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PER LUNEDÌ 3 SETTEMBRE Rilanciata in tribunale la vertenza sul genocidio armeno

Sono stimate tra mezzo milione e un milione e mezzo le vittime delle deportazioni di armeni, nel periodo dal 1915 al 191717 Keystone

Sei mesi dopo essere stata respinta dal Consiglio nazionale, la questione del riconoscimento del genocidio armeno torna alla ribalta grazie ad un processo inedito. Rappresentanti di associazioni turche compaiono da martedì davanti alla giustizia bernese per «negazionionismo».

Diciassette persone sono imputate di «discriminazione razziale» su denuncia dell’Associazione Svizzera-Armenia (ASA). Accusate di aver «negato, minimizzato grossolanamente o cercato di giustificare» il genocidio degli armeni in una petizione trasmessa al Parlamento, saranno ascoltate dal giudice del Tribunale di Berna- Laupen, che dovrebbe decidere la sentenza il 14 settembre.

Questo procedimento giuridico è una nuova tappa nella serie di ripetuti tentativi dell’ASA, rimasti finora infruttuosi, per far riconoscere in Svizzera come «genocidio» la deportazione e il massacro di 500 000-1,5 milioni di armeni durante il crollo dell’Impero ottomano, dal 1915 al 1917.

Due armeni, Aram Djambazian e Sarkis Shahinian, si sono costituiti parte civile nel processo. La loro denuncia si basa sull’articolo 261bis del Codice penale, che prevede pene che vanno dalla multa alla detenzione per discriminazione razziale.

Il caso risale a sei anni fa, spiega Rupen Boyadjian, membro del comitato dell’ASA. All’epoca, il Coordinamento delle associazioni turche in Svizzera si era rivolto alle Camere federali per contrastare una petizione di armeni, che chiedeva al Consiglio federale il riconoscimento del loro «genocidio».

Il testo delle associazioni turche chiedeva ai parlamentari di non prestare attenzione alla richiesta armena. La petizione definiva gli avvenimenti storici del 1915-1917 un «preteso genocidio». «Parlare di genocidio armeno significa deformare profondamente la verità storica» sosteneva il documento.

«Non è possibile parlare di genocidio, quando il governo ottomano non ha mai avuto l’intenzione di sterminare gli armeni» prosegue il testo. Un argomento che l’ASA ritiene contrario alla legge contro il razzismo, entrata in vigore due anni prima. Per questo è stata sporta denuncia il 24 aprile 1997.

«Un sentimento di ingiustizia ci accompagna da molto tempo. Abbiamo bisogno di riconoscimento» afferma Boyadjian. E aggiunge che il processo non dovrebbe a suo avviso seppellire il recente riavvicinamento dei due popoli. «Per noi lo scopo è la riconciliazione».

La posizione della Turchia su questi «tragici avvenimenti» – secondo la terminologia di Ankara adottata dal Consiglio federale – è rimasta invariata: il termine genocidio non può essere applicato alle deportazioni e ai massacri. È una questione «d’onore», ricorda Levent Sahinkaya, consigliere dell’ambasciata turca a Berna.

La rappresentanza diplomatica seguirà con attenzione questo processo «sensibile», ma «resta fiduciosa che la giustizia svizzera agirà con buon senso», sottolinea Sahinkaya. Il diplomatico ritiene inoltre che la petizione all’origine della denuncia si basi sulla libertà d’espressione. «Le associazioni turche in Svizzera dovevano rispondere agli armeni», dichiara. «Essere accusati di genocidio è molto grave e i firmatari hanno risposto a queste accuse».

Il compito della giustizia non sarà agevolato né dal forte contenuto «politico» del tema, né dal carattere inedito della denuncia. Finora l’articolo contro il razzismo si era applicato solo a casi di negazionismo verso l’Olocausto. «Il giudice dovrà prendere posizione su fatti oggettivi – la definizione del massacro degli armeni – e su fatti soggettivi – stabilire se vi siano stati motivi discriminatori nella petizione turca», spiega Boyadjian. L’ASA è pronta a portare la denuncia fino al Tribunale federale.

La Svizzera si è rifiutata a più riprese di riconoscere il genocidio a partire dal 1995, data della prima interpellanza depositata in parlamento dall’ex consigliera nazionale socialista Angeline Fankhauser. Ultimo episodio in ordine di tempo: in marzo, il Consiglio nazionale ha rifiutato di misura un postulato in questo senso di Josef Zisyadis.

swissinfo e agenzie

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