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Società di sicurezza private: la Svizzera resta attrattiva

Le società di sicurezza private sono state particolarmente attive in Iraq. AFP

Le società di sicurezza private con sede in Svizzera saranno sottoposte dal 2014 a nuove regole. Dovranno in particolare annunciare le loro attività e adottare un codice di condotta. Ciò nonostante, gli esperti non prevedono una fuga di queste imprese. Al contrario, la nuova legge potrebbe perfino spianare loro la strada.

«Per le ditte svizzere tradizionali, la nuova legge non cambia nulla. È invece diverso per le società attive in un contesto di guerra. Queste dovranno annunciare le loro missioni e aderire al codice di condotta internazionale, una misura che ritengo intelligente», dichiara Reto Casutt, portavoce dell’Associazione imprese svizzere servizi di sicurezza.

«Il primo progetto di Legge federale sulle prestazioni di sicurezza privata fornite all’estero (LPSP) andava troppo nei dettagli. Ad esempio, una guardia del corpo assunta da uno sportivo avrebbe dovuto annunciare le sue missioni [alle autorità]. Vi era un carico amministrativo eccessivo. Il parlamento, però, ha corretto il tiro ed ora siamo soddisfatti».

La nuova legge vieta formalmente alle imprese una partecipazione diretta alle ostilità, in un contesto di conflitto armato all’estero. Il divieto riguarda sia il reclutamento di mercenari che la messa a disposizione di personale. Oltre alle operazioni militari, la legge precisa anche che le imprese di sicurezza non possono esercitare attività che rischiano di favorire violazioni gravi dei diritti umani o che possono danneggiare gli interessi della Svizzera.

Nel messaggio alle Camere federali del 23 gennaio 2013, il governo svizzero indica che su scala mondiale le prestazioni private nei campi militare e della sicurezza rappresentano un potenziale di centinaia di migliaia di collaboratori e che il mercato mondiale della sicurezza privata in zone di guerra è stimato a 100 miliardi di dollari.
 
Dal canto suo, il Ministero degli affari esteri francese evoca stime di 400 miliardi di dollari di fatturato e di un milione di persone di effettivi per l’insieme delle società militari e di sicurezza private nel mondo. Su questo lucroso mercato sarebbero attive circa 6’500 società.
 
Non ci sono statistiche sulle aziende militari e di sicurezza private in Svizzera. In un rapporto del 2010, l’Ufficio federale di giustizia ha tuttavia indicato che a quel momento c’erano una ventina di società di sicurezza private con sede in Svizzera che operavano o suscettibili di operare in zone di crisi o di conflitto.

Le società attive in Svizzera sono inoltre obbligate a dichiarare al Dipartimento degli affari esteri le attività che svolgono all’estero. Le autorità avranno tempo 14 giorni per verificare eventuali contravvenzioni. Le diverse imprese hanno poi l’obbligo di aderire al codice di condotta internazionale, che la Svizzera ha contribuito a istituzionalizzare a livello internazionale.

Le infrazioni saranno punite con un massimo di tre anni di prigione o con una multa. Le autorità potranno inoltre procedere a ispezioni inopinate, controllare documenti o confiscare materiale per verificare che una società non stia esercitando attività illecite.

Una legge colabrodo?

Al di fuori delle disposizioni cantonali, finora non esisteva una legge federale sulle imprese private con attività militari all’estero. Ma in seguito all’arrivo a Basilea, nel 2010, della società britannica AEGIS – tra i pesi massimi del settore –, governo e parlamento hanno ritenuto necessario regolamentare le attività dei “mercenari”.

La nuova legge non convince però tutti, soprattutto a sinistra. I Verdi, in particolare, si sono mostrati molto critici. «La legge sui mercenari fa acqua da tutte le parti. […] Lascia troppo margine di manovra alle società di sicurezza private», scrive il partito. All’obbligo di dichiarare le attività, la sinistra avrebbe preferito un sistema di autorizzazione più severo.

Anche Marco Sassòli, direttore del Dipartimento di diritto internazionale pubblico dell’università di Ginevra, considera che la nuova legge non sia perfetta. «Esigere soltanto una dichiarazione è un po’ come gettare polvere negli occhi», spiega a swissinfo.ch . «E poi come farà la Svizzera a procedere a delle verifiche entro i 14 giorni previsti dalla legge, soprattutto quando le imprese sono attive all’estero?».

