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Microimposta: l’ultima di una serie di iniziative popolari ambiziose

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Operatori di borsa a Zurigo: dovrebbero contribuire di più alle finanze pubbliche? Keystone / Martin Ruetschi

In Svizzera i promotori di un’iniziativa stanno rispolverando la vecchia idea di tassare le transazioni finanziarie. Ma questa "microimposta" potrà davvero trasformarsi in qualcosa di più che una semplice idea?

Sin da quando, negli anni Settanta, l’economista James Tobin aveva ventilato l’idea di tassare le speculazioni valutarie, la “Tobin tax” è diventata il grido di battaglia di vari movimenti; raramente, però, si è trasformata in realtà.

Negli anni Ottanta la Svezia aveva tentato un esperimento, che non è durato molto.

Dopo la crisi finanziaria asiatica e quella globale del biennio 2007-2008, l’idea era tornata alla ribalta. Nel 2013, nel tentativo di porre un freno alle fluttuazioni destabilizzanti, l’Italia aveva imposto una tassa di 0,02% sulle operazioni ad alta frequenzaCollegamento esterno.

Nell’Unione europea, a dieci anni dalla proposta, l’idea non è ancora stata sepolta del tutto: il recente bilancio UE per i prossimi sette anni, un pacchetto da 1,8 trilioni di euro (1,94 trilioni di franchi) varato il mese scorso, accenna a un’imposta sulle transazioni finanziarie come parte di un “piano d’azione” per trovare nuove fonti di finanziamento

L’idea, però, è appesa a un filo: come riferito dall’analista Nicolas Véron ai taccuini del Financial Times nel 2015, il piano fiscale dell’UE ha sempre rappresentato una sorta di “politica zombie”. “Non prende forma, ma nemmeno si spegne. Se ne è discusso per anni e questo limbo potrebbe continuare ancora per molto tempo”.

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Il caso svizzero

In Svizzera, un gruppo di persone sta cercando di resuscitare lo zombie conferendogli una veste adatta all’era digitale.

L’iniziativa popolare sulla “microimpostaCollegamento esterno” intende introdurre un prelievo su tutte le transazioni elettroniche online, che si tratti di pagare un caffè con la carta di credito, versare lo stipendio a un dipendente o muovere miliardi di franchi sui mercati finanziari.

Qualora l’iniziativa venisse accolta, tutte le transazioni di questo tipo sarebbero tassate con un’aliquota dello 0,005% per il primo anno e, in seguito, dello 0,1% circa.

La “microimposta” inoltre servirebbe a sostituire e abolire tre tasse esistenti: l’imposta sul valore aggiunto, la tassa di bollo e l’imposta federale diretta (in Svizzera le tasse federali prelevate ogni anno dalle tasche dei contribuenti costituiscono una fetta minore di quanto versato all’erario da questi ultimi; la quota principale dell’imposta sul reddito è riscossa dai Cantoni).

Nei principi base, l’iniziativa è abbastanza diversa da quanto discusso a livello di UE, più incline a tassare le transazioni finanziarie relative all’acquisto di azioni. Risulta anche piuttosto diversa dalla Tobin Tax originale, che poneva l’accento sulla speculazione valutaria, afferma Marc Chesney dell’Università di Zurigo.

Chesney, professore di finanza quantistica, è uno dei promotori dell’iniziativa popolare assieme a un comitato eterogeneo formato da persone provenienti dagli ambienti di finanza, politica e altre cerchie. L’iniziativa è indipendente da qualsiasi partito politico.

Chesney ritiene inoltre che, a livello europeo, il clamore attorno alle imposte sulle transazioni finanziarie si riduce in gran parte soltanto a mera “comunicazione”.

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Chesney è capo del Dipartimento attività bancaria e finanza all’Università di Zurigo. Keystone / Ennio Leanza

Dietro all’iniziativa svizzera si celano invece efficienza e progresso: rispetto ad altri paesi, da noi non si tratta di introdurre una nuova imposta, afferma Chesney, bensì di “sbarazzarsi di tre tasse” e aggiornare l’intero sistema fiscale per stare al passo con l’era digitale moderna.

Stando ai promotori dell’iniziativa, annualmente la tassa impinguerebbe le casse svizzere con più di 100 miliardi di franchi (sufficienti per sostituire le altre tre imposte) e, per una famiglia svizzera di ceto medio composta da quattro persone, comporterebbe risparmi per circa 4’500 franchi ogni anno.

Quanto a operazioni di borsa e speculazioni, l’iniziativa mira a contenere gli eccessi di un settore che si è ingrandito in maniera sproporzionata e che attualmente muove volumi esorbitanti che non coincidono più con l’economia “reale”, come aveva riferito lo scorso anno Chesney a swissinfo.ch.

