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Il difficile coming out dei transgender sul posto di lavoro

Stefanie Stalder, transgender e contadina del cantone di Lucerna
Stefanie Stalder, transgender e contadina del cantone di Lucerna, è tra le persone impegnate nella campagna "trans welcome". swissinfo.ch

Tasso di disoccupazione cinque volte superiore alla media, discriminazioni, incomprensioni. Nel mondo del lavoro, le persone transgender sono discriminate. L’associazione Transgender Network Switzerland ha così lanciato una campagna di sensibilizzazione tra le aziende.

“Da un lato, le persone transgender lottano per trovare lavoro. Dall’altro, non è raro che perdano il lavoro quando fanno il loro coming out”. Parole di Alecs Recher, avvocato dell’Associazione svizzera delle persone transgender, transessuali e transidentitarie (TGNSCollegamento esterno).

Le reazioni iniziali sono spesso positive, ma il sostegno del datore di lavoro viene a mancare in un secondo tempo: non è usato il nome giusto per evocare la persona, i certificati di lavoro vengono rilasciati con il nome sbagliato, si creano situazioni di mobbing o addirittura di molestie. “Alcuni datori di lavoro  – nota Alecs Recher – credono anche che un’operazione di riassegnazione sessuale debba avvenire durante le vacanze e rifiutano di pagare le indennità giornaliere, ciò che non è conforme alla legge”.

Un quarto degli intervistati perde il lavoro

Il sondaggio TGNS su 140 persone nella Svizzera tedesca e romanda, cofinanziato dall’Ufficio federale per l’uguaglianza tra donna e uomo, ha rivelato che in ambito lavorativo, un coming out su cinque finisce male.

Quasi un quarto degli intervistati dichiara di aver perso il lavoro dopo il loro “outing” o di aver dovuto affrontare un deterioramento delle condizioni di lavoro. Meno della metà sono state accettate con la loro nuova identità di genere e un quarto non è stato sostenuto dal datore di lavoro.

Di conseguenza il tasso di disoccupazione tra le persone transgender è del 20%,  ovvero cinque volte superiore alla media. Secondo TGNS, questa situazione costerebbe allo Stato circa 60 milioni di franchi all’ anno.

Un raggio di speranza

Il servizio legale di TGNS riceve circa 300 richieste d’informazione all’anno, di cui un terzo riguarda il mondo del lavoro. Le domande continuano ad aumentare. “Se ci sono molti problemi, l’aumento delle richieste di informazioni significa che le persone transgender scelgono sempre meno di rimanere nascoste, il che è positivo”, commenta Alecs Recher.

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50 aziende firmano una dichiarazione

Nell’ambito della campagna “trans welcome” lanciata il 7 marzo da TGNS, circa 50 imprese, tra cui La Posta, FFS, Ikea, Tibits, ETH Zurigo e molte PMI, hanno firmato una dichiarazione per l’attuazione di una cultura del lavoro inclusiva per le persone transgender. “Questo –  aggiunge Alecs Rechner – è un segnale di apertura per le persone interessate”.

Allo stesso tempo, l’obiettivo del sito transswelcome.chCollegamento esterno è quello di fornire informazioni ai datori di lavoro, che spesso hanno poca esperienza e scarsa conoscenza della materia. “Le aziende devono conoscere l’argomento, parlare con il dipendente interessato e sostenerlo. Il supporto dei superiori è fondamentale”, sottolinea ancora Alecs Rechner. 

Il diritto di cambiare sesso

In Svizzera, le persone trans possono cambiare nome anche senza modificare il proprio sesso all’anagrafe, rivolgendosi all’amministrazione cantonale. Hanno il diritto di scegliere il nome che vogliono.

Per cambiare il sesso registrato ufficialmente all’anagrafe è invece necessario avviare un’istanza legale. Fino a pochi anni fa, tutti i tribunali svizzeri esigevano dalle persone trans di sottoporsi a un’operazione di adeguamento del sesso e/o a una prova di sterilità definitiva. Questo sulla base di una sentenza del Tribunale federale risalente al 1993. La situazione sta però evolvendo. Nel 2011 la Corte d’appello del canton Zurigo ha autorizzato il cambiamento del sesso all’anagrafe senza operazione chirurgica e l’anno successivo anche l’Ufficio federale dello Stato civile si è espresso in questo senso.

Se negli ultimi anni diversi tribunali hanno adattato la loro pratica, altri continuano ad esigere la prova di un intervento chirurgico, della sterilità definitiva e/o il certificato di uno psichiatra che attesti la “transessualità” della persona. Una prassi condannata dall’associazione TGNS, che difende i diritti dei trans e che è già stata abbandonata da paesi come Francia, Italia e Germania.

Traduzione dal francese di Riccardo Franciolli

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