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La lotta contro l’impunità in Guatemala passa da Ginevra

Erwin Sperisen nel 2007, quando annunciò le sue dimissioni da responsabile della polizia guatemalteca. AFP

Mentre in Guatemala l’impunità guadagna altro terreno, a Ginevra è iniziato il processo a Erwin Sperisen, cittadino svizzero e guatemalteco, accusato di aver partecipato e di aver ordinato l’esecuzione sommaria di dieci detenuti nel 2005 e nel 2006, quand’era capo della polizia nazionale civile del Guatemala.

Il processo, apertosi giovedì 15 maggio nel tribunale penale di Ginevra, riguarda in sé solo il caso di un uomo accusato dell’omicidio di dieci persone. Ma riporta al contesto di un piccolo paese dell’America centrale che ha subito quarant’anni di guerra civile tra un governo autoritario e vari gruppi guerriglieri. Le vittime del conflitto sono state centinaia di migliaia.

La fragile transizione democratica seguita agli accordi di pace del 1996 ha reso possibili alcuni progressi, tra cui la creazione nel 2006 da parte del presidente Oscar Berger di una Commissione internazionale contro l’impunità, in collaborazione con le Nazioni Unite.

Ma sotto la stessa presidenza è proseguita anche una politica repressiva di «pulizia sociale», condotta tra gli altri da Erwin Sperisen, nominato alla testa della polizia nazionale civile (PNC) nel luglio del 2004, all’età di 34 anni.

Riconquista delle prigioni

Se l’ex poliziotto si ritrova a dover rispondere dei suoi atti davanti alla giustizia elvetica è perché si è trasferito in Svizzera, paese d’origine della sua famiglia, dopo aver dato le dimissioni ed essere fuggito dal Guatemala. In Svizzera è stato arrestato e incarcerato nell’agosto del 2012, in riferimento a due eventi criminosi.

Il primo risale all’ottobre del 2005, dopo l’evasione di 19 detenuti del carcere di massima sicurezza Infiernito (piccolo inferno), che sorge alla periferia di Città del Guatemala.

«Erwin Sperisen, assieme ad altri responsabili di alto livello dell’apparato securitario guatemalteco, sono accusati di aver creato un gruppo para-poliziesco parallelo, che agiva sotto il nome di Plan Gavilán e aveva l’obiettivo di eliminare i detenuti evasi. Durante l’esecuzione del piano nove evasi sono stati catturati e tre giustiziati», precisa l’ONG svizzera TRIAL, un’organizzazione che si batte contro l’impunità e che ha contribuito a mettere in moto la giustizia ginevrina.

Il Guatemala è caratterizzato da forti disuguaglianze sociali tra la maggioranza della popolazione indigena e le élite di origine generalmente europea.

Secondo l’ONG Oxfam, il paese conta il maggior numero di milionari dell’America Centrale (circa 250). Rappresentano lo 0,06% della popolazione e possiedono in totale il 60% del PIL.

Paese di transito per il traffico di droga, il Guatemala subisce la morsa crescente dei narcotrafficanti. La repressione poliziesca non è riuscita a ridurre l’alto tasso annuale di omicidi (circa 50 su 100’000 abitanti).

Il secondo evento è avvenuto l’anno dopo nel carcere di massima sicurezza di Pavón, sempre alla periferia di Città del Guatemala.

«All’epoca la prigione era controllata da alcuni detenuti. Il livello di corruzione delle autorità aveva compromesso la situazione a tal punto che nessun guardiano circolava all’interno delle mura. Il cibo era deposto all’ingresso principale e la sorveglianza avveniva solo dall’esterno. All’interno del carcere avvenivano commerci di ogni genere», rileva TRIAL.

Per riprendere il controllo della prigione Erwin Sperisen e altri responsabili della sicurezza lanciarono un’operazione denominata Pavo Real. «Il 25 settembre all’alba più di 3000 agenti della PNC, dell’esercito e delle autorità carcerarie sono stati inviati dentro il carcere, sotto gli occhi delle telecamere e di numerosi giornalisti invitati dalle autorità ad assistere al raid. Per l’occasione sono stati impiegati anche dei blindati», ricorda TRIAL.

«Durante questa operazione sette detenuti sono stati giustiziati in modo sommario. La scena del crimine sarebbe stata manomessa in seguito, per far credere a uno scontro a fuoco e per giustificare l’uso della forza», aggiunge ancora la ONG. I fatti sono descritti dettagliatamente nell’atto d’accusa contro Erwin Sperisen.

L’imputato nega però con decisione che ci siano stati degli omicidi e che lui ne sia responsabile. I suoi avvocati prevedono di chiedere l’assoluzione.

Procedura ordinaria per un processo straordinario

Come spiega a swissinfo.ch il legale di TRIAL, Bénédict de Moerloose, il procedimento giudiziario condotto dalla giustizia ginevrina segue gli schemi classici: «Non si tratta di un caso di competenza universale. Non si giudica un crimine di guerra. Erwin Sperisen è accusato di omicidio, un crimine comune contemplato dal diritto svizzero». Cionondimeno il processo Sperisen rappresenta un caso eccezionale per la giustizia ginevrina.