Per Chesney, autore di A Permanent Crisis (Una crisi permanente), un libro sugli abusi nel settore finanziario, si tratta poi di una questione democratica. Diversamente da altri paesi, infatti, la Svizzera permette ai cittadini di promuovere iniziative popolari.

“È inconcepibile che nei cosiddetti paesi democratici non vengano affrontate democraticamente alcune questioni cruciali – siano esse di natura politica, energetica, sociale, economica o finanziaria – e che alla fine della fiera queste non siano altro che il frutto di decisioni prese dai governi”, scrive lo stesso Chesney.

Tutto ciò può funzionare?

Da un punto di vista meramente pratico, l’iniziativa deve affrontare una strada in salita.

Jean-Pierre Ghelfi, ex vicepresidente della Commissione federale delle banche, scrive che la “microimposta” non eviterebbe futuri bailout del governo per salvare le grandi banche. Si dice inoltre preoccupato che gli istituti finanziari possano semplicemente addossare i costi dell’imposta ai loro clienti, in altre parole ai cittadini.

Reiner Eichenberger, professore di economia presso l’Università di Friburgo, afferma che l’iniziativa è un’assurdità e che né i decisori politici, né tantomeno il popolo l’accoglierebbero mai.

“L’imposta non andrebbe a impinguare le finanze nazionali, perché non farebbe altro che spingere coloro che effettuano operazioni di mercato ad alta frequenza a spostarsi in altri paesi o a trovare soluzioni alternative”, chiosa Eichenberger.

“Porre un freno alle transazioni ad alta frequenza in Svizzera è una cosa, ma ciò non dovrebbe diventare un modo per finanziare il governo”, aggiunge il professore.

Eichenberger ritiene però positivo che si possano discutere idee di questo tipo e che il sistema svizzero permetta almeno dibattiti di questo tenore. Altrove la gente fa un gran parlare di queste cose, ma non può portare avanti un dibattito serio, aggiunge lo stesso professore. Anche se proposte affini poi vengono bocciate, in Svizzera il fatto di poter votare significa perlomeno che la popolazione riceve un’”educazione politica”.

L’iniziativa popolare del 2016 “Per un reddito di base incondizionato” – che proponeva di versare a ogni cittadino 2’500 franchi al mese – era più o meno simile. Eichenberger sostiene che anche quell’idea era “un’assurdità” e che i conti non tornavano. Ma era stata presentata in maniera coerente e, sebbene sia stata respinta dal popolo, “è meglio discutere temi di questo genere anziché poltrire davanti alla TV guardando serie poliziesche”.

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Anche quest’idea non era stata spazzata via del tutto. Nel 2016, infatti, era stata accolta dal 23% delle persone che avevano espresso il proprio voto; e non è ancora scomparsa: a Zurigo, di recente, a livello cittadino è stata lanciata un’iniziativa per avviare un progetto pilota di reddito di base incondizionato. Questa volta, a sostenerla sono politici di sinistra e non attivisti apartitici.

Funzione “catalizzatrice”

Un’altra idea simile (anch’essa respinta) era stata l’”Iniziativa Moneta intera“, che proponeva un peso maggiore della Banca nazionale svizzera nell’approvvigionamento creditizio.

Anja Heidelberger, ricercatrice della piattaforma di informazione politica “Année Politique Suisse”, afferma che l’esempio dell’”Iniziativa Moneta intera” è forse quello più direttamente paragonabile alla “microimposta”, in quanto sono entrambe idee con un fondamento “fortemente tecnico” (anziché emozionale), che mirano a una “riorganizzazione rivoluzionaria” del sistema.

Heidelberger sostiene che, dal punto di vista della teoria democratica, l’obiettivo principale di iniziative così rivoluzionarie è quello di aprire un dibattito sul merito della questione, cosa che altrimenti non avverrebbe.

Mentre alcune iniziative servono come valvola di sfogo (per esempio quando si parla di temi caldi come l’immigrazione), altre vengono utilizzate come strumenti politici (per esempio per promuovere l’immagine di un partito) e altre ancora hanno una funzione “catalizzatrice” per stimolare il dibattito, afferma Heidelberger. La “microimposta” potrebbe rientrare proprio in quest’ultima categoria.

Come Eichenberger, anche Heidelberger ritiene che, in generale, gli elettori siano troppo affezionati allo status quo per accettare una rivoluzione di questo tipo, ma che riescano comunque ad “alimentare la discussione”.

Per capire se sarà così anche per la “microimposta”, in primo luogo resta da vedere se l’iniziativa verrà votata o meno. Secondo Chesney, a oggi la campagna ha raccolto 40’000 firme. I promotori hanno ancora un anno di tempo per raggiungere le 100’000 firme necessarie.

Stefano Zeni

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