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«Quando c’è bisogno di me, ci sono»

Toni Frisch lascerà il suo ufficio a fine aprile del 2011 swissinfo.ch

Per buona parte della sua vita si è occupato delle vittime di conflitti e catastrofi naturali. Ha girato il mondo, analizzato problemi, cercato soluzioni. Ora Toni Frisch, il capo dell'aiuto umanitario svizzero, va in pensione.

«Già da ragazzo m’interessavo a quello che succedeva all’estero. Cercavo d’immaginarmi che cosa provano le persone che devono lasciare la loro casa perché c’è la guerra o perché una catastrofe naturale gliel’ha portata via. Mi chiedevo che cosa avrebbero portato con sé, dove sarebbero andate…» Il racconto di Toni Frisch, 65 anni, parte da lontano, dai giorni in cui ha attecchito il seme che l’avrebbe portato, un giorno, ad essere chiamato dai giornalisti “signore delle crisi” o “uomo delle catastrofi”.

Stare vicini alle vittime

Cresciuto nel fertile Seeland bernese, Frisch ha incontrato molto dolore e molta miseria in giro per il mondo, ma non si è fatto travolgere dalle emozioni, non ha mai perso il controllo. «Se sul luogo di una catastrofe mi fossi fatto sorprendere da quello che vedevo, a casa non avrei potuto valutare la situazione in modo corretto».

Gli anni hanno rodato Toni Frisch, regalandogli esperienza e rendendolo forse un po’ più furbo. La routine non l’ha però reso insensibile. «Sarebbe drammatico», dice. Se una persona vede un senso in quello che fa, allora può trovare dentro di sé «un pozzo d’energia a cui attingere per decenni».

E Frisch a questo pozzo ha attinto fino al pensionamento che il caso ha voluto far coincidere con «tre crisi parallele: in Costa d’Avorio, in Libia e in Giappone». Per il capo dell’aiuto umanitario della Confederazione una situazione del genere significa molto lavoro, anche per rispondere alle sollecitazioni dei media. Come qualche settimana fa, quando la squadra svizzera inviata in Giappone è tornata a casa senza aver estratto persone vive dalle macerie.

Nonostante ciò – afferma Frisch – la squadra di ricerca, partita su richiesta delle autorità Giapponesi, ha portato a termine con successo la sua missione. «Non pensavamo di poter trovare persone vive tra le macerie, altrimenti avremmo mandato una squadra di salvataggio e non una di ricerca. La nostra presenza sul posto ci ha portato molte simpatie. È stata una manifestazione di solidarietà e i nostri esperti – in particolare quelli specializzati in protezione dalle radiazioni – hanno contribuito ad informare e tranquillizzare la popolazione. La vicinanza alle vittime non è misurabile, ma è parte del successo».

Ricordare le guerre dimenticate

La catastrofe che ha colpito il Giappone è uno di quegli eventi che suscitano l’attenzione dei media per settimane. Altri ambiti d’azione dell’aiuto umanitario – si rammarica Frisch – vengono invece ignorati; in merito al lavoro per prevenire le catastrofi naturali, ai compiti a lungo termine, alle guerre dimenticate come quella del Darfur, l’opinione pubblica viene informata poco. «È una cosa che mi dà fastidio, ma ci convivo».

Un’altra spina nel fianco di Toni Frisch è quanto successo dopo il devastante terremoto che ha colpito Haiti lo scorso anno: sul posto si sono recate numerose associazioni d’aiuto umanitario che hanno finito per pestarsi i piedi a vicenda. Deciso a fare tutto il possibile per evitare che questo si ripeta, Frisch ha richiesto che tutte le organizzazioni attive all’estero in operazioni di primo intervento umanitario debbano essere certificate. E alle Nazioni unite, la sua richiesta sembra essere caduta su terreno fertile.

«Non tutte le organizzazioni presenti ad Haiti hanno offerto un aiuto professionale. L’arrivo sull’isola di carichi di beni di cui nessuno aveva bisogno, o di tonnellate di medicinali scaduti, è stata un’offesa alle vittime».

Per insegnare o tagliare i capelli è necessario un diploma. Molti credono che chiunque possa fare qualcosa di umanitario, ma non è così – sottolinea Toni Frisch. Anche nell’aiuto umanitario ci sono standard che vanno rispettati. «Certo, c’è bisogno di empatia e amore per il prossimo. Però di quelli ha bisogno anche un parrucchiere». 

