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L'integrazione vien mangiando

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In Svizzera vivono persone di molte differenti nazionalità e tutti devono mangiare. Qui raccontiamo le storie di cinque migranti arrivati in Svizzera negli ultimi 60 anni dall'Italia, dal Portogallo, da Taiwan, dal Canada e dalla Siria, portando con sé le proprie tradizioni culinarie. Per ognuno di loro cucinare, mangiare e condividere le ricette sono diventati parte del loro percorso per adattarsi alla vita in Svizzera.

Seguite il loro viaggio e imparate le loro ricette.

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01 Urbania to Bern

di Zeno Zoccatell
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Adriano Tallarini
Adriano Tallarini
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Adriano Tallarini, oggi ottantanovenne, è stato uno dei pionieri della cucina italiana a Berna. Nella capitale svizzera la sua eccezionale vocazione da ristoratore ha anche giocato un ruolo importante nel processo di integrazione della più grande comunità straniera della Confederazione.

Basta varcare la porta del Dolce Vita di Berna per capire che non si tratta di un ristorante italiano qualunque. Sono le 10:00 di mattina di un freddo martedì di febbraio quando entriamo e improvvisamente siamo catapultati in un altro mondo.

Il silenzio gelido delle strade viene spazzato via dal chiacchiericcio di decine di persone e dal caldo profumo del caffè. C'è chi legge il giornale, chi discute, chi già sorseggia una birra in compagnia.

Si sente qua e là qualche parola in italiano, portoghese o spagnolo, ma sicuramente la lingua dominante è il dialetto bernese. Si intuisce all'istante che il locale è il ritrovo della gente del quartiere.

La maggior parte dei ristoranti della città a quest'ora sono probabilmente ancora vuoti o semplicemente chiusi.

Il merito di tutto ciò è soprattutto del padrone del Dolce Vita, l'ottantanovenne Adriano Tallarini. Colbacco in testa e fotografie alla mano, questa leggenda vivente ci raggiunge al tavolo, ci fa portare un caffè, e comincia a raccontare la sua storia. Una storia che si intreccia con quella dell'emigrazione italiana in Svizzera.

Gli italiani formano oggi la più grande comunità straniera residente nella Confederazione e li si cita regolarmente come modello di integrazione. La cucina italiana è parte del quotidiano elvetico. Ma non è sempre stato così.

Specialmente nel periodo a cavallo tra gli anni '60 e '70, gli immigrati italiani si sono scontrati con i pregiudizi e la diffidenza degli autoctoni. Sono famose le iniziative "contro l'inforestierimento" che spesso hanno toccato anche l'ambito gastronomico. Oltre a mangiare troppo aglio, si diceva anche che gli italiani non disdegnassero pietanze assai esotiche, quali gatti o addirittura cigni.

Grazie al suo lavoro, Adriano Tallarini ha sconfitto molti pregiudizi. Ma la sua è anche una storia di incredibile successo imprenditoriale.

Non c'erano denari

Adriano è nato ad Urbania, in Provincia di Pesaro. I suoi genitori avevano un'osteria. " L'osteria è la forma più bassa di ristorazione", ci spiega, "dove si mangiano cose che costano poco, ma fatte benissimo. Io sono cresciuto in quell'ambiente".

Tuttavia, "i denari non correvano, non c'erano". Per questa ragione, come molti altri, nel 1955 decide di cercare fortuna all'estero.

Dopo una rocambolesca esperienza al buffet della stazione della località sciistica di Wengen (vi invitiamo a farvi raccontare i dettagli direttamente dal signor Tallarini, sappiate che c'entrano relazioni extra coniugali e sospetti infondati di malattie sessualmente trasmissibili), Adriano arriva a Berna e comincia a lavorare come cameriere al ristorante Walliser Kanne.

Durante i 10 anni passati in quel locale dove "non c'era ventilazione e l'aria si tagliava con la spada da quanto fumo c'era" il giovane si dà da fare, si diploma e ottiene la gestione della Casa d'Italia.

Adriano Tallarini
Adriano Tallarini
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di Carlo Pisani

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"È qui che è cominciata la vera battaglia e la mia passione. Ho dato tutto me stesso", racconta, "il ristorante era vecchio e tutto da rifare. Ci ho messo un impegno incredibile. Cominciavo alle 6:00 e lavoravo anche 12 ore al giorno".

La fatica di Tallarini dà suoi frutti. La Casa d'Italia non è ancora un locale pubblico a tutti gli effetti. La sua patente gli permette di servire solo gli italiani, ma i clienti svizzeri cominciano a frequentare il ristorante sempre più numerosi fino a che, nel 1982, la "segregazione" finisce ufficialmente. "Jetzt sind die Spaghetti legal" ("Gli spaghetti sono diventati legali"), titolava il quotidiano bernese "Berner Zeitung".  

Un esempio di integrazione che non è passato inosservato alle autorità italiane. Nel 1986 Adriano Tallarini viene insignito del titolo di Cavaliere della Repubblica.

E anche Werner Bircher, l'allora sindaco di Berna, un anno più tardi gli scrive una lettera nella quale si legge: " Con grande cuore, abilità e dedizione, Adriano Tallarini ha portato la Casa d'Italia a piena fioritura e ha contribuito in modo decisivo a stabilire buoni rapporti tra italiani e bernesi in questo luogo attraverso il godimento condiviso delle prelibatezze culinarie. È riuscito a trasformare la Casa d'Italia in molto più di un semplice ristorante. È un luogo d'incontro popolare dove i suoi compatrioti, così come gli abitanti e i membri delle associazioni della città, si sentono a casa. "
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Pioniere della ristorazione

Il successo è anche economico. "Quando sono arrivato l'incasso era di 400'000 franchi l'anno, quando sono partito, 14 anni dopo, era di 4,7 milioni", racconta Adriano con una punta di orgoglio.

Tallarini acquista poi il Boccalino, uno dei molti ristoranti di cui diventerà proprietario, alcuni semplicemente perché vicini a uno che già possedeva. "Così non arrivavano concorrenti", dice.

