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Nella Striscia di Gaza si vive “come in una prigione”

Keystone

Il libero accesso alla Striscia di Gaza è attualmente il più grave problema per gli operatori umanitari: lo denuncia Toni Frisch, il capo della delegazione della Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC) al termine di una viaggio nella regione. Gli aiuti elvetici arrivano a destinazione, ma molti altri sono bloccati.

Raggiunto telefonicamente nella Valle del Giordano, il direttore supplente della DSC spiega a swissinfo la difficoltà che si prova a capire il senso dell’ampiezza dei danni collaterali della recente offensiva militare israeliana.

Lo Stato ebraico è accusato di avere sferrato un attacco sproporzionato: nei 22 giorni di conflitto sono state uccise dalle 1’200 alle 1’300 persone. Oltre alle migliaia di vittime, fra morti e feriti, i bombardamenti hanno devastato la regione.

Israele replica che la causa di ciò è Hamas, i cui attivisti si sono trincerati in scuole, istituzioni e moschee, utilizzando la popolazione civile come scudi.

Il movimento radicale islamico a sua volta accusa al Fatah di spionaggio e congiura con Israele. Secondo Hamas, agenti del movimento moderato palestinese avrebbero spiato i rivali radicali e trasmesso indicazioni all’intelligence dello Stato ebraico, che si sarebbero tradotti nell’individuazione di obiettivi, grazie anche a mappe di Google Earth.

swissinfo: Può descrivere cosa ha visto a Gaza?

Toni Frisch: Non sono stato sorpreso da quello che ho visto. Sono stato attivo nella cooperazione umanitaria per 30 anni. Ho visto moltissimi disastri e crisi e naturalmente i danni che hanno provocato. Ci sono stati morti e feriti. È veramente drammatico. Ma, tutto sommato, non mi ha stupito vedere la realtà con i miei occhi, dopo quanto avevo ascoltato e letto e dopo essere stato informato dalla nostra equipe.

swissinfo: Cosa l’ha colpita di più?

T.F.: La gente capisce che ci sono stati attacchi e bombardamenti, ma non che siano state prese di mira scuole e persino ospedali, che siano stati uccisi così tanti civili. È difficile comprendere che siano state colpite tenute agricole e fattorie.

Il problema principale è l’accesso. Nella Striscia di Gaza la gente vive come in una prigione. Non ha la benché minima libertà di movimento. È da un anno e mezzo che beni di prima necessità non vengono lasciati passare. È incomprensibile che venga bloccato materiale medico e di soccorso.

Noi siamo stati privilegiati a poter portare beni di soccorso. Ma molti altri sono in attesa: giorno dopo giorno aspettano l’autorizzazione. Questo è il più grave problema.

swissinfo: Lei ha detto di avere provato uno shock di fronte ai danni alle infrastrutture agricole e alle scuole. Hamas ha la capacità di organizzare una ricostruzione?

T.F.: Le posso assicurare che questi programmi sono completamente indipendenti dal governo locale, dall’autorità politica e da Hamas. Non è come pensano la gente o certi giornalisti, o come ha scritto un giornale svizzero che portiamo denaro e beni [ai terroristi, Ndr.].

Abbiamo da anni la nostra rete di distribuzione, specialisti locali, collaboratori locali. Lavoriamo con l’UNRWA (Agenzia delle Nazioni Unite per l’aiuto ai rifugiati palestinesi), il CICR (Comitato internazionale della Croce Rossa) e una rete di centinaia di persone e siamo in grado di individuare esattamente dove vanno questi aiuti.

In futuro i progetti di ripristino e di ricostruzione saranno organizzati in modo che non presentino alcun pericolo di questo tipo. La gente s’immagina che la cooperazione umanitaria sia qualcosa che si può imparare dall’oggi al domani e diventare ipso facto un esperto. Invece non è assolutamente così. Molti pensano che si tratti soltanto di qualcosa fatto di buon cuore. Ma ciò non basta.

swissinfo: L’ONU ha sospeso gli aiuti umanitari a Gaza dopo che Hamas ha sequestrato beni di soccorso. Come fate a operare autonomamente da una parte e negoziare con Hamas, che è eletto al governo a Gaza, dall’altra parte?

