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Non lasciare soli i difensori dei diritti umani

Madrine e padrini per i difensori dei diritti umani: prima foto di gruppo al Monte Verità Massimo Pedrazzini

Subiscono intimidazioni, rischiano la loro vita, a volte sono costretti a vivere come clandestini nel proprio paese. Alcuni vengono ridotti al silenzio, uccisi per tacere per sempre.

Come proteggere queste donne e questi uomini? Al Monte Verità (Ascona), in Ticino, è stato presentato un progetto di padrinato proposto dal DFAE in collaborazione con il Forum VeriDiritti.

Maria Jackeline Rojas Castañeda, scoppia in lacrime. Con il cuore in gola elenca le persone a lei vicine che sono state uccise come forma di ritorsione. In Colombia, a Barrancabermeja, Maria coordina un’organizzazione femminile e si preoccupa di denunciare le sistematiche violazioni dei diritti umani.

Il nome del fratello freddato dai paramilitari, le si strozza in gola. Ingoia frettolosamente le lacrime e trova la forza per concludere il suo racconto. Finisce chiedendo scusa a chi l’ascolta. Scoppia, questa volta, l’applauso della sala in segno di rispetto e di solidarietà. È un colpo al cuore per tutti.

Quella di Maria è solo una delle testimonianze delle donne e degli uomini presenti sabato scorso al Forum VeriDiritti, che ha scelto di focalizzarsi sulla difesa di coloro che difendono i diritti umani. Alla riflessione si è aggiunto però qualcosa di più: il lancio – una prima svizzera – di un progetto di padrinato che consiste nell’affiancare una personalità svizzera di spicco ad un o una attivista dei diritti umani.

L’idea del padrinato

“Lo scopo del progetto di padrinato del Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) – spiega a swissinfo Ralf Heckner, capo sezione politica dei diritti umani – è di associare a un difensore dei diritti umani vittima di persecuzioni, una madrina o un padrino che in Svizzera rivestono un ruolo pubblico. Questi ultimi hanno il compito di sostenere i difensori dei diritti umani e la causa per la quale si impegnano. E, soprattutto, di curarsi della loro sorte”.

Creando questo legame, che è anche un’assunzione di responsabilità e di concreto impegno, si vuol far comprendere quanto il lavoro quotidiano degli attivisti sia indispensabile per la promozione dei diritti. Muovendosi con coraggio in situazioni ad altissimo rischio – fino a mettere a repentaglio la loro stessa vita o quella dei famigliari – i difensori dei diritti non vanno lasciati soli.

“L’idea del padrinato è infatti anche quella di proteggerli. Il fatto di associare un difensore al nome di una personalità svizzera nota – aggiunge Ralf Heckner – dovrebbe garantire una certa protezione. Appoggiando e condividendo la legittimità dell’operato di coloro che lottano per i diritti, il padrinato diventa così una forma di sostegno politico. Madrine e padrini possono fare pressione sui governi affinché rispettino gli obblighi internazionali di rispettare e proteggere i propri cittadini”.

Dopo il lancio del progetto in Ticino, l’intenzione dei promotori è di ampliarlo e diffonderlo in tutta la Svizzera. “Spero che questa idea – conclude Ralf Heckner – varchi le frontiere nazionali e riesca ad interessare anche personalità di altri paesi del mondo”.

Tra i primi padrini c’è anche Rolf Bloch, imprenditore svizzero e già presidente della Federazione Svizzera delle Comunità Israelite. Spiega così questo suo nuovo ruolo. “Nel 1930 ho avuto la grande fortuna di sopravvivere all’Olocausto. Questa fortuna voglio ripagarla con il mio impegno a favore dei diritti umani”.

Un impegno che può costare la vita

Partner del progetto, oltre al DFAE e al Forum VeriDiritti, anche l’Organizzazione mondiale contro la tortura (OMCT) di Ginevra, che gioca un ruolo di pioniere nella difesa dei difensori dei diritti umani. L’organizzazione, che ha elaborato uno specifico programma di protezione, è sempre in stretto contatto con i militanti.

“In più di ottanta paesi – spiega il direttore dell’OMCT Eric Sottas – impegnarsi concretamente per il rispetto dei diritti dell’essere umano, è un’attività che comporta rischi e pericoli. Le persone o le associazioni che si muovono su questo fronte, sono nel mirino delle autorità e di gruppi privati: fanno sparire le persone, procedono ad esecuzioni sommarie e a detenzioni arbitrarie fino ad usare la tortura per farle tacere”.