Come un re Mida della ristorazione, riesce a portare al successo ogni suo locale. Fra questi, uno di cui sembra andare particolarmente fiero è "il Mappamondo", nome scelto perché doveva essere un luogo "per tutte le genti di qualsiasi categoria, nazionalità e colore. Con una grande sala per le associazioni. Ed è diventato davvero il ristorante di tutti".

Ma qual è il suo segreto, gli chiediamo. Deve essere una domanda che gli pongono spesso perché comincia a recitare l'elenco dei suoi principi deontologici come un alunno reciterebbe in classe la poesia imparata a memoria:

"Presenza continua e grande disponibilità, massima cordialità e ospitalità, rigorosa garanzia di prodotti freschi, di qualità e di quantità. Sono cose indiscutibili".

"Un altro aspetto è il personale. Non solo lo rispetto e lo pago bene, ma lo amo come se fosse parte della famiglia".

"Poi ci sono i prezzi. Qui al Dolce Vita sono 10 anni che non li aumento".

Di segreti, insomma, ce ne sono tanti, ma forse il più importante resta la passione e l'amore per il proprio lavoro. Oggi Adriano Tallarini possiede solo il Dolce Vita, ma spesso la mattina "fa la cassa" e tutti i pomeriggi li trascorre al ristorante giocando (anzi "combattendo") a carte con un gruppo di amici.

"Quando passo, saluto i clienti e domando se hanno mangiato bene. Loro mi rispondono 'wie immer' 'come sempre', e questo per me vale più di qualsiasi stipendio. Questo è quello che mi tiene in vita e mi fa star bene".
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02 Oporto to Fribourg

di Fernando Hirschy
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Con curiosità ed etica del lavoro, un giovane panettiere portoghese ha scoperto nuovi orizzonti in Svizzera, una pagnotta dopo l'altra.

È inverno e nella Svizzera occidentale il vento pungente costringe le persone a camminare a testa bassa, avvolte nei cappotti. Batto i piedi per scacciar via la neve, prima di entrare in una panetteria.

"Bom dia", mi saluta in portoghese la donna al banco, in attesa dell'ordinazione. Mi guardo attorno e vedo pasticcini alla crema, cornetti, "sonhos" - i krapfen conosciuti anche come "berlinesi" - e altre prelibatezze ricoperte di crema, così come i delicati "fios de ovos", che per un attimo mi fanno dubitare di essere ancora in Svizzera.

L'odore del panificio accende una certa nostalgia. Tra queste mura i clienti portoghesi e brasiliani si sentono un po' come a casa. Coloro che invece rispondono con un esitante "Bonjour" al saluto "Bom dia" osservano il luogo con curiosità, chiedendosi forse dove siano finiti.

"Il 60-70% dei nostri clienti è portoghese", spiega Manuel Fernando de Oliveira Lopes, meglio conosciuto come Nelo Lopes. "A volte i commessi cercano di capire l'origine di una persona ancor prima di sentirla parlare, ma non sempre funziona!", racconta ridendo.
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di Carlo Pisani / Fernando Hirschy

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Enclave portoghese in Svizzera

I numerosi clienti portoghesi della panetteria possono sorprendere chi non conosce la Svizzera e la sua storia migratoria. Arrivati negli anni Ottanta come stagionali, oggi i portoghesi sono circa 270'000 e rappresentano la terza comunità straniera nella Confederazione, dopo gli italiani (320'00 circa) e i tedeschi (270'000 circa). Molti di loro vivono nelle regioni francofone del paese. Nel canton Neuchâtel, ad esempio, "da Silva" è diventato il cognome più comune, superando i più tradizionali Jeanneret o Robert.

La situazione è simile nel canton Friburgo, dove si trova il panificio di Lopes. Per le strade e nei negozi delle città di Friburgo e Bulle non è raro sentir parlare portoghese o francese con l'accento caratteristico del sud.

A livello gastronomico, la cultura portoghese è molto diversa da quella elvetica. Nel corso degli anni, però, i ristoranti portoghesi sono entrati a far parte del tessuto locale, al pari delle cantine vinicole e dei ristoranti di fondue.

Stessi ingredienti, risultato diverso

"Il pane di per sé è identico. Gli ingredienti sono gli stessi, ma le tecniche di lavorazione e le abitudini sono diverse", spiega Lopes. "I portoghesi ne consumano il doppio o addirittura il triplo degli svizzeri. Sono soliti andare in panetteria ogni giorno per comprare tre, quattro o cinque michette e talvolta perfino due volte al giorno perché le vogliono fresche e calde. Qui in Svizzera, invece, il pane si compra ogni due o tre giorni".

Lopes ha adeguato la sua attività alle abitudini svizzere. Cosi, oltre alle michette vende anche pagnotte grandi e integrali, e specialità regionali come lo "Stollen", tipica torta tedesca con uvetta e canditi.

Per quanto riguarda i clienti portoghesi, si sono abituati anche loro ad andare solo saltuariamente in panetteria, anche se per motivi diversi. "I portoghesi immigrati in Svizzera - o in qualsiasi altro paese - fanno attenzione a non spendere troppo, perché l'obiettivo è risparmiare il più possibile. Evitano dunque di uscire a far colazione tutti i giorni e magari passano in panetteria soltanto una o due volte la settimana o nel week-end", spiega Nelo Lopes.
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Foto: Nelo Lopes
Foto: Nelo Lopes
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La scelta di emigrare in Svizzera

Come mai Nelo Lopes non è rimasto in Portogallo, dove i clienti di panetterie e pasticcerie sono più assidui? "Sono venuto in Svizzera all'avventura e non per necessità, come capita ad altri. La Svizzera è conosciuta per il cioccolato e io ne sono un grande appassionato. Questo è il tipo di pasticceria che mi interessa di più".

Nelo Lopes è entrato nel mondo dei dolci quasi per caso. Al termine della scuola obbligatoria in Portogallo, ha deciso di iniziare subito a lavorare e ha trovato il primo impiego proprio in una pasticceria. "Più lavoravo e più avevo voglia di imparare e di specializzarmi", spiega il 37enne.

