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Monet e i suoi figli “spirituali” al museo Beyeler

Ossessione dello sguardo e poetica del colore in Monet e nella video-art. Fondazione Beyeler

Nella splendida cornice del museo di Renzo Piano, le affinità tra il più originale degli impressionisti, gli astratti e gli artisti digitali.

Accostare maestri del passato ad artisti di generazioni successive che sono stati loro ammiratori e seguaci (a volte anche inconsci), far dialogare le diverse epoche è diventata ormai una vera e propria voga nella museografia contemporanea.

Anche la mostra dedicata a Monet al museo Beyeler di Basilea/Riehen (28 marzo-4 agosto 2002), non si sottrae al trend. Contrariamente all’esposizione di Monaco “Monet e i Moderni”, che si é appena conclusa, non vi sono però a Basilea troppe giustapposizioni dirette tra il grande impressionista e i suoi seguaci. Le opere di Monet vengono presentate in blocco. La separazione fisica segna la distanza temporale tra Monet e i suoi “figli spirituali”, e invita lo spettatore a ripercorrere più volte le sale costruendo di volta in volta nuove connessioni.

Monet: baricentro della mostra

Le opere di Monet occupano il cuore del museo: in tutto se ne possono ammirare più di una quarantina. Tre solamente sono quelle che fanno parte della collezione permanente Beyeler. In particolare le famose “Ninfee”, normalmente ospitatate nella speciale sala con vetrata, che si affaccia su di un laghetto artificiale.

Questa sala è per la durata della mostra occupata temporaneamente dall’installazione di un artista islandese, che gioca con la percezione del visitatore e con la nozione, molto spesso artificiosa, di “natura”. Da notare ad esempio che il famoso laghetto di ninfee ritratto in tante serie di quadri da Monet era anche artificiale: il pittore in persona lavorò alla sua costruzione e al suo perfezionamento per anni.

Monet non ha mai dipinto un quadro astratto, ma ci è andato molto vicino. Ecco cosa dice un famoso critico a proposito del quadro delle ninfee della collezione permanente Beyeler: “Uno spettatore che non sapesse nulla dell’artista morto nel 1926, o del suo quadro, potrebbe immaginare entrando nella sala di trovarsi di fronte ad una composizione astratta degli anni 50”.

La modernità di Monet è il presupposto della mostra: una scoperta, questa modernità, operata negli anni 50 da alcuni giovani artisti americani, e qualche francese, che diedero vita ad un vero “Monet revival”. Per alcuni, come Sam Francis, si trattava di una conoscenza diretta dell’opera tardiva di Monet, in particolare appunto la serie di grandi formati in cui il pittore francese ripetendo quasi con ossessione maniacale lo stesso soggetto, le ninfee appunto, raggiunge un livello di sperimentazione che improvvisamente fu percepito nel secondo dopoguerra come precursore dell’astrattismo.

Sedimenti e astrazione

Vi sono poi opere di artisti presentati a Basilea, come Jackson Pollock, che non era un ammiratore di Monet, eppure venne considerato un suo “discendente”. Una spiegazione è l’eliminazione della prospettiva e il considerare il quadro non più come una finestra sul mondo, ma come una superficie a sè stante.

A parte artisti come Sam Fracis e Jackson Pollock, del “Monet revival” fa parte anche Marc Rothko, anche lui alla ricerca di liberare il quadro dai confini della tela e per il tentativo di creare un universo di puro colore. Clifford Still, Jean Paul Riopelle, André Masson e Joan Mitchell, artisti che effettivamente mostrano le “somiglianze” più evidenti con il maestro francese. Poi vengono artisti che con Monet hanno in comune il fatto di “occupare” tutta la tela e di invadere lo spazio con grandi formati. Tra questi: Jasper Johns, Gerhard Richter, Cy Twombly e anche Andy Warhol (i cui “Fiori” sono diventati altrettanto famosi quanto le ninfee di Monet).

Dipingere con la luce: gli artisti digitali

Per questa mostra è stata forgiata un’espressione che non esisteva ancora nella storia dell’arte: impressionismo numerico, o digitale. Sono artisti che invece della tela usano mezzi elettronici, lo scintillio dei monitor e delle proiezioni, ma che hanno la stessa avidità di luce e di colori tipica dell’impressionismo. La grande dimensione che Monet cercava alla fine della sua carriera, si ritrova poi nell’invasione di tutto lo spazio, come nella spettacolare installazione “Sip my Ocean” di Pipilotti Rist, relativamente poco vista in Svizzera.

Il museo Beyeler si aspetta un grande afflusso di pubblico: alcuni quadri non sono mai stati esposti prima. Per questo motivo, la direzione della Fondazione invita i visitatori ad usare i mezzi di trasporto pubblici (il tram si ferma di fronte all’entrata) e,una prima svizzera, ad acquistare i biglietti via internet.

Raffaella Rossello

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