I difensori dei diritti umani vengono sistematicamente criminalizzati. “Nei loro rispettivi paesi vengono indicati come nemici dello Stato. Si fabbricano dal nulla dei processi sommari – aggiunge Sottas – per screditarli davanti all’opinione pubblica. Perché il difensore dei diritti umani non è un semplice attivista, difende concretamente i diritti degli altri. E per questo suo impegno rischia la vita”.

“Non dormo mai quasi mai nella stessa casa”

Donat Mbaya Tshimanga è della Repubblica democratica del Congo. Si batte per la libertà d’informazione, una battaglia che ha cambiato radicalmente la sua vita, costretto com’ è a vivere quasi in clandestinità. “Non dormo mai due notti di fila nella stessa casa, devo sempre nascondermi.”.

Quando Kabila assume il potere il 17 maggio 1997, sospende tutti i diritti più elementari. La stampa denuncia questi abusi e in risposta alle voci libere, si scatena la violenta macchina della repressione. Donat Mbaya Tshimanga crea l’associazione “Giornalisti in pericolo” per rompere il silenzio. Da quel giorno intimidazioni e rappresaglie sono entrate nella sua vita. “A volte quando ti svegli la mattina guardi la terra sotto i piedi. Poi alzi gli occhi al cielo e ti dici: oggi sono spacciato, è il mio ultimo giorno”.

Ora è Donat Mbaya Tshimanga – che può contare sul padrinato di Marco Solari, presidente del Festival internazionale del film di Locarno e di Ticino Turismo – ad avere bisogno di qualcuno che lo protegge e lo difende.

“Ci aspettiamo che un padrino o un madrina siano i nostri portavoce – spiega a swissinfo Donat Mbaya Tshimanga – che rendano noto il nostro impegno di difensori dei diritti umani. Quando, come me, si è costretti a vivere nascosti, la nostra azione rischia di essere dimenticata. La nostra voce non deve però spegnersi, spetta dunque al padrino il compito di farla ascoltare”.

“Sapere che quando io non sono nelle condizioni di agire liberamente, c’è qualcuno che presta la sua voce e il suo volto alla causa per la quale sto lottando – conclude Donat Mbaya Tshimanga – fa bene e dà coraggio. È come la luce di una candela quando piomba l’oscurità”.

swissinfo, Françoise Gehring, Monte Verità

Sono personalità svizzere attive nel mondo dell’economia, della cultura, della comunicazione. Hanno deciso di offrire la loro visibilità pubblica per una giusta causa, accettando di diventare madrina o padrino di un o una militante dei diritti umani la cui sicurezza è in pericolo.

Che cosa possono fare concretamente un padrino o una madrina?: Rivolgersi all’ambasciata che ostacola il lavoro dell’attivista o che minaccia la sua vita, presentare il caso all’opinione pubblica, mobilitare la società civile ed esercitare pressioni sul governo.

I primi nomi sono stati resi pubblici sabato 8 dicembre 2007 al Monte Verità (Ascona) nel quadro del Forum VeriDiritti: Gardi Hutter, Dimitri, Rolf Bloch, Jean-Luc Bideau, Marco Solari, Rosemarie Zapfl, Ellen Ringier, Claude Nobs, Noemi Kocher, Lars Müler, Jacques Pilet e Patrick Chapatte.

Difensore dei diritti umani è un termine utilizzato per descrivere una persona che, individualmente o insieme ad altre, agisce per promuovere o proteggere i diritti umani.

I difensori agiscono pacificamente e nel rispetto del diritto per la promozione e la protezione dei diritti contemplati nella Carta dei diritti umani dell’ONU: la Dichiarazione universale dei diritti umani e i due patti sui diritti civili e politici e sui diritti economici, sociali e culturali.

Le Nazioni Unite, il 9 dicembre 1998, hanno adottato la Dichiarazione sui diritti e le responsabilità degli individui, dei gruppi e delle istituzioni sociali per promuovere e proteggere i diritti umani e le libertà fondamentali universalmente riconosciuti.

Questa segna un traguardo storico nella lotta per una migliore tutela di coloro a rischio di conduzione di attività legittime a favore dei diritti umani. Si tratta del primo strumento dell’ONU che riconosce l’importanza e la legittimità del lavoro dei difensori dei diritti umani, così come il loro bisogno di avere una protezione migliore.

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