La televisione svizzera per l’Italia

“Il canone radiotelevisivo va mantenuto”

La Camera alta del parlamento elvetico ha ribadito mercoledì la propria opposizione all’iniziativa popolare che domanda la soppressione del canone radiotelevisivo in Svizzera. Alcuni parlamentari hanno denunciato una possibile “berlusconizzazione” del panorama audiovisivo. 

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L’iniziativa denominata “No Billag”, che aveva raccolto nel 2015 il sostegno di oltre 112’000 cittadini, chiede che venga vietato alla Confederazione di sovvenzionare le emittenti radiofoniche e televisive e di far pagare il canone. La riscossione di quest’ultimo, secondo il testo, non potrà più essere delegata a terze parti, come avviene attualmente (l’impresa che se ne occupa è, appunto, la Billag). Berna potrà al massimo pagare per la diffusione di comunicati ufficiali urgenti.

Il canone radiotelevisivo in Svizzera ammonta attualmente a 451,10 franchi per nucleo famigliare. Con la sua generalizzazione, la fattura dovrebbe abbassarsi a meno di 400 franchi entro il 2019. Le imprese con una cifra di affari superiore a 500’000 franchi potrebbero invece doverne spendere fino a 39’000.

Nel 2015, il canone ha fruttato 1,35 miliardi di franchi (senza IVA). La parte della SSR è stata di 1,235 miliardi. Il resto è andato alle emittenti locali e regionali.

I promotori sostengono che la SSR, la Radiotelevisione svizzera, dispone attualmente quasi di un monopolio, che bisogna sopprimere e sostituire con una “concorrenza leale fra i media”.

Il Consiglio degli Stati, la Camera alta del Parlamento elvetico, ha affossato mercoledì l’iniziativa, sostenendo che il legislativo deve consigliare al popolo di votare “no”. I “senatori” hanno anche rinunciato a sottoporre al giudizio delle un’alternativa al testo.

Durante il dibattito, diversi oratori hanno evocato il rischio di una “berlusconizzazione” del paesaggio dei media elvetici o ancora una deriva dell’informazione “all’americana”, con lo sviluppo di “fake-news”. È stata inoltre sottolineata l’importanza del ruolo del servizio pubblico per la democrazia e la coesione nazionale tra le diverse realtà linguistiche.

Il dibattito passerà ora al Consiglio nazionale, la Camera bassa, dove però le voci ostili al servizio pubblico sono molto più forti.


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