Quel giovane cresciuto in un villaggio del nord del Portogallo si è così trasferito a Porto, la seconda città del paese, per formarsi in una scuola professionale di cucina.

Col tempo Nelo Lopes si è specializzato nella creazione di torte personalizzate, con figurine in 3D, e la sua passione per il cioccolato lo ha portato ad interessarsi sempre più alla Svizzera. Così, quando un amico gli ha proposto di andare lavorare in un'azienda di prodotti portoghesi in Svizzera, ha colto la palla al balzo.

Spezzare il pane per guadagnarsi da vivere

Per Nelo Lopes, trasferirsi in Svizzera non è stato difficile anche perché i colleghi gli hanno dato una mano ad installarsi e a cercare un appartamento. Ma per imparare a conoscere la cultura locale ci è voluto più tempo. Prima di emigrare, Lopes era già stato in Svizzera in vacanza. Brevi soggiorni che gli avevano lasciato il ricordo della neve, delle montagne e del cioccolato, ma non certo un'idea precisa di quello che significa vivere in questo paese.

Nelo Lopes si è reso subito conto che per arrivare a fine mese come panettiere doveva lavorare sodo, proprio come in Portogallo. "Ho sempre vissuto per il mio lavoro e qui in Svizzera è la stessa cosa. Mi resta pochissimo tempo libero, che dedico allo studio e alla ricerca. Nella mia professione si deve lavorare sette giorni su sette, giorno e notte".

Nelo Lopes è in Svizzera ormai da diversi anni ma sta ancora cercando di capire le stranezze della cucina elvetica e di trovare nuove ispirazioni. "La pasticceria svizzera non è molto varia, ma le poche cose che si trovano, sono fatte bene".

Il giovane continua ad essere intrigato da alcuni abbinamenti come gelato, meringhe e mousse utilizzati per il "vacherin glacé", tipico dolce friburghese. Poi c'è il formaggio, di cui è diventato un grande amante.

Nelo Lopes non rimpiange di aver lasciato il Portogallo per trasferirsi in Svizzera. Oggi impiega sette persone e vende i suoi prodotti a diversi ristoranti e nei mercati nella zona. Il suo impegno nei confronti di dipendenti e clienti, e la voglia di crescere professionalmente, gli danno la forza di superare la nostalgia di casa e i lunghi mesi di freddo che accompagnano la sua nuova vita in Svizzera.
Foto: Nelo Lopes
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Ingredienti:

Impasto per i dolci
  • 2 tazze meno 2 cucchiai di farina (272 g)
  • 1/4 di cucchiaino da tè di sale (1 g)
  • 3/4 di tazza più 2 cucchiai di acqua fredda (207 ml)
  • 1 tazza di burro (227 g)
Per la crema pasticciera 
  • 3 cucchiai di farina (27 g)
  • 1 tazza e 1/4 di latte (296 ml)
  • 1 tazza e 1/3 di zucchero (264 g)
  • 1 bastoncino di cannella
  • 2/3 di tazza di acqua (158 ml)
  • 1/2 cucchiaino da tè di vaniglia (3 ml)
  • 6 tuorli d'uovo sbattuti
  • Zucchero a velo e cannella in polvere.
Preparazione:

Preparare l'impasto
  1. Mescolate farina, sale e acqua in un mixer con gancio impastatore per circa 30 secondi, fino a ottenere un impasto morbido.
  2. Infarinate un piano di lavoro e lavorate l'impasto in forma quadrata. Infarinate l'impasto, copritelo con una pellicola di plastica e lasciatelo riposare per 15 minuti.
  3. Spianate l'impasto fino a ottenere un quadrato di 45 cm di lato.
  4. Tagliate tutti i bordi irregolari, cospargete 2/3 dell'impasto con 1/3 del burro, lasciando un bordo di 2 cm ai margini.
  5. Piegate il terzo senza burro sul resto l'impasto. Piegate un altro terzo l'impasto e schiacciatelo con le mani. Premete i bordi per sigillarli.
  6. Infarinate il piano di lavoro, spianate di nuovo l'impasto fino a ottenere un quadrato di 45 cm di lato. Ripetete i passi 4 e
  7. Spianate l'impasto fino a ottenere un rettangolo di 45 x 53 cm. Spalmate il burro rimanente sull'intera superficie.
  8. Sollevate i bordi dell'impasto, formate un rotolo stretto, aggiustate i bordi e poi tagliate a metà. Avvolgete i due pezzi in una pellicola di plastica e lasciate riposare per due ore o durante la notte.  
Preparare la crema pasticciera
  1. Mescolare con la frusta la farina e 1/4 l di latte finché l'impasto assume una consistenza omogenea.
  2. Portate lo zucchero, la cannella e l'acqua a ebollizione in una casseruola. Cuocete a 100° C .
  3. In un'altra casseruola portate a ebollizione la rimanente tazza di latte, poi mescolatela con la miscela di farina e latte preparata precedentemente.
  4. Rimuovere il bastoncino di cannella, quindi mescolare lo sciroppo con la miscela di latte e farina. Aggiungere la vaniglia, quindi mescolare con i tuorli d'uovo.
  5. Versare il tutto in un ciotola e coprire con una pellicola di plastica.
Assemblare e cuocere le tortine
  1. Mettete una teglia nella parte alta del forno e riscaldate a 290° C.  
  2. Togliete uno dei rotoli di pasta dal frigorifero, poi spianatelo su una superficie leggermente infarinata. Tagliate in pezzi da 2 cm
  3. Piazzate ogni pezzo di pasta in fondo a una teglia da 12 muffin imburrata.
  4. Immergete il vostro pollice in una bacinella d'acqua, spianate la pasta sul fondo della casseruola e formate un bordino ai lati.  
  5. Riempite ogni coppetta di pasta fino a 3/4 con la crema pasticciera.
  6. Cuocete per circa 8-9 minuti, finché i bordi della pasta assumono un colorito marrone.  
  7. Lasciate raffreddare le tortine nella teglia, poi riponetele su un ripiano e spolveratele con lo zucchero a velo e la cannella.  
  8. Ripetete le operazioni da 1 a 7 con la pasta e la crema rimanenti.  

