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Più sorveglianza per l’assistenza al suicidio

Una delle camere di Dignitas dove si procede al suicidio assistito Keystone Archive

Le organizzazioni di assistenza al suicidio devono essere meglio sorvegliate dallo Stato per fare in modo che rispettino delle precise esigenze etiche.

Lo chiede la Commissione nazionale d’etica per la medicina umana (CNE) per proteggere i pazienti desiderosi di morire da eventuali abusi.

In Svizzera, l’assistenza al suicidio è in espansione come in nessun altro paese. La CNE raccomanda perciò d’inserire nella legge 12 esigenze minime.

Si tratta di meglio proteggere la vita e di sostenere gli individui che desiderano morire di fronte alle organizzazioni d’assistenza al suicidio, ha spiegato venerdì la commissione.

“In materia, la politica del nostro paese è molto liberale”, ha indicato il presidente della CNE Christoph Rehmann-Sutter. Il professore zurighese ritiene urgente, attraverso una serie di raccomandazioni, rafforzare la sorveglianza delle organizzazioni di assistenza al suicidio per evitare delle ripercussioni sociali “incalcolabili”.

Grave sofferenza

Primo criterio da considerare per il legislatore: la capacità di discernimento dell’aspirante suicida. Il medico che prescrive la pozione letale deve poterla avere verificata e documentata, ha spiegato Jean Martin, ex-medico cantonale vodese. “L’adulto è il miglior giudice della propria situazione, ma è escluso che lo si possa aiutare a morire fintanto che esistono dei dubbi”.

Seconda raccomandazione: solo le persone che soffrono gravemente di una malattia o in seguito ad un incidente possono entrare in linea di conto. È difficilmente giustificabile il sostegno al suicidio per persone insoddisfatte della vita, che vogliono porre fine ai loro giorni per ragioni filosofiche o a causa di angosce esistenziali, ha precisato l’esperto.

Exit o Dignitas non dovrebbero nemmeno intervenire nel caso di malati psichici la cui pulsione verso la morte è un sintomo della patologia della quale soffrono.

Costanza del desiderio

Il desiderio di morire deve essere durevole e costante: delle condizioni di vita difficili, un colpo di testa o delle pene d’amore adolescenziale non possono essere considerate. Le organizzazioni devono stabilire “adeguatamente” la situazione di vita dei candidati, precisa Martin, docente presso la facoltà di medicina di Losanna.

Vanno inoltre soppesate con il paziente tutte le altre piste, come le cure palliative, ha aggiunto la segretaria generale dell’Accademia delle scienze mediche Margrit Leuthold. Per delle verifiche minuziose sono necessari diversi colloqui personali, che non devono però prolungare inutilmente la sofferenza.

La valutazione della situazione non deve poi incombere ad una sola persona, ma va confermata da un secondo esame di un esperto indipendente.

Inclinazioni morbose

In Svizzera, un suicidio su cinque viene assistito. La proporzione sale ad uno su tre per quel che riguarda Zurigo, ha sottolineato il professor Daniel Hell. Questo ambito molto sensibile non deve sfuggire alla prevenzione, ritiene il direttore della clinica psichiatrica universitaria della città sulla Limmat.

Vanno infine esaminate le motivazioni di coloro che accompagnano i pazienti al suicidio. È eticamente ingiustificabile approfittare di una situazione d’indigenza o soddisfare dei gusti macabri verso la morte.

Per alcuni accompagnatori, che realizzano fino a 38 assistenze al suicidio all’anno, l’atto diventa una formalità, critica ancora il dottor Hell. Queste persone non devono inoltre trarre alcun beneficio personale, mentre oggi incassano fino a 2000 franchi per caso.

swissinfo e agenzie

Al contrario della maggior parte dei paesi europei, in Svizzera l’assistenza al suicidio è permessa.

Anno dopo anno, il suicidio assistito e il turismo della morte diventano sempre più importanti. Negli ultimi anni, organizzazioni come Exit e Dignitas hanno constatato un netto aumento del numero di persone accompagnate verso la morte.

I casi di suicidio assistito nel 2005 sono stati circa 350. In particolare, crescono i pazienti provenienti dall’estero: almeno un centinaio all’anno.

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