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Più leggera la borsa svizzera

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Buone notizie per i piccoli investitori: il mercato borsistico svizzero si è democratizzato. E' infatti entrata in vigore lo scorso primo maggio la modifica della legge sul valore nominale minimo dei titoli: si è passati da 10 franchi ad un centesimo. Parecchie grandi aziende hanno già annunciato di voler approfittare dell'occasione per "splittare" le proprie azioni, riducendone così il corso per favorirne la diffusione.

Il corso delle azioni svizzere è il più alto del mondo. Cosa significa? Non certo che i titoli indigeni siano i più sopravvalutati del pianeta, ma semplicemente che le principali società elvetiche, e qui facciamo riferimento a quelle quotate nello SMI (Swiss Market Index), tendono a dividere la torta di cui dispongono (il loro capitale) in relativamente poche ma sostanziose fette (azioni). Fette che però, proprio per il loro peso specifico, sono difficilmente abbordabili per i piccoli e medi investitori.

Un paragone internazionale lo dimostra (dati del 31 dicembre 2000): il corso medio dei titoli dello SMI era di fr. 2347.90, contro i fr. 152.83 del CAC di Parigi, i fr. 142.35 del DAX tedesco o, addirittura, dei fr. 4.02 di Singapore. E se a Zurigo l’azione con la quotazione maggiore raggiungeva fr. 16’510, a Singapore questo tetto massimo era di fr. 23.92…Una bella differenza in termini di flessibilità e di accessibilità ai mercati.

E la situazione, sulla base delle ormai vecchie norme del Codice delle obbligazioni, era difficilmente modificabile. Ad esempio il titolo di Nestlé, quotato attorno ai 3’600 franchi, aveva già un valore nominale corrispondente al minimo legale, cioè 10 franchi. Impossibile dunque frazionarlo ulteriormente. Ora interviene però la modifica della legge che, teoricamente, permetterà a Nestlé di offrire la propria azione “splittata” 1:1000 (con una vecchia azione che equivale quindi a mille nuove) a fr. 3.60.

Lo scorso 30 novembre la modifica normativa è stata accettata dal Consiglio nazionale per 128 voti a 0, dopo che in settembre anche gli Stati avevano approvato la proposta: “azioni: meglio tante, ma piccole” insomma. Ma in definitiva che differenza fa possedere un’azione del valore di 10’000 franchi o 100 titoli della stessa società del valore di 100 franchi cadauno? Nonostante le apparenze, la differenza c’è ed è addirittura sostanziale.

Da una parte, il piccolo e medio risparmiatore non si troverà più confrontato alla barriera di costi esorbitanti per partecipare al capitale di grandi società. Per esempio, nello SMI ci sono ancora dei titoli come Roche, quotata attorno ai 13’000 franchi, o EMS Chemie e Julius Baer, entrambe superiori ai 7’000 franchi. La riduzione del valore nominale e, di conseguenza, dei corsi azionari faciliteranno la diversificazione dei rischi anche per portafogli “normali” e, presumibilmente, condurranno ad un’ulteriore democratizzazione della borsa, con tutti gli effetti di volatilità dei corsi che ciò può comportare.

Le società quotate, da par loro, avranno una maggior facilità nel reperire i capitali di cui necessitano. In Svizzera e, soprattutto, all’estero, ad esempio sul mercato americano. Saranno inoltre favoriti sistemi di retribuzione quali le stock options (premi ai collaboratori in…quote di comproprietà dell’azienda): se il capitale è molto frazionato, è più facile distribuirne delle parti ai dipendenti. Pur se questi effetti sono stati pensati principalmente per favorire le piccole aziende appena nate (start-ups), anche giganti quali Roche, ABB, Nestlé o UBS non li disdegnano: tutti questi colossi hanno infatti già annunciato lo splitting delle loro azioni.

Altro attore ben contento della modifica: le banche. Come enunciato dalla teoria monetaria, la velocità di circolazione degli spiccioli è di molto superiore a quella delle banconote da 1000 franchi. Se questo principio si rivelasse vero anche per il mercato azionario, l’incremento del numero di transazioni significherebbe più commissioni per gli istituti di credito.

Tutto perfetto dunque? Un interrogativo è d’obbligo per ciò che concerne le casse federali. In effetti, come abbiamo visto, la nuova norma permetterà, alle aziende che lo vorranno di ridurre il valore nominale delle proprie azioni. Per farlo, queste società disporranno di due possibilità: o lo splitting, neutro dal punto di vista fiscale, ma con effetto sul corso dell’azione; o il rimborso di parte del valore nominale all’azionista, che non influenza il corso del titolo ma che non è nemmeno fiscalmente neutro. Qui sta il problema: spesso il rimborso di parte del capitale sostituisce il versamento di un dividendo. E mentre sul dividendo viene trattenuto il 35 % destinato all’imposta preventiva, i rimborsi di capitale non sono sottoposti a nessuna imposizione fiscale. Più rimborsi e meno dividendi significheranno una riduzione delle entrate per la Confederazione. Lacrime in vista per i forzieri della Berna federale?

Marzio Pescia

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