Fate 40 tortine.

Questa è una versione semplificata della ricetta di Leite’s Culinaria.





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03 Taipei to Olten

di Jie Guo Zehnder
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Nell'autunno 1998 era ancora un colletto bianco a Taipe e non cucinava quasi mai.  Foto: Liyah Huiling, autunno 1998 Taroko National Park a Hualian.
Nell'autunno 1998 era ancora un colletto bianco a Taipe e non cucinava quasi mai. Foto: Liyah Huiling, autunno 1998 Taroko National Park a Hualian.
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Liyah Huiling Jenni era una giramondo prima di trasferirsi con la famiglia a Olten. Oggi il suo nome è molto conosciuto nella regione, grazie ai piatti tipici del suo paese nativo, Taiwan, e dell'Asia in generale. Un talento culinario che forse non si sarebbe mai risvegliato senza la Svizzera.

Dal balcone del suo appartamento, Liyah può vedere il giardino della scuola dell'infanzia dove i due figli solevano giocare. Ma ora che entrambi sono alle medie, questo spazio è utilizzato per altri scopi. Ci sono piante e fiori, come in molti altri appartamenti in Svizzera, e un oggetto curioso - un'enorme anfora di terracotta.

Quando arriva l'autunno, il suo contenuto è sempre una sorpresa. A volte è pieno di kimchi coreano; altre di uova al tè, tipico piatto taiwanese.

Liyah è nata in una delle zone più scarsamente popolate dell'isola, dove i contatti umani sono fondamentali per la vita quotidiana. Nei suoi ricordi d'infanzia ci sono la scuola del papà, il negozio di alimentari della mamma, la raccolta di riso, l'allevamento di maiali e l'amicizia genuina tra vicini di casa, coi quali la famiglia condivideva i pasti.

"La Svizzera mi ha insegnato a cucinare"

Nel 2006, la famiglia di Liyah ha deciso di trasferirsi a Olten, la città natale del marito Eugen, situata tra Berna e Zurigo. "Improvvisamente ho scoperto che non c'era un posto decente dove mangiare. Il sapore dei piatti serviti nei ristoranti asiatici non era di mio gradimento e i prezzi erano piuttosto alti".

Nei primi giorni trascorsi in Svizzera, l'apparato digerente di Liyah ha sofferto, ma è andato rafforzandosi grazie ai profumi provenienti dalla cucina dei vicini.
Nell'autunno 1998 era ancora un colletto bianco a Taipe e non cucinava quasi mai.  Foto: Liyah Huiling, autunno 1998 Taroko National Park a Hualian.
Nell'autunno 1998 era ancora un colletto bianco a Taipe e non cucinava quasi mai. Foto: Liyah Huiling, autunno 1998 Taroko National Park a Hualian.
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"Il motivo per cui ho scelto di vivere in questo appartamento è il suo buon odore", spiega. "Quando sono venuta qui per la prima volta, ad accogliermi sul pianerottolo c'era il profumo della cucina indiana, che mi ha scaldato il cuore".

Nello stabile vivono sei famiglie: indiani, rumeni, italiani e svizzeri, tra cui un'anziana signora al piano di sopra. "A volte le regalo delle marmellate fatte in casa ed è sempre molto contenta. Ma non mi ha mai invitata a prendere il tè", racconta Liyah. "Forse gli svizzeri sono fatti così, sono amichevoli ma preferiscono mantenere una certa distanza. Devo solo abituarmi e imparare a capire questa cultura".

Coi vicini di origine indiana invece è diverso: sono tutte mamme che spesso vanno a trovarla coi rispettivi figli. "Grazie a loro non mi sono mai sentita sola da quando sono arrivata in Svizzera".

Liyah ha imparato a cucinare "per poter sopravvivere in Svizzera". Così, quel pianerottolo che prima profumava per lo più di curry, ora è impregnato anche dell'odore di cibo cinese. La vicina Amala si è innamorata della cucina taiwanese di Liyah, in particolare del ramen, la tipica zuppa di noodle.

La regina dello sushi a Olten

Non sono però solo i vicini e gli amici ad amare la sua cucina. Cinque anni fa, Liyah ha trovato un impiego a tempo parziale in un ristorante da asporto asiatico, dove inizialmente preparava decine di porzioni di Chow Mein (spaghetti saltati) e riso fritto ogni giorno.

Liyah ha anche portato una novità nel menù del locale: il sushi. Grazie a dei video online, ha cominciato a preparare la pietanza per la sua famiglia e poi per i clienti. "La preparazione del sushi non ha nulla di segreto: basta cucinare bene il riso e il pesce deve assolutamente essere fresco".

Il sushi è tuttora considerato un piatto esotico in Svizzera. Liyah lo rende ancor più unico tagliando le alghe a forma di occhi, naso e bocca, per poi decorarle con filetti di salmone. Un pezzetto di sushi si trasforma così in una zucca di Halloween o in un pupazzo di neve fatto di riso, con tanto di sciarpa.

Forte del successo ottenuto al ristorante, Liyah ha cominciato a vendere il sushi anche ai negozi di pesce in centro città e ad altri ristoranti. Il suo sogno è far conoscere le specialità del suo paese, Taiwan, alla popolazione svizzera, ma per espandere la sua attività avrebbe bisogno innanzitutto di un socio in affari con cui condividere idee e progetti. "Forse un giorno troverò qualcuno".
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Affari, fama e amicizia

Nella cultura asiatica, le competenze culinarie svolgono un ruolo importante nelle relazioni sociali, un principio che per Liyah vale anche in Svizzera. Nonostante non si sia ancora messa ufficialmente in proprio, il servizio di consegna che da anni offre ai clienti l'ha resa quasi famosa in città.

