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Il volto che cambia della Ginevra internazionale

Perché la guerra in Ucraina contribuirà alla prossima crisi alimentare globale

Distribution of wheat
The number of hungry people in the Horn of Africa could increase from 15 million to 20 million this year as the region faces its worst drought in 40 years. The war in Ukraine has sent the price of wheat soaring, adding strain to the region which relies heavily on imports from Ukraine and Russia. Keystone / Claire Nevill

Il conflitto ha interrotto le forniture di cibo, carburante e fertilizzanti a livello globale. Questo, a sua volta, ha peggiorato la situazione già difficile di milioni di persone in tutto il continente africano e delle organizzazioni umanitarie che cercano di portar loro aiuto.

All’inizio dell’anno, il Corno d’Africa si è trovato ad affrontare la terza siccità grave nel giro di un decennio. Negli ultimi anni, la regione era stata colpita anche da un’invasione di locuste del deserto, dalla pandemia da Covid-19, da un aumento dei prezzi degli alimenti e dal protrarsi di conflitti che l’hanno resa particolarmente vulnerabile a fronte di una nuova crisi.

Secondo i timori dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), senza un forte aumento degli aiuti nella regione si andrà verso una catastrofe umanitaria. L’ente internazionale aveva programmato di assistere 1,93 milioni di abitanti delle comunità rurali nel giro di sei mesi, per evitare un ulteriore deterioramento della situazione alimentare in Paesi come Etiopia, Somalia e Kenya.

“Dall’inizio dell’anno la situazione non ha fatto che peggiorare”, spiega David Phiri, il coordinatore sub-regionale della FAO per l’Africa orientale. La stagione delle piogge, che va da marzo a maggio, finora ha portato precipitazioni inferiori alla media nella regione, che ora si trova ad affrontare la peggiore siccità degli ultimi quarant’anni.

Il Programma alimentare mondiale (PAM) dell’ONU avverte che il numero di persone che soffrono la fame nel Corno d’Africa quest’anno potrebbe salire da 15 a 20 milioni.

Nel frattempo, in Africa centrale e occidentale, più di 40 milioni di persone potrebbero non essere in grado di soddisfare le proprie necessità alimentari di base.

“La combinazione di diversi fattori ha portato a un netto deterioramento della sicurezza alimentare nell’area”, è il commento di Ollo Sib, responsabile di ricerca, valutazione e monitoraggio per l’Africa centrale e occidentale del PAM. “Tutto questo già prima della guerra in Ucraina”, aggiunge.

L’impatto della guerra in Ucraina

Il conflitto ucraino ha bloccato le filiere globali, facendo schizzare i prezzi di cibo, carburante e fertilizzanti a livelli mai visti.

L’indice FAO dei prezzi alimentariCollegamento esterno, che monitora i prezzi di una serie di beni di consumo a livello globale, ha fatto registrare un picco storico a febbraio e poi di nuovo a marzo. L’incremento mensile (+12,6% tra febbraio e marzo) è stato il secondo più alto nella storia dalla nascita dell’indice nel 1990. In aprile, invece, i valori si sono stabilizzati poco sotto il picco.

Tale aumento è stato dettato dall’incremento dei prezzi di cereali e oli vegetali, conseguenza dell’impatto della guerra in Ucraina sulle filiere produttive. Russia e Ucraina sono due tra i principali Paesi esportatori di cereali come grano, granturco e mais, oltre che di oli vegetali come l’olio di semi di girasole. La Russia, poi, è uno dei principali esportatori di fertilizzanti.

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“L’interruzione delle filiere è un vero disastro per i Paesi dell’Africa occidentale”, spiega Sib. La regione dipende in forte misura dalle importazioni, in particolare di cibo e fertilizzanti da Ucraina e Russia.

L’aumento dei prezzi del grano ha già avuto un primo impatto sugli abitanti della regione: “In alcuni Paesi, il prezzo del pane è aumentato del 20%”, spiega Sib. “Un segnale importante, perché il pane è l’alimento principale della popolazione più vulnerabile, soprattutto nelle aree urbane”.

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I prezzi elevati di cibo e fertilizzanti, tuttavia, rischiano di stravolgere la situazione alimentare nella regione anche per il futuro.

La maggior parte degli agricoltori in Africa centrale e occidentale fa affidamento sul governo per ricevere fertilizzanti sovvenzionati. Tuttavia, Sib sostiene che molti governi non saranno in grado di pagare i prezzi inflazionati. Se gli agricoltori non potranno permettersi i fertilizzanti e il carburante di cui hanno bisogno, a soffrirne sarà anche la produzione alimentare del prossimo anno.

Ostacoli per le organizzazioni umanitarie

Anche le organizzazioni umanitarie hanno subito il contraccolpo del blocco delle filiere e dell’aumento dei prezzi.

Prima, il PAM acquistava più della metà dei cereali da Ucraina e Russia. Ora, invece, deve spendere 71 milioni di dollari in più per alimentare lo stesso numero di persone che riusciva ad aiutare prima della guerra, soldi che avrebbero potuto essere usati per fornire razioni alimentari giornaliere ad altri quattro milioni di persone ogni mese.

Il Programma supporta le comunità di diversi Paesi dilaniati dalla guerra. In Yemen, 13 milioni di persone (sui 31 milioni di abitanti totali) dipendono dal programma delle Nazioni Unite per le proprie necessità alimentari.