T.F.: È chiaro che molte organizzazioni e governi sono riluttanti all’idea di una cooperazione totale. Il problema è che se lo fanno, sono criticati. Perciò ogni governo deve decidere la via migliore per se stesso.

Noi abbiamo la nostra via: abbiamo una visione chiara di come procedere. Nella fase preliminare di ripristino e nella continuazione dei programmi condotti finora, non vedo alcun problema per la Svizzera. Le posso assicurare che nulla è finito in mani sbagliate.

Alla Conferenza di Sharm el Sheik sono stati trattati due temi: l’aiuto umanitario e la ricostruzione e il ripristino in tempi brevi. Tuttavia non si può parlare di un rapido ripristino finché non si consente di portare sul posto cemento in quantità sufficiente. In tal caso non si deve parlare di ricostruzione. Il nocciolo del problema è il libero accesso ai beni di necessità quotidiana.

swissinfo: Ritiene che in un prossimo futuro Gaza possa diventare indipendente dagli aiuti umanitari? L’amministrazione sarà in grado di provvedere alla popolazione?

T.F.: Lo spero, che siano indipendenti. Al momento, devo dire che questa gente non è minimamente interessata a dipendere dall’aiuto umanitario. Queste persone vogliono avere accesso ai beni di prima necessità per condurre una vita normale, ricostruire, desiderano che i bambini possano andare a scuola, che i pazienti possano essere curati in ospedale.

Ecco quello che necessitano e desiderano. Appena la situazione tornerà alla normalità, qui nessuno avrà più bisogno dell’aiuto umanitario. Certo, forse occasionalmente potrebbe ancora esserci qualche necessità, ma non in linea generale.

Ora, invece, almeno il 50%, o forse fino al 70%, della popolazione della Striscia di Gaza dipende dalle operazioni di soccorso e dalla distribuzione degli aiuti umanitari. È una situazione assolutamente penosa. È un disastro.

swissinfo:Crede che Hamas sia nella posizione di poter provvedere a tali servizi? Ha la capacità amministrativa e il personale qualificato per farlo?

T.F.: Non posso rispondere a questa domanda. È puramente ipotetica. In ogni caso, chiunque sia responsabile, chiunque sia l’autorità della Striscia di Gaza, deve disporre di una situazione più o meno normale. Senza tale condizione, nessuno è indipendente, nessuno ha la capacità di organizzare il paese.

swissinfo, intervista di Justin Häne
(Traduzione dall’inglese di Sonia Fenazzi)

27 dicembre 2008: in seguito a lanci di razzi da parte di Hamas contro Israele, l’esercito israeliano sferra l’operazione “Piombo fuso”, bombardando la Striscia di Gaza.

3 gennaio 2009: scatta l’offensiva terrestre.

8 gennaio: Il Consiglio di sicurezza dell’ONU chiede l’immediato cessate-il-fuoco. La risoluzione è approvata con l’astensione degli Stati Uniti.

16 gennaio: Stati Uniti e Israele raggiungono un’intesa per la fine delle operazioni militari dello Stato ebraico nella Striscia di Gaza.

17 gennaio: Israele proclama unilateralmente la tregua.

18 gennaio: A sua volta, Hamas annuncia il cessate-il-fuoco. Le forze armate israeliane cominciano a ritirarsi.

Nei 22 giorni di attacchi, sotto il fuoco israeliano sono morti circa 1300 palestinesi. Israele riconosce l’uccisione di 13 persone.

Una delegazione di quattro alti funzionari del Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) si è recata nei Territori palestinesi e in Giordania dal 19 al 23 febbraio.

Scopo della missione, guidata da Toni Frisch, era di esaminare personalmente la situazione sul posto, per valutare i bisogni con precisione.

I delegati hanno constato la necessità di rafforzare gli aiuti della Confederazione ai Territori palestinesi. Il budget della Direzione dello sviluppo e della cooperazione per la regione nel 2008 ammontava a 21 milioni di franchi. Nel 2009 sarà aumentato di 4,25 milioni.

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