"Una volta ho invitato alcuni amici a casa mia e uno di loro ha subito riconosciuto il sushi di Liyah", racconta un cliente. "Quest'anno, in occasione di una festa, ho ordinato il ramen. Costa tre franchi a porzione, un prezzo che non si trova da nessun'altra parte in Svizzera. Liyah dice sempre qualcosa tipo "Sono contenta di poter aiutare gli altri" e questo mi fa pensare che non lo faccia per denaro".

Liyah sorride e risponde che per lei la cucina è divertimento allo stato puro. "Quando mi rendo conto che gli amici apprezzano il mio cibo, mi metto semplicemente ai fornelli! Normalmente fatturo soltanto il costo degli ingredienti e un po' per il lavoro".

In cerca di un'identità

Lo scorso anno Liyah ha iniziato a dare corsi di sushi alla scuola Migros. Oltre all'insegnamento pratico, ogni lezione include un'ora di degustazione e conversazione. Un'esperienza che le ha permesso di immergersi nella cultura locale.

"Mi piace molto. Sento che il legame con gli studenti si sta rafforzando e comincio a capire come pensano gli svizzeri e quali sono i loro interessi", afferma Liyah. "Se mi concentro, riesco ad afferrare anche il dialetto svizzero-tedesco".

Da qualche tempo orami Liyah possiede anche la cittadinanza elvetica, essendo sposata con uno svizzero e avendo vissuto nell'Emmental per una decina d'anni. "Mia figlia però una volta mi ha detto: "Tu non sei svizzera, sei cinese!" e in fondo penso che abbia ragione. Non potrò mai essere una donna svizzera nell'animo, sono una donna cinese-taiwanese".

La sua visione della famiglia e dell'amicizia trovano origine nella cultura cinese, afferma, ma le abitudini quotidiane, la puntualità e la cortesia al telefono sono più legate alla Svizzera. Liyah si ferma un po' a pensare e poi aggiunge: "La mia casa, la mia famiglia e le mie radici sono qui. In fondo credo di essere una donna svizzero-cinese".
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di Carlo Pisani

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Ingredienti:
  • 4 cosce di pollo disossate
  • 1 tazza di salsa di soia (237 ml)
  • 1 tazza di vino di riso (237 ml)
  • 1 tazza di olio di sesamo (237 ml)
  • basilico (preferibilmente basilico Thai)
  • funghi
  • cipolla
  • aglio
  • zenzero
  • peperoncino
  • 1 cucchiaino di zucchero greggio
  • 1/2 cucchiaino di sale
Preparazione:
  1. Riscaldate l'olio di sesamo in un wok
  2. Friggete il pollo nell'olio finché la carne assume un colore dorato.
  3. Nel frattempo tagliate lo zenzero, l'aglio e il peperoncino in piccoli pezzi.
  4. Rimettete il pollo sul tagliere e mettete lo zenzero nel wok.
  5. Friggete lo zenzero finché è croccante.
  6. Nel frattempo tagliate ogni pezzo di pollo in 6 pezzi.
  7. Mettete il pollo, i funghi, la salsa di soia, il vino di riso, l'aglio, lo zucchero e il sale nel wok.
  8. Aggiungete una tazza di acqua e cuocete il tutto per 10-15 minuti, finché la salsa si è addensata.
  9. Aggiungete il basilico, la cipolla e il peperoncino, cuocete per 20 secondi.
  10. Togliete dal fuoco e servite con riso.



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04 Calgary to the Emmental

di Veronica DeVore
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Foto: Andie Pilot
Foto: Andie Pilot
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Nata e cresciuta in Canada, Andie Pilot ha scelto di emigrare in Svizzera per inseguire un sogno. La passione per la cucina e la pubblicazione di un libro di ricette l'hanno aiutata a sentirsi a casa nel paese dei suoi antenati, allo stesso tempo straniero e familiare.

Andie Pilot era bambina e viveva a Calgary, in Canada, quando ha assaggiato per la prima volta un panino grigliato al formaggio, a casa di un amico. Nel rispetto della tradizione nordamericana si trattava per la precisione di due fette di pane in cassetta "Wonder" con del formaggio cheddar. Rientrata a casa, ha chiesto alla madre di preparargliene un altro.

"La mia mamma, di origine svizzera, ha preso il pane di segale, lo ha immerso nel vino bianco e ci ha messo sopra una fetta di Gruyère", ricorda la 34enne.

Invece di storcere il naso di fronte a questa "versione svizzera" del sandwich, Andie Pilot racconta di essersi resa conto dell'esistenza di "un nuovo mondo culinario". Crescendo, ha poi deciso di formarsi come pasticciera e di approfittare della nazionalità elvetica per trasferirsi in Svizzera e cercare lavoro in una panetteria.

Nel paese dei suoi antenati, Andie Pilot ha scoperto una serie di nuove ricette e ha sentito il bisogno di condividerle con amici e famigliari, che dal Canada le chiedevano regolarmente i segreti per una buona fondue al formaggio o per i biscotti di Natale. Da qui è nata l'idea di un blog, dal nome evocativo Helvetic Kitchen.

Oggi su queste pagine si trovano decine di ricette illustrate con foto accattivanti, dal tradizionale "Birchermüesli" svizzero alle creazioni di Andie Pilot, come la mousse al Toblerone o i panini al gelato di Ovomaltina.
Foto: Andie Pilot
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Straniera nel paese dei suoi antenati

Avendo trascorso tutte le estati della sua infanzia in Svizzera, dalla famiglia della madre, Andie Pilot aveva già una certa familiarità con la cultura elvetica, ma non parlando una delle lingue nazionali si è spesso sentita una "turista". E quando ha deciso di trasferirsi, abituarsi a questo nuovo paese non è stato facile.

"Ci sono stati momenti davvero spaventosi, soprattutto per quanto riguarda la ricerca di un lavoro e il bisogno di sentirsi al sicuro", ricorda.