Durante le tre settimane di dibattimento alla sbarra, si presenterà una ventina di testimoni, tra cui l’ex detenuto francese che afferma di aver visto Erwin Sperisen abbattere un prigioniero. Sulla lista figura anche Javier Figueroa, ex braccio destro dell’imputato. Perseguito dalla giustizia austriaca per fatti imputati anche al suo superiore Figueroa è stato assolto nel 2013.

L’istruzione del processo ha richiesto 11 interrogatori dell’imputato, l’audizione di 14 testimoni e lo svolgimento di quattro rogatorie internazionali. «L’istruzione si è svolta in un clima ‘deleterio’ […] segnato da cinque domande di ricusazione del procuratore e da minacce di querela contro i testimoni», ha scritto Fati Mansour, la cronista giudiziaria del quotidiano svizzero Le Temps.

«Un periodo di arretramento»

«Per il Guatemala, un paese che soffre di un’impunità endemica, si tratta di un processo importante. Può essere un segnale ai carnefici che se non sono posti sotto accusa in Guatemala, può succedere che lo siano all’estero», nota Bénéldict de Moerloose.

Dal punto di vista dell’indipendenza della giustizia, il Gatemala sta attraversando un momento di arretramento. È il grido d’allarme lanciato di recente dalla politologa statunitense Anita Isaacs dalle pagine del New York Times. Isaacs è autrice di un libro in corso di pubblicazione dedicato alla giustizia transizionale in Guatemala dopo la guerra civile.

Nell’articolo sul New York Times ha scritto: «Un anno fa un tribunale ha condannato il generale Efraín Ríos Montt, ex presidente del Guatemala, per genocidio. La sentenza è stata accolta come un passo avanti importante per la fragile democrazia del paese. Eppure i progressi, ottenuti a fatica, cominciano a mostrare la corda. Se non si farà niente, il paese potrebbe rimpiombare nell’autoritarismo, nella violenza e nel disprezzo dei diritti umani fondamentali».

Per giustificare la sua inquietudine, la ricercatrice ha ricordato che due settimane dopo la fine del processo contro l’ex generale, il verdetto è stato annullato per ragioni procedurali. Altro segno preoccupante indicato da Isaacs è la recente destituzione della procuratrice generale del Guatemala Claudia Paz y Paz, punta di lancia della lotta contro l’impunità, e la sua sostituzione con Thelma Aldana, una persona vicina al partito diretto in passato da Ríos Montt.

Paura onnipresente

Il regista ginevrino Nicolas Wadimoff, che ha realizzato un documentario sulle inchieste di TRIAL relative al caso Sperisen, offre un quadro del clima e del contesto in cui si muove la giustizia guatemalteca.

«Durante le riprese l’atmosfera era pesante. Si sentiva tensione ogni volta che si parlava dell’esistenza di strutture parallele legate al caso Sperisen. La maggior parte delle persone che abbiamo incontrato non si presentavano al secondo appuntamento», ricorda Wadimoff.

«Di tutti i luoghi in cui ho girato, il Guatemala è quello in cui la paura è maggiormente percepibile. La sua origine non era mai chiaramente definita. Può provenire da elementi corrotti all’interno delle istituzioni e della polizia.  Forse si tratta di persone che collaborano con il crimine organizzato o di strutture parallele legate all’esercito o alla polizia».

«La situazione è confusa e pericolosa. E questo spinge a misure di sicurezza estreme. Qualsiasi piccolo negozio, qualsiasi spaccio di bevande, drogheria o chiosco è sorvegliato da un uomo armato di un calibro 12 o di un fucile a canne mozze».

È questo clima deleterio che peserà anche sul processo Sperisen e sui numerosi testimoni che vi prenderanno parte.

L’interrogatorio di Erwin Sperisen è iniziato giovedì pomeriggio. L’accusato si è mostrato confuso, al punto da irritare la presidente della Corte Isabelle Cuendet, costretta a riformulare a più riprese le sue domande per ottenere risposte soddisfacenti. “Si ha l’impressione che stia giocando al gatto e al topo”.

A complicare la situazione vi è il fatto che Sperisen si esprime in spagnolo e le sue dichiarazioni devono essere tradotte.

Finora, la Corte ha esaminato l’organigramma della polizia nazionale civile del Guatemala all’epoca in cui Sperisen era direttore generale, allo scopo di chiarire il ruolo svolto dall’imputato negli avvenimenti a cui avrebbe partecipato o sarebbe stato coinvolto.

I legali di Sperisen hanno pure chiesto di poter interrogare Arnaud Bédat, il giornalista della rivista romanda L’Illustré che ha pubblicato un articolo che rimette in questione la denuncia depositata dalla madre di uno dei detenuti uccisi.

I giudici hanno respinto tutte le richieste dei legali. Nessun elemento nuovo – hanno rilevato – fa supporre che la madre abbia rinunciato alla denuncia presentata contro l’alto ufficiale di polizia. 

La pubblica accusa ha pure affermato che il 10% delle migliaia di omicidi commessi ogni anno nel paese quando Sperisen dirigeva la polizia era opera delle forze dell’ordine. 

(Fonte: Agenzia telegrafica svizzera)

Traduzione dal francese, Andrea Tognina

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