattina è scaduto l’ultimatum dei ribelli filippini che da 75 giorni tengono in prigionia tre operatori del Comitato internazionale della Croce rossa.

Il gruppo Abu Sayyaf ha ribadito la minaccia di decapitazione, se le truppe del governo filippino non si ritireranno dai 14 villaggi della provincia di Sulu entro il 31 marzo.

Il ministro dell’interno filippino Ronaldo Puno ha dichiarato che «è impossibile completare il ritiro entro la data imposta dai ribelli».

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