Trovare un impiego come pasticciera si è rivelato fin da subito troppo complicato per Andie Pilot, poiché le veniva offerta unicamente la possibilità di seguire un apprendistato o uno stage in panetteria, non abbastanza per guadagnarsi da vivere. Così ha iniziato a insegnare inglese e a condividere il suo amore per la cucina con gli studenti.

"Il cibo è un ottimo argomento di conversazione, perché le persone hanno spesso opinioni forti in merito e hanno voglia di condividere le ricette famigliari". È anche questo, dice, ad averla probabilmente aiutata a sentirsi a casa in Svizzera, malgrado abbia dovuto lottare non poco per imparare il tedesco. "Se qualcuno all'epoca mi avesse detto di non preoccuparmi degli errori e di superare la timidezza, sarebbe stato sicuramente un ottimo consiglio".

Degustare la cucina svizzera

Andie Pilot è venuta in Svizzera con l'idea di fermarsi soltanto un anno. Col tempo però si è installata per davvero e oggi vive col marito e la figlia di un anno tra le colline dell'Emmental, nel canton Berna. Anche la sua mamma, emigrata in Canada negli anni Sessanta, è appena rientrata in Svizzera e vive nelle vicinanze.

Grazie anche al successo riscontrato dal blog, Andie Pilot ha deciso di pubblicare un libro con le sue ricette preferite, accompagnate da una serie di racconti brevi e di illustrazioni realizzate da lei. Il ricettario Helvetic Kitchen è stato pubblicato nel dicembre 2017.


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La sua passione per il cibo la porta spesso in giro per la Svizzera alla ricerca di nuove ispirazioni culinarie. Ma Andie Pilot prende spunto anche da vecchi libri di cucina regionali e da ricettari svizzeri, come la serie Betty Bossi, che trasforma poi a suo piacimento.

"A volte la mia famiglia si stanca di mangiare sempre lo stesso piatto, perché prima di decidere se e quale ricetta pubblicare sul blog, la ripeto più e più volte", afferma Andie Pilot.

Dietro
 ogni ricetta, una storia

Per Andie Pilot, tuttavia, non conta solo perfezionare una ricetta, ma raccontare la storia ad essa correlata. Alcune sono recenti, come il modo in cui Pilot ha ottenuto la ricetta del cholera, specialità vallesana di frutta e verdura simile a una sfogliata, dalla madre di una leggenda dello sci svizzero. Altre invece risalgono a tempi antichi, come la storia del formaggio glaronese "Schabziger", legata a un monastero del IX secolo.


Interrogata sulle specialità canadesi, Andie Pilot fatica un po' a rispondere. La poutine? Lo sciroppo d'acero? La cucina del suo paese natio è "stata fortemente influenzata dall'immigrazione e dalle persone di origini diverse che si sono lanciate nella gastronomia".

La Svizzera, invece, ha molte tradizioni culinarie radicate nella società, che vanno a braccetto con altre culture frutto dell'immigrazione.

"In un territorio minuto come la Svizzera ci sono così tante tradizioni e lingue diverse", afferma Andie Pilot. "L'idea che si possa convivere in armonia in un luogo così piccolo è davvero meravigliosa".
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di Carlo Pisani

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Ingredienti:
  • 400 g di maccheroni
  • Una noce di burro
  • 1 cucchiaino di farina
  • 500 ml (2 tazze) di latte
  • 100 g di formaggio Schabziger grattugiato
  • 250 g di Gruyère o di un altro formaggio a pasta dura, grattugiato
  • Noce moscata, sale e pepe
  • 3 cucchiai di pangrattato
  • Burro per la guarnizione
Preparazione:

Preriscaldate il forno a 200°C e imburrate una teglia grande. Portate a ebollizione l'acqua salata e aggiungete i maccheroni. Una volta cotta, scolate la pasta. Mettete nuovamente la pentola sul fuoco, aggiungete burro e formaggio. Mescolate fino ad ottenere una pasta cremosa e uniforme. Insaporite con noce moscata, sale e pepe. Aggiungete la pasta e mescolate bene, poi versate il composto nella teglia imburrata. Cospargete di pangrattato e fiocchi di burro. Gratinate in forno per circa 10-15 minuti. Servite i maccheroni accompagnati con salsa di mele e cipolla fritta.





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05 Damascus to Geneva

Di Dominique Soguel
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 Nadeem e i suoi fratelli sono arrivati in Svizzera nell'agosto 2015 e hanno raggiunto immediatamente la sorella che già viveva a Ginevra. (Foto: Nadeem Khadem al-Jamie)
Nadeem e i suoi fratelli sono arrivati in Svizzera nell'agosto 2015 e hanno raggiunto immediatamente la sorella che già viveva a Ginevra. (Foto: Nadeem Khadem al-Jamie)
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Il cuoco siriano Nadeem Khadem al-Jamie ha percorso decine di migliaia di chilometri per raggiungere Ginevra e lasciarsi alle spalle un paese segnato dalla guerra e dalla violenza. Ma il viaggio verso l'integrazione in Svizzera è appena cominciato e la strada potrebbe essere ancora una volta lunga.

Jamie spera che le sue competenze da chef possano accelerare il processo d'integrazione in Svizzera e permettere così alla sua famiglia di avere un futuro migliore. "La cucina è una porta d'accesso alla cultura elvetica", afferma Jamie, che nei prossimi anni aspira a fondere i sapori svizzeri con quelli siriani in nuovi ed originali piatti.

Dalla Siria alla Svizzera

Jamie è arrivato a Ginevra l'8 agosto 201Quel giorno - ricorda - le strade del lungolago erano piene di gente allegra che partecipava a un festival. Un'atmosfera positiva, quasi a segnare simbolicamente un nuovo inizio.

Fuggito dalla guerra in Siria, Jamie ha intrapreso un lungo e difficile viaggio per raggiungere la Svizzera. Salpato dalla città turca di Smirne, ha rischiato di morire annegato quando il gommone sul quale viaggiava, strapieno di profughi, si è capovolto in alto mare prima di raggiungere l'isola greca di Chios. Assieme ai due fratelli, Jamie ha poi proseguito lungo la rotta dei Balcani, attraversando a piedi i confini tra Grecia, Macedonia, Serbia, Ungheria, Austria, Germania e Svizzera.

