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Lotta agli cybersquatter

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L'Organizzazione mondiale della proprietà intellettuale denuncia: cause e litigi su indirizzi internet sono raddoppiati nel 2001. La sete dei "cybersquatter" cresce ora con i nuovi domini.

Martedì, l’Organizzazione internazionale che si occupa della protezione giuridica della proprietà intellettuale (OMPI) ha lanciato un allarme: l’apertura delle sette nuove sigle (“.aero”, “.info”, “.biz”, “.coop”, “.info”, “.museum”, “.name” e “.pro”) ha riacceso la corsa alla speculazione impropria nella rete delle reti. Quella che sembrava la soluzione al sovraffollamento dei Top-Level-Domains (TLD) tradizionali (“.com”, “.org” o “.ch”) potrebbe portare a infiniti strascichi giudiziari.

Un fenomeno superato?

Gli anni Novanta sono stati gli anni di internet. La corsa al portale in rete era ritenuta fondamentale: niente commercio, niente informazione, niente futuro senza il sito adatto, pronto ad accogliere gli internauti.

Speranze esagerate che hanno portato molti anche in tribunale. Così si sono cumulate le cause – perorate da ditte con un nome e una reputazione da difendere – contro “bande” più o meno organizzate che si sono accaparrate il dominio con lo scopo di rivenderlo al legittimo proprietario a caro prezzo. Ma nel mondo senza confini della rete, si sono verificati anche casi più ostici per i denti dell’OMPI.

Giurisprudenza ha fatto per esempio il caso italiano della Rai. L’Ente nazionale di radio e televisione utilizza infatti il dominio territoriale www.rai.it, ma un’imprecisata ditta ha occupato la variante www.rai.org. Il TDL “.org” dovrebbe essere riservato ad organizzazioni senza scopo di lucro, ma in questo caso si tratta di un sito a carattere pornografico.

Le misure d’intervento delineatesi negli ultimi anni dalla OMPI, favoriscono i detentori del nome al di fuori della rete virtuale (in questo caso sarebbe la Rai italiana, offesa dai contenuti del sito omonimo), portando così ad una revoca della licenza agli occupatori illegittimi.

Ma la questione non si è risolta così. Nel caso della Rai si è infatti presentato un problema ulteriore: il dominio www.rai.org è registrato negli Stati Uniti, e quindi non c’è base per dimostrare la malafede degli autori.

Nuovi spazi, nuovi rischi

Ma tutto sommato la prassi degli ultimi anni ha avuto successo e soprattutto ha portato ad una diminuzione dei casi: alla sede centrale di Ginevra nel 2000 si sono registrati 1’841 ricorsi per difendere il proprio nome in rete. Nel 2001, ha sottolineato martedì l’OMPI, i casi sono scesi a quota 1’506.

Le cifre, si è detto convito il direttore dell’OMPI, Francis Gurry, confermano l’efficacia della linea imboccata a Ginevra che sfavorisce i pirati del mare di internet. Nel 2001 la messe giudiziaria, raccolta dall’istanza arbitrale di Ginevra, si è svolta soprattutto negli USA, con il 47,6 per cento dei casi, mentre in Svizzera (2,86 per cento) o in Gran Bretagna (9 per cento) i casi sono sempre meno frequenti, malgrado l’altissima densità di “user” e sitologi.

Ma l’introduzione, l’anno scorso, di sette nuovi TLD ha rilanciato il problema. La creazione di nuovi domini, per alleggerire il carico sui recapiti territoriali (come “.ch” o “.it”), ha infatti offerto la possibilità di riutilizzare i nomi già registrati con un’altra sigla finale.

L’interesse per questa espansione del web sembrava dapprima modesto, vista anche la situazione di crisi del settore, ma poche settimane prima dell’attivazione, la corsa ha vissuto un’accelerazione. Solo per il dominio “.info” si sono preregistrati 350’000 interessati. La maggior parte sono arrivati nelle ultime settimane prima dell’inaugurazione ufficiale nell’ottobre 2001, creando innumerevoli problemi di gestione.

La nuova breccia

Francis Gurry ha già identificato nei nuovi indirizzi, “l’apertura di una nuova breccia per i cybersquatter”. Solo nel caso di “.info” sono arrivati, nei pochi mesi d’esistenza, ben 1’579 ricorsi.

A questa situazione di tensione per l’autorità di controllo, si aggiunge l’apertura della registrazione ad altri caratteri non latini. Nestlé, UBS e compagnie belle non dovranno dunque solo difendere il loro nome sul fronte del TLD, ma dovranno anche premunirsi dal cirillico e dall’arabo.

Attualmente tutti i TDL sono gestiti da agenzie non profit statunitensi vicine al Pentagono. Le sigle nazionali sono invece delegate a delle agenzie uniche in loco. Questa centralizzazione crea sicuramente una dipendenza estrema della rete dalla super potenza d’oltre Atlantico, ma permette anche un controllo abbastanza semplice dei domini registrati.

Eppure fin d’ora è chiaro: i 260 esperti dell’OMPI, distribuiti in 43 paesi, avranno da fare nei prossimi tempi: la nuova valanga di ricorsi è già arrivata.

L’Europa unita da parte sua vuole invece aspettare ancora un po’ per l’introduzione del suo “.eu”. Prima, si dice a Bruxelles, devono essere chiarite le condizioni quadro per evitare abusi. Per il prossimo allargamento dei domini web nel vecchio continente si intende quindi fare meglio, per garantire all’indirizzo europeo una dignità a prova di cybersquatter.

Daniele Papacella

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