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I portacenere nei bar scompariranno, ma non del tutto

In molti cantoni, come a Berna, le disposizioni già oggi in vigore sono più severe rispetto a quelle previste nella legge federale Keystone

Le nuove disposizioni federali contro il fumo passivo entrano in vigore il primo maggio. I cantoni che non avevano ancora preso provvedimenti dovranno adeguarsi. Malgrado una base legale comune, rimarranno comunque ancora molte differenze tra un cantone e l'altro.

Dove poter fumare una sigaretta bevendo un caffè al bar? In certi paesi la risposta è semplice: da nessuna parte. Nel paese che ha fatto del federalismo il suo marchio di fabbrica, la risposta è invece ben più complessa.

In Ticino, pioniere in materia, il fumo è bandito da ormai tre anni. In altri cantoni il divieto è stato introdotto più di recente. A volte, questi divieti prevedono delle eccezioni. In alcuni cantoni bar e ristoranti hanno la possibilità di avere locali dove poter fumare e essere serviti. In altri ancora i cosiddetti “fumoir” sono legali, ma senza personale di servizio.

Infine vi sono – o meglio vi erano – cantoni refrattari a qualunque proibizione. Nel Giura, ad esempio, un anno fa, il parlamento cantonale aveva respinto, in nome della “libertà” e della “libera scelta degli esercenti”, una mozione che chiedeva l’introduzione di un divieto.

Babele di regolamenti

Dal primo maggio, anche gli ultimi villaggi di Asterix dovranno però issare bandiera bianca. Le nuove disposizioni federali obbligheranno tutti i cantoni a rispettare alcune norme per la protezione dal fumo passivo.

In linea di principio nei bar e nei ristoranti non si potrà più fumare. Solo però in linea di principio. Gli esercizi pubblici, infatti, potranno allestire sale fumatori con servizio che occupano fino a un terzo della superficie totale, a patto di installare un adeguato sistema di ventilazione . Inoltre i piccoli stabilimenti con una superficie che non supera gli 80 metri quadrati potranno chiedere un’autorizzazione per continuare a permettere il fumo.

La legge federale non porrà fine alla giungla di regolamenti, poiché i cantoni che hanno già emanato normative più severe potranno continuare ad applicarle.

Iniziative in vista

La situazione potrebbe però ancora cambiare. La Lega polmonare svizzera ha infatti già raccolto 120’000 firme (ne erano necessarie 100’000) a favore della sua iniziativa popolare che chiede una regolamentazione unica in tutto il paese. Oltre a bandire la sigaretta da tutti gli esercizi pubblici, il testo proibisce l’allestimento di sale per fumatori con servizio.

Analizzando i risultati delle votazioni cantonali fin qui organizzate, l’iniziativa ha buone probabilità di essere accettata dal popolo. In Ticino, ad esempio, nel 2006 la legge era stata accolta da quasi l’80% dei votanti. Lo scorso mese di settembre, a Ginevra la percentuale di sì aveva addirittura superato l’80%.

Anche sul fronte opposto ci si è mossi. Un gruppo denominato “Comunità d’interessi dei ristoratori liberi svizzeri” sta raccogliendo le firme per un’altra iniziativa, che chiede di lasciare libertà di scelta all’esercente. In questo caso però le probabilità di successo appaiono minime. Del resto neppure l’associazione mantello degli esercenti svizzeri – Gastrosuisse – appoggia l’iniziativa.

Un divieto efficace

“Effettivamente la legge federale non è