Una catastrofe è il caos

In tutti gli anni che ha passato a gestire crisi, Frisch ha sempre messo al centro delle sue preoccupazioni le esigenze delle vittime e ha cercato di farlo indipendentemente dal quadro politico in cui si è trovato ad operare. Quando si parla di aiuto umanitario, concetti come “prestigio elvetico” o “concorrenza tra stati” non gli interessano. A questo proposito si limita a dire che la collaborazione internazionale è migliore della sua fama.

«Quando si verificano catastrofi di grandi dimensioni, c’è molta confusione. Una catastrofe è il caos per definizione», fa notare Frisch. «Mi piacerebbe che prima di criticare ci si fermasse a riflettere. Bisogna rendersi conto di che cosa significa trovarsi di fronte a 20 milioni di persone colpite e a 2 milioni di senzatetto come è successo con le alluvioni in Pakistan».

C’è sempre una strada

Se deve parlare di sé, si definisce come un uomo «d’indole allegra, con i piedi per terra, resistente, flessibile e aperto nei confronti del nuovo». I problemi, per lui, sono una sfida.

Dice di essere al contempo realista e ottimista. Di certo è pragmatico fino al midollo. Guarda le cose con occhio critico e tiene sempre pronte diverse soluzioni. «Mi piace avere la possibilità di scegliere tra più opzioni; quando non è così, c’è il rischio che tutto diventi troppo stretto».

Sua nonna ha attraversato la vita dicendo che bisognava sperare il meglio e prepararsi al peggio. Toni Frisch ha fatto di questa massima la bandiera dei suoi quarant’anni di lavoro in campo umanitario.

Nel corso della sua lunga carriera ha visitato più di 80 paesi. Ha cercato di farlo con sensibilità, dice. È importante prendere in considerazione le peculiarità locali; non drammatizzare e non minimizzare. Per trovare delle soluzioni bisogna comunicare con i partner sul luogo, con associazioni delle Nazioni unite, con organizzazioni non governative, con la Croce Rossa, con rappresentanti governativi e con le vittime. «Sono in contatto con tutti, dal ministro all’analfabeta».

Anche se non ha mai avuto difficoltà ad «adattarsi a nuove culture», le sue radici sono in Svizzera. A swissinfo.ch confida di sentirsi come un segugio che tiene il naso nel vento per sentire l’odore del mondo.

Fiero di sé

Quest’anno, Toni Frisch ha viaggiato relativamente poco. È stato in Angola, in Kenia, al confine con la Somalia, a New York all’ONU e alla Nato a Bruxelles. Viaggiare non gli pesa. «Riesco a dormire ovunque e arrivo a destinazione riposato. Quando c’è bisogno di me, ci sono».

Ora che la sua carriera come capo dell’aiuto umanitario della Confederazione volge al termine, ammette anche di essere in qualche modo fiero di sé, «per aver raggiunto più di quanto potessi sperare».

Ma soprattutto è felice che nei suoi 40 anni di storia, l’aiuto allo sviluppo svizzero non sia mai stato confrontato con la morte di un collaboratore in missione. «Ci sono stati un rapimento e pochi altri incidenti gravi. Abbiamo avuto molta fortuna».

Nato nel 1946 a Biel-Bözingen. Vive a Köniz nei pressi di Berna.

Ingegnere FH/SIA, specializzato in sistemi per l’approvvigionamento idrico e lo smaltimento delle acque di scarico.

È membro del Partito borghese democratico (BDP).

Nell’esercito ha servito come ufficiale raggiungendo il grado di colonnello.

Lavora nel campo dell’aiuto umanitario da quasi 40 anni.

Nel 1980 è stato assunto dal Dipartimento federale degli affari esteri.

Dal 2001 guida l’aiuto umanitario della Confederazione.

Nel 2008 è stato nominato ambasciatore ed è diventato direttore supplente della Direzione dello sviluppo e della cooperazione.

Guida l’International Search and Rescue Advisory Group e il gruppo di consulenti per le catastrofi naturali delle Nazioni unite.

Va in pensione alla fine di aprile del 2011.

L’aiuto umanitario fa parte della Direzione per lo sviluppo e la cooperazione (DSC). Sottostà al Dipartimento federale degli affari esteri.

Il suo braccio operazionale è il Corpo svizzero di aiuto umanitario. Si tratta di un corpo di milizia di cui fanno parte 700 specialisti.

È il primo attore ad intervenire in caso di catastrofi naturali, crisi e conflitti. L’aiuto umanitario si occupa anche di ricostruzione e prevenzione.

Il budget per il 2011 ammonta a 312 milioni di franchi.

L’aiuto umanitario della Confederazione collabora con le Nazioni unite, il Comitato internazionale della Croce rossa, diverse ONG e istanze statali.

Traduzione dal tedesco, Doris Lucini

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