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Per il professore, tuttavia, non bisogna fare d’ogni erba un fascio. «Questa legge cambia molte cose, indica Marco Sassòli. Prima esistevano solo leggi cantonali che non coprivano le attività all’estero. Certo, la normativa non è ideale e si sarebbe potuto esigere di più. La Svizzera si spinge però più in là rispetto ad altri paesi».

Direttore del dipartimento di relazioni internazionali all’università Webster di Ginevra e redattore capo della Rivista militare svizzera, Alexandre Vautravers ritiene dal canto suo che l’LPSP sia un progresso. «Questa legge è piuttosto interessante perché dà il “buon esempio”».

Per questo specialista di questioni di difesa, il sistema di dichiarazione è perfino preferibile al sistema di autorizzazione. «La sinistra vorrebbe una specie di licenza. Ma se uno chiede e ottiene questa licenza, significa che il governo svizzero autorizza, avalla e incoraggia la sua attività. Ciò pone più problemi di quanti ne risolve. È una falsa buona idea».

Nessun esodo in vista

Anche se non tutti concordano sulla sua efficacia, è un dato di fatto che la Svizzera disporrà dal 2014 di una legge più severa rispetto alla maggior parte dei paesi. Ci si può dunque chiedere se alcune società di sicurezza non saranno tentate di trasferirsi in paesi dalle legislazioni più flessibili. Coinvolta in prima persona, la società AEGIS non ha voluto  rispondere alle sollecitazioni di swissinfo.ch.

Alexandre Vautravers non crede che la nuova legge cambi le carte in tavola. La Svizzera resta un paese interessante. «Ciò che caratterizza l’AEGIS, è la sua dimensione. Sta cercando di superare la soglia necessaria per diventare una multinazionale nel campo della sicurezza. La Svizzera resta un buon trampolino di lancio. I vantaggi sono diversi: possibilità d’organizzare incontri, prossimità con alcuni clienti come i grandi gruppi industriali, personale qualificato nel campo della gestione dei dossier e dell’acquisizione di aziende, quadro giuridico favorevole alle imprese».

Lo specialista si spinge oltre: invece di far fuggire le società di sicurezza, la nuova legge e il suo codice di condotta potrebbero perfino spianare loro la strada. «Non mi stanco mai di ripetere che è stato proprio grazie alla lobby degli agenti di sicurezza privati che questo processo di revisione è stato portato avanti. Hanno interesse a chiarire i limiti delle loro responsabilità nei confronti dei datori di lavoro. Questo codice permette loro di presentarsi come partner responsabili. Le prospettive si fanno probabilmente più interessanti. Questo mercato si sta ingrandendo: ora è possibile anche offrire servizi a clienti che prima erano frenati dal flusso di legislazioni in vigore».

L’analisi di Alexandre Vautravers è condivisa anche da Marco Sassòli. «Tutta la polemica sta proprio qui. Il codice di condotta è un argomento di vendita. Queste società di sicurezza, che hanno un serio problema di immagine, possono così tornare a una sorta di verginità», afferma il professore.

La Svizzera, in collaborazione con il Comitato internazionale della Croce rossa (CICR), si è impegnata molto a livello  diplomatico nell’elaborazione del Documento di Montreux, sottoscritto il 17 dicembre 2008. Il testo ricorda agli Stati e alle imprese gli obblighi legali internazionali in caso di conflitto armato e contribuisce a chiarire le responsabilità di ognuno.

Il Codice di condotta elaborato nel quadro del Documento di Montreux elenca dal canto suo le buone pratiche che le società di sicurezza private e le società militari dovrebbero seguire.

In occasione dei cinque anni d’adozione del testo, il ministero svizzero degli affari esteri ha organizzazione a metà dicembre 2013 una riunione a Montreux («Montreux+5»).

Presente sulle rive del Lemano, il capo della diplomazia svizzera Didier Burkhalter ha tracciato un primo bilancio positivo. Finora il Documento di Montreux è stato sottoscritto da 49 Stati e 3 organizzazioni internazionali (Unione europea, OSCE e NATO), mentre 710 società hanno firmato il Codice di condotta.

Didier Burkhalter ha però sottolineato che «c’è ancora molto da fare per convincere le diverse regioni del mondo ad aderire». Il prossimo grande obiettivo è l’Africa con una conferenza regionale in Senegal nel 2014.

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