Secondo Sib, anche le attività del PAM in Africa centrale e occidentale hanno cominciato a subire le conseguenze della situazione. L’organizzazione umanitaria supporta programmi di alimentazione nelle scuole, portati avanti in maniera indipendente dalle varie nazioni. Alcuni governi, però, hanno iniziato a rivolgersi al PAM per ricevere degli aiuti aggiuntivi, dal momento che non sono più in grado di permettersi determinati alimenti.

In genere, poi, il PAM distribuisce contanti con cui gli abitanti della regione possono comprare del cibo, ma con l’aumento dei prezzi il loro potere di acquisto è notevolmente diminuito.

Il rischio del protezionismo alimentare

Phiri e Sib temono che, di fronte all’aumento dei prezzi degli alimenti, la comunità internazionale reagisca come ha fatto nei primi giorni della pandemia da Covid-19, chiudendosi in se stessa. I singoli Paesi potrebbero quindi dare la priorità a ciò che più gli conviene nel breve termine, ignorando ciò che è meglio per il mondo sul lungo termine.

“Queste due crisi, quella pandemica e quella ucraina”, hanno messo in evidenza come molti Paesi tendano a optare per il protezionismo”, afferma Sib.

Alcuni Stati, tra cui Russia e Ucraina, hanno limitato o vietato le esportazioni di grano per tutelare la propria fornitura interna. L’India, il secondo produttore di grano al mondo, ha incrementato le proprie esportazioni per riempire il vuoto lasciato dall’Ucraina, ma c’è chi teme che le temperature insolitamente alte che hanno colpito il Paese tra marzo e aprile possano averne danneggiato la produzione cerealicola, spingendo le autorità a introdurre delle restrizioni.

L’Indonesia, che produce più di metà dell’olio di palma consumato al mondo, il mese scorso ha annunciato l’emissione di un divieto sulle esportazioni di quello che è l’olio vegetale più commercializzato al mondo.

Secondo l’Istituto di ricerca internazionale sulle politiche alimentari (IFPRI), ben 19 Paesi hanno imposto dei blocchi sulle esportazioni di cibo: in termini di calorie, si parla del 12% del commercio alimentare globale.

L’intero sistema delle Nazioni Unite, dal segretario generale ai direttori della Banca mondiale, del Fondo monetario internazionale (FMI), del PAM e dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), ha fatto appello ai governi di tutto il mondo perché eliminino divieti e restrizioni alle esportazioni, in modo da garantire l’apertura dei mercati di beni alimentari ed energia.

Il 6 maggio, 51 dei 164 Stati membri dell’OMC, inclusi il Regno Unito, gli Stati Uniti e l’Unione Europea, hanno sottoscritto una dichiarazione di impegno in questo senso. Alcuni tra i più importanti produttori al mondo, come India, Indonesia, Brasile e Argentina, tuttavia, non figurano nell’elenco.

Raccogliere fondi sufficienti in tempo

Alla fine dello scorso anno, l’ONU aveva stimato che, nel 2022, ci sarebbe stato bisogno di assistenza umanitaria per 274 milioni di persone in tutto il mondo. Oggi quel numero è considerevolmente più alto.

“Le sofferenze umane nel mondo erano già tante prima dell’esplosione del conflitto in Ucraina”, dice Jan Egeland, segretario generale dell’ONG del Consiglio norvegese per i rifugiati (NRC).

Al momento, PAM e FAO sono impegnate a ricalcolare le proprie esigenze per il resto dell’anno. “Il numero di persone che non godono di sicurezza alimentare aumenta con il deteriorarsi della situazione”, spiega Sib. “Inizialmente, abbiamo pianificato una risposta preventiva. Ora, invece, abbiamo raggiunto un punto in cui ci troviamo a dover rispondere a un problema che continua a peggiorare”, dice Phiri.

Raccogliere denaro a sufficienza e in tempi adeguati è tutt’altro che facile. Il mese scorso, le Nazioni Unite hanno contribuito a organizzare un evento di mobilitazione globale per contrastare la siccità nel Corno d’Africa. Le donazioni hanno quasi raggiunto la cifra fissata dagli enti umanitari. Non tutte le crisi, però, hanno ottenuto lo stesso sostegno. Un appello molto simile per lo Yemen, verso l’inizio dell’anno, ha consentito di raccogliere meno di un terzo della somma richiesta dalle organizzazioni umanitarie.

“Dobbiamo assicurarci che le nazioni donatrici non usino i fondi destinati agli aiuti in altre crisi per colmare le lacune lasciate dalla guerra in Ucraina, poiché le conseguenze di un simile gesto andrebbero a colpire milioni di persone”, dice Egeland.

Phiri e Sib sottolineano entrambi che la fame è fonte di conflitto, e che è quindi molto importante non solo rispondere alle esigenze umanitarie odierne, ma anche investire nello sviluppo e nella creazione di sistemi resistenti e flessibili.

“In mancanza di stabilità politica, sarà difficile raggiungere gli obiettivi di sicurezza alimentare previsti”, dice Sib.

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Reportage extra ad opera di Abdelhafidh Abdeleli. Visualizzazione dati di Pauline Turuban.

Revisione di Imogen Foulkes.

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