Con lui, quell'estate del 2015, sono stati oltre un milione i migranti e i rifugiati che hanno cercato rifugio in Europa, un numero senza precedenti negli ultimi decenni.
 Nadeem e i suoi fratelli sono arrivati in Svizzera nell'agosto 2015 e hanno raggiunto immediatamente la sorella che già viveva a Ginevra. (Foto: Nadeem Khadem al-Jamie)
Nadeem e i suoi fratelli sono arrivati in Svizzera nell'agosto 2015 e hanno raggiunto immediatamente la sorella che già viveva a Ginevra. (Foto: Nadeem Khadem al-Jamie)
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La Macedonia è uno dei tanti paesi attraversati a piedi dal cuoco siriano durante il suo lungo viaggio verso la Svizzera.  (Foto: Nadeem Khadem al-Jamie)
La Macedonia è uno dei tanti paesi attraversati a piedi dal cuoco siriano durante il suo lungo viaggio verso la Svizzera. (Foto: Nadeem Khadem al-Jamie)
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La gioia di essere arrivato finalmente in Svizzera, dove i cognati vivevano già da tre anni, è stata però rapidamente spazzata via dall'ansia per chi era ancora in Siria: la moglie Faizeh, che ha dato alla luce una seconda figlia, Yasmeen, solo dieci giorni prima della partenza di Jamie; e la primogenita Hind, che all'epoca aveva appena un anno.

Fin da subito, l'obiettivo di Jamie è stato quello di far venire la famiglia in Svizzera. Così, dopo aver ottenuto lo statuto di rifugiato, ha intrapreso le pratiche per il ricongiungimento famigliare e il 17 febbraio 2017 moglie e figlie lo hanno raggiunto.

Anche se Jamie è riconoscente per la rapidità con la quale le autorità svizzere hanno trattato il suo caso, sottolinea che quei 19 mesi lontano dalla famiglia peseranno sempre come un macigno. "Rispetto ad alcuni conoscenti, arrivati prima di me e tuttora in attesa di una risposta sulla loro domanda d'asilo, io mi sento fortunato. Ma in quel periodo è stato come se il tempo si fosse fermato", ricorda Jamie, che oggi vive con la famiglia nel Foyer du Grand Sacconex, una casa di accoglienza per rifugiati vicino all'aeroporto di Ginevra.

Tra le spezie e i ricordi

Quando nel 2011 è scoppiata la rivolta in Siria, poi sfociata in guerra civile, Jamie è stato costretto ad abbandonare gli studi universitari in economia e business. Figlio di un sarto in pensione e di una casalinga, il giovane si guadagnava da vivere raccogliendo verdura nel mercato di strada di Bab Srije, una delle sette porte delle mura di Damasco.
La Macedonia è uno dei tanti paesi attraversati a piedi dal cuoco siriano durante il suo lungo viaggio verso la Svizzera.  (Foto: Nadeem Khadem al-Jamie)
La Macedonia è uno dei tanti paesi attraversati a piedi dal cuoco siriano durante il suo lungo viaggio verso la Svizzera. (Foto: Nadeem Khadem al-Jamie)
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di Carlo Pisani

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Jamie ha partecipato fin dall'inizio alle manifestazioni contro il presidente di Bashar al Assad, ritrovandosi così sulla lista delle persone ricercate dalle forze dell'ordine, assieme a molti amici e parenti. In piazza, i siriani chiedevano la caduta di un regime in vigore da oltre 40 anni, riforme democratiche ed economiche, alle quali Assad ha però risposto con arresti, torture, uccisioni e sparizioni.

"È per questi due motivi che ho deciso di fuggire dalla Siria e di venire in Svizzera", racconta Jamie, che era ricercato dalle autorità siriane anche per non aver svolto il servizio militare.

Inizialmente, le forze di sicurezza andavano a cercare Jamie a casa, ma col tempo le perquisizioni si sono estese anche al posto di lavoro. Recarsi al mercato era diventato troppo difficile, anche prendendo tutte le precauzioni necessarie per evitare i posti di blocco.

È allora che Jamie ha deciso di nascondersi nella cucina del ristorante Abu Jedi di Damasco. Lì ha iniziato a lavorare come assistente cuoco, fino a diventare chef grazie sopratutto ai consigli del suocero, che gli ha insegnato i segreti dei piatti e dei dolci siriani.

Il suo mentore è uno dei tanti amici e parenti che Jamie ha perso in questi sette anni di guerra civile in Siria. Incarcerato per circa un mese per aver partecipato alle manifestazioni contro Assad, il suocero è infatti deceduto una settimana dopo il rilascio, in seguito al trauma subito. "Ho imparato così tante cose da lui che è impossibile elencarle tutte", ricorda con tristezza.

A volte, aggiunge, cucinare riporta in superficie molti ricordi, ma al contempo aiuta a gestirli e a restare concentrati. Per Jamie, ogni lavoro in cucina deve essere eseguito con grande concentrazione, che si tratti di tagliuzzare, mischiare, condire o lavare.
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Al servizio dei palati svizzeri

Il suo stile culinario gli ha fatto guadagnare una certa notorietà a Ginevra, ma non un lavoro stabile.

Nel 2017 Jamie è stato uno dei cinque chef selezionati per il "Refugee Food Festival" di Ginevra, un evento europeo che mira a modificare lo sguardo sui rifugiati evidenziandone il talento e facilitandone l'integrazione professionale. Da questa esperienza, Jamie è ripartito con un bagaglio pieno di speranza e un cappello bianco con ricamato il suo nome. Un regalo dello chef del lussuoso Hotel D'angleterre, che durante il festival gli ha aperto le porte della sua cucina.

Jamie racconta di aver apprezzato particolarmente l'opportunità di cucinare per oltre cento persone e di conoscere più da vicino la cucina svizzera. A sorprenderlo è stata sopratutto la semplicità con la quale vengono preparate le verdure, bollite e condite con un semplice tocco di sale e pepe.

