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Pane OGM, perché no?

La bancarella con i pani dell'esperimento: la provenienza del mais era dichiarata in modo chiaro. Ph. Aerni

In Svizzera, è praticamente impossibile trovare del cibo transgenico. Non lo comprerebbe nessuno, affermano i grandi distributori. Ma uno studio del Fondo nazionale per la ricerca scientifica sembra dimostrare il contrario.

Quella tra gli svizzeri e gli organismi geneticamente modificati (ogm) non è certo una storia d’amore, soprattutto se in ballo c’è il cibo. Del resto, una tra le poche iniziative popolari a superare lo scoglio delle urne è stata proprio quella «per alimenti prodotti senza manipolazione genetica». Era il 2005 e da allora vige una moratoria che ha bloccato l’arrivo degli ogm in agricoltura.

La moratoria scade nel 2010, ma il governo ha già invitato il parlamento a prolungarla per altri tre anni: agricoltori e consumatori non sembrano aver alcun «bisogno urgente» di ogm, ha scritto l’esecutivo nel suo messaggio alle camere.

Ma il fatto che non ne abbiano bisogno significa automaticamente che li condannano o che non li comprerebbero? No, risponde l’economo agrario Philipp Aerni, che proprio su questo tema ha condotto uno studio di marketing applicato. «L’atteggiamento degli svizzeri nei confronti della tecnologia genetica è meno negativo di quanto si sia portati a supporre».

Stesso pane, mais diverso

Per il suo esperimento, Aerni ha allestito in diverse città della Svizzera una bancarella che vendeva dei pani al mais cucinati seguendo la stessa ricetta, ma utilizzando farine diverse. Per una parte dei pani è stata impiegata farina di mais biologico, per un’altra farina di mais coltivato in modo convenzionale e per l’ultima farina di mais Bt-11.

Il risultato? Un acquirente su cinque ha comprato – consapevolmente – almeno un pane ogm, anche quando questo aveva lo stesso prezzo del pane bio. Se poi i venditori erano giovani e la bancarella non era ubicata nel bel mezzo di un mercato biologico, la quota di pani transgenici è stata anche più alta.

«Non siamo sorpresi più di tanto», dice Josianne Walpen della Fondazione svizzera per la difesa dei consumatori. «Del resto non abbiamo mai detto che tutti i consumatori sono contrari a questo tipo di prodotti, ma solo che una maggioranza di loro non li vuole. Certo mi sarei aspettata una percentuale di acquirenti di pane transgenico più bassa del 20%. Probabilmente in gioco c’era una certa curiosità».

La curiosità potrebbe spiegare anche l’assenza di relazione tra l’atteggiamento al momento dell’acquisto e il parere espresso qualche anno fa alle urne. «C’è chi ha detto sì alla moratoria e ha comprato pane transgenico e chi ha votato no e ha acquistato solo pane bio», spiega Aerni.

Conoscere per decidere

In effetti, tra le persone che hanno comprato pane transgenico, una su due ha indicato di essere stata mossa dalla curiosità. «Nel questionario che abbiamo distribuito, però, non chiedevamo solo questo», puntualizza Aerni. «Ma anche se il pane era piaciuto o no. E sì, il pane transgenico ha ottenuto gli stessi buoni voti del pane bio».

Per il ricercatore, questa è la dimostrazione che non si può discutere di genetica in campo agroalimentare senza dare alla gente la possibilità di fare esperienze concrete con i risultati di questa tecnologia. «Molte persone che si sono avvicinate alla nostra bancarella non avevano la più pallida idea di cosa dovessero aspettarsi. Una signora ha dato il pane transgenico al suo cane, per accertarsi che non fosse velenoso. È come se nell’immaginario comune fosse presente l’idea che un pane del genere può essere mortale. Sono esagerazioni che nascono dalla mancanza di esperienza e che dimostrano quanto sia importante favorire la formazione di un giudizio autonomo».

Va in questa direzione un altro esperimento condotto da Aerni nel quadro del Progetto nazionale di ricerca 59: portare la tecnologia genetica nelle scuole, offrendo due giornate a tema, una da passare in laboratorio e l’altra discutendo di implicazioni etiche. Per Aerni e i suoi colleghi non è stato facile trovare licei disposti a collaborare. «Sembra che le scuole equiparino le esperienze concrete con le biotecnologie a un sì incondizionato alla loro applicazione e quindi le rifiutano. Ma la scuola dovrebbe insegnare, non giudicare a priori, decidendo per gli allievi. Non può fare come se questa tecnologia non esistesse».

Libertà di scelta

Aerni ritiene che nel settore agrario le manipolazioni genetiche siano una tecnica sicura, molto più, ad esempio, di procedimenti autorizzati senza riserve, come l’irraggiamento delle sementi di soia volto a rendere la pianta resistente agli erbicidi.

Per Josianne Walpen, invece, la prudenza è giustificata. Ne va della libertà di scelta dei consumatori. «Non siamo per principio contrari a che le persone che lo desiderano possano acquistare prodotti transgenici. Il problema è che in spazi ristretti come quelli svizzeri è poco realistico pensare di tenere rigorosamente separate le colture ogm e quelle tradizionali. Ciò significa che in un futuro – anche se non prossimo – la libertà di scegliere prodotti privi di ogm, libertà reclamata dalla maggioranza della popolazione, non può essere garantita». Ben venga dunque la proposta governativa di prolungare la moratoria per aspettare i risultati del PNR 59.

Dal canto suo, Aerni è convinto che ci siano già gli strumenti per evitare contaminazioni indesiderate. E anche se in Svizzera la tecnologia genetica in ambito agrario non è una necessità, alcune applicazioni potrebbero essere interessanti: «Penso ad esempio alla patata resistente alla peronospora, che porterebbe a ridurre in modo drastico l’impiego di rame».

Biodiversità, sostenibilità, libertà di scelta: sono valori condivisi. La tecnologia genetica potrebbe aiutare a difenderli. Oppure minacciarli. Il dibattito è (ancora) aperto.

Doris Lucini, swissinfo.ch

Il Progetto nazionale di ricerca 59 è dedicato allo studio delle opportunità e dei rischi legati alla coltivazione all’aperto di piante geneticamente modificate.

Lanciato alla fine del 2005, il PNR 59 ha un budget di 12 milioni di franchi distribuiti tra una trentina di studi che si occupano di aspetti tecnici (biotecnologia ambientale), politici, sociali ed economici, nonché della valutazione e gestione dei rischi.

In linea di massima, il PNR 59 dovrebbe concludersi nel giugno del 2011. Alcuni esperimenti all’aperto con frumento geneticamente modificato hanno però subito dei ritardi, in particolare a causa della distruzione delle piantine da parte di persone mascherate e di azioni legali volte a bloccare la semina.

Si è lauerato in geografia all’Università di Zurigo e ha conseguito un dottorato in economia agraria al Politecnico della stessa città (ETHZ).

Lavora per il dipartimento di scienze agrarie e alimentari dell’ETHZ e per il World Trade Institute di Berna.

Nel quadro del PNR 59 si occupa di due progetti: «Alimenti geneticamente modificati: qual è il vero grado di scetticismo dei consumatori?» e «Tecnologia genetica a scuola».

Nel primo caso ha studiato la reazione dei consumatori di fronte alla possibilità concreta di acquistare del pane al mais transgenico. Il 20% dei clienti ha acquistato almeno un pane OGM.

Il secondo progetto porta la tecnologia genetica nei licei (dove oggi viene discussa da un punto di vista etico ma raramente insegnata) e studia l’impatto della conoscenza pratica sulla formazione di un’opinione.

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