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Malgrado i rischi, la democrazia digitale avanza

Il ministro dell'interno Alain Berset era l'ospite d'onore del Congresso degli svizzeri dell'estero, organizzato sabato a Baden. Philipp Zinniker/OSA

In occasione delle elezioni federali del 2015, la maggioranza degli svizzeri espatriati potrà votare elettronicamente. Lo sviluppo della democrazia elettronica comporta numerose opportunità ma anche dei rischi. Il tema è stato al centro del Congresso degli svizzeri dell’estero, svoltosi sabato a Baden.

«In che modo internet cambia la politica, lo Stato, l’amministrazione? Per la Svizzera e la sua democrazia diretta è una questione chiave». Sono alcune delle domande poste da Uwe Serdült, responsabile del dipartimento scientifico presso il Centro per la democrazia di Aarau, durante la tavola rotonda organizzata nel quadro del Congresso degli svizzeri dell’estero, che ha riunito circa 400 persone

I dilemmi legati alla democrazia elettronica interessano da vicino gli svizzeri espatriati. Da anni, infatti, una delle principali rivendicazioni della cosiddetta Quinta Svizzera è di poter partecipare con più facilità, attraverso il voto elettronico, alla vita politica nel loro paese d’origine. L’obiettivo dell’Organizzazione degli svizzeri dell’estero di introdurre il voto elettronico per tutti gli espatriati in occasione delle elezioni federali del 2015 non sarà raggiunto. Tuttavia, la grande maggioranza potrà usufruire di questo strumento.

Nell’ottobre del 2015, infatti, 14 cantoni su 26, tra cui Zurigo, offriranno questa possibilità ai loro cittadini all’estero, ha indicato a swissinfo.ch Thomas Kalau, del Dipartimento federale degli affari esteri. Ciò significa che 139 dei 200 deputati del Consiglio nazionale saranno eletti anche grazie a questo sistema di voto. Per le precedenti elezioni federali del 2011, solo in otto cantoni gli svizzeri dell’estero avevano potuto votare per via elettronica.

«Naturalmente deploriamo il fatto che il nostro obiettivo sia stato raggiunto solo in parte. Senza i nostri sforzi, però, nei prossimi anni avrebbero potuto votare elettronicamente ancora meno svizzeri espatriati. Da questo punto di vista sono soddisfatto del risultato raggiunto», indica a swissinfo.ch Jacques-Simon Eggly, presidente dell’Organizzazione degli svizzeri dell’estero (OSE).

«Un progetto attuale»

Grazie alle nuove tecnologie dell’informazione, «gli svizzeri nel mondo possono far sentire la loro voce nel nostro paese», ha ricordato Jacques-Simon Eggly ai partecipanti del congresso. E le autorità, dal canto loro, possono servirsi di questi stessi canali per «informare, contattare e mantenere un legame forte coi membri della diaspora».

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«Il voto elettronico non è un progetto del futuro, è un progetto attuale. Sono convinta che possa permettere una democrazia più attiva, più partecipativa», ha sottolineato Anja Wyden Guelpa, cancelliera di Stato nel canton Ginevra, tra i pionieri in materia di voto elettronico.

«La e-democracy e l’e-government avanzano», si è rallegrato Jacques-Simon Eggly, non nascondendo però che una simile evoluzione rappresenta anche una grande sfida per le autorità, in particolare per quanto riguarda la sicurezza.

Sicurezza

«Nessuno può garantire l’infallibilità di un sistema. L’aspetto più importante è che le autorità agiscano in modo responsabile e che la collettività decida democraticamente se accetta o meno questi rischi», ha affermato Anja Wyden Guelpa.

Pur non rimettendo in questione il diritto al voto elettronico per gli espatriati, il consigliere nazionale ecologista Balthasar Glättli si è chiesto da parte sua se non si stia andando un po’ troppo velocemente.

Glättli ha fatto l’esempio di un referendum fittizio sull’accordo FATCA siglato con gli Stati Uniti. «Chi può garantire che Washington, che dispone di capacità enormi in materia di controllo delle telecomunicazioni, non interverrebbe per influenzare il risultato del voto?».

Un voto come un ‘I Like’?

Un altro timore è che il voto elettronico e la e-democracy favoriscano un approccio un po’ più di ‘pancia’ alla politica. Che il voto, in altre parole, non si trasformi in una sorta di ‘I Like’ su Facebook.

Per Anja Wyden Guelpa, il rischio è minimo «Non penso che il voto elettronico sia molto diverso dal voto per corrispondenza. Non è più facile votare elettronicamente che per posta. Degli studi hanno pure mostrato che con questa forma di voto non vi è un cambiamento del comportamento politico» indica a swissinfo.ch.

Per la cancelliera del canton Ginevra, le preoccupazioni legate all’introduzione del voto elettronico sono dovute soprattutto al fatto che si tratta di una novità. «Vi erano gli stessi timori quando è stato instaurato il voto per corrispondenza. Per i cittadini è difficile immaginare come funziona. Non va poi neanche trascurato l’aspetto emotivo. Per alcuni, il voto è qualcosa di importante. Bisogna meritarselo recandosi alle urne la domenica mattina. Anche se poi a Ginevra il 95% dei cittadini vota per corrispondenza».

Un’epoca che sta per finire

Nel discorso d’apertura del Congresso, Otfried Jarren, professore all’istituto di scienze della comunicazione e dei media dell’università di Zurigo, ha insistito sugli sconvolgimenti che internet causa nelle nostre democrazie: «L’epoca dei vecchi mass media sta per finire. Ciò riguarda prima di tutto i quotidiani, la cui fine è vicina. E questa evoluzione provoca un cambiamento di norme, di élite e di politiche (…). Con l’avvento di internet, la maggior parte delle forme di controllo della comunicazione sono scomparse. La libertà di comunicazione democratica senza frontiere è oggi realtà?».

Una libertà tutta relativa: «Paradossalmente, più il potenziale di partecipazione individuale alla comunicazione è grande, più il controllo economico e politico esercitato sull’individuo sono forti: l’utilizzo delle reti sociali si paga attraverso i dati forniti».

Riferendosi allo scandalo delle intercettazioni della NSA statunitense, Jarren ha anche constatato che «appena internet si è sviluppato nel mondo, lo Stato ha fatto il suo ritorno in quanto autorità di sorveglianza e di censura, anche nelle democrazie».

Otfried Jarren ha ammesso di non sapere che viso avrà la democrazia tra vent’anni. Ma si è detto certo di una cosa: «La democrazia è nelle nostri mani. Viene rinnovata senza sosta, ma non è garantita dalle tecnologie».

Alain Berset al capezzale delle lingue nazionali

Invitato d’onore del 92esimo Congresso degli svizzeri dell’estero, il ministro dell’interno Alain Berset ha lanciato un appello per «un rafforzamento della coesione sociale» tra le regioni linguistiche del paese.

Questo obiettivo può essere raggiunto in particolare promuovendo le traduzioni letterarie tra le lingue nazionali, rafforzando l’insegnamento dell’italiano e sviluppando scambi scolastici tra regioni linguistiche, ha sottolineato Berset.

«Affinché la nostra democrazia funzioni veramente, dobbiamo capirci veramente. Altrimenti, il fossato rischia di approfondirsi, i nostri legami di disgregarsi e dimenticheremo ciò che ci unisce. È solo capendo veramente la lingua degli altri, che si capiscono i loro valori, la loro mentalità e il loro modo d’essere», ha dichiarato il consigliere federale.

Mercoledì scorso, il parlamento del canton Turgovia ha deciso di sopprimere l’insegnamento del francese alle scuole elementari.

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