"La cucina è una porta d'accesso per trovare lavoro, stabilità e integrarsi nella società svizzera", afferma Jamie, mentre elabora il menù per una festa, riempiendo l'appartamento dei tipici profumi d'Oriente.

Per preparare il "fetteh markdous" - un piatto a base di pane tagliuzzato, con melanzane ripiene di carne tritata e pinoli tostati - ci vogliono almeno quattro ore, racconta Jamie. "È un tipico piatto damasceno. Non c'è casa, nella capitale siriana, dove non venga cucinata questa pietanza, servita come antipasto".
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Il suo stile culinario gli ha fatto guadagnare una certa notorietà a Ginevra, ma non un lavoro stabile.

Nel 2017 Jamie è stato uno dei cinque chef selezionati per il "Refugee Food Festival" di Ginevra, un evento europeo che mira a modificare lo sguardo sui rifugiati evidenziandone il talento e facilitandone l'integrazione professionale. Da questa esperienza, Jamie è ripartito con un bagaglio pieno di speranza e un cappello bianco con ricamato il suo nome. Un regalo dello chef del lussuoso Hotel D'angleterre, che durante il festival gli ha aperto le porte della sua cucina.

Jamie racconta di aver apprezzato particolarmente l'opportunità di cucinare per oltre cento persone e di conoscere più da vicino la cucina svizzera. A sorprenderlo è stata sopratutto la semplicità con la quale vengono preparate le verdure, bollite e condite con un semplice tocco di sale e pepe.

"La cucina è una porta d'accesso per trovare lavoro, stabilità e integrarsi nella società svizzera", afferma Jamie, mentre elabora il menù per una festa, riempiendo l'appartamento dei tipici profumi d'Oriente.

Per preparare il "fetteh markdous" - un piatto a base di pane tagliuzzato, con melanzane ripiene di carne tritata e pinoli tostati - ci vogliono almeno quattro ore, racconta Jamie. "È un tipico piatto damasceno. Non c'è casa, nella capitale siriana, dove non venga cucinata questa pietanza, servita come antipasto".

Una cucina in prestito

Per cucinare le sue prelibatezze, Jamie si è recato nella casa di Samia Hamdan, libanese giunta in Svizzera nel 1980. Oggi cittadina elvetica, dirige un'ONG attiva nell'integrazione dei rifugiati, attraverso la cucina e la cultura.

Lavorare a casa sua, nel Foyer du Grand Sacconex, sarebbe stato impossibile per Jamie. La famiglia dispone di due stanze, ma deve condividere la cucina così come i servizi igienici con più di duecento richiedenti l'asilo e rifugiati.

Per quanto riguarda la gastronomia elvetica, lo chef siriano racconta di aver assaggiato soltanto alcuni prodotto locali, tra cui la fondue e la raclette. Due specialità a base di formaggio, non proprio la grande passione di Jamie.

"In Siria abbiamo al massimo dieci tipi di formaggio. Nei supermercati in Svizzera, ce ne sono alcuni che non avevo mai visto prima".

Un ponte tra Oriente ed Occidente

Se Jamie è tuttora alla ricerca dei punti in comune tra la cucina svizzera e quella siriana, non fatica ad elencare alcune differenze. Gli svizzeri, afferma, preferiscono i cibi già pronti, le piccole porzioni e mangiano anche da soli. I siriani, invece, tendono a fare di ogni pasto una festa, regalando gli avanzi ad amici e vicini. Inoltre, mentre nella Confederazione si mangia per lo più lo yogurt fresco e freddo, in Siria viene servito caldo e utilizzato per accompagnare la carne.

Alcuni ingredienti e spezie tipici della cucina siriana sono difficili o impossibili da trovare in Svizzera, per lo meno nei supermercati tradizionali. Jamie si rifornisce così in un negozio pakistano di Ginevra oppure in Francia, dove ha trovato un bazar marocchino che vende prodotti arabi.

"Se un giorno aprirò un ristorante, si chiamerà Damasco. Voglio sentirmi come a casa", afferma Jamie. Il menù, invece, dovrebbe essere una sorta di matrimonio tra la cucina occidentale e quella levantina. Ma per il momento Jamie non vuole azzardarsi a fare previsioni perché, sottolinea, deve ancora imparare come cucinano gli svizzeri a casa loro.

Nei tre anni trascorsi a Ginevra, Jamie ha avuto molte opportunità di far conoscere la cucina siriana a turisti e residenti. Ora vuole però immergersi nei sapori elvetici, per creare "piatti che possano fare da legame tra Oriente e Occidente".
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Ingredienti:
  • 500g di carne sminuzzata
  • 1kg di piccole melanzane
  • 1 grande cipolla
  • 1 tazza di pasta di sesamo
  • 3 cucchiai di concentrato di pomodoro
  • 1 cucchiaino di aglio tritato per la salsa
  • 1 cucchiaino di sale
  • 1 cucchiaino di pepe nero
  • 1/2 cucchiaino di brodo speziato per la salsa
  • 2 1/2 tazze di yogurt
  • 1/4 tazza di succo di limone
  • pita
  • prezzemolo decorare
  • pinoli e mandorle per decorare
Preparazione:

Come preparare il ripieno:
Cuocete la carne con la cipolla, i pinoli tostati, sale e pepe.

Come preparare le melanzane:
Levate la polpa dalle melanzane e riempitele con la carne.

Come preparare la salsa di pomodoro:
Mettete il concentrato di pomodori nell'acqua bollente, aggiungete sale e pepe, portate a ebollizione. Immergete le melanzane ripiene nel sugo e lasciatele bollire per 5 minuti, quindi toglietele.

Come preparare la salsa bianca:
Mescolate yogurt, succo di limone, aglio e tahini.

Come preparare il pane:
Friggete la pita sbriciolata in un casseruola con del burro, quindi mettetela in una scodella.

Strati:
Mettete una base di pane, seguita dalla salsa di pomodoro, le melanzane e infine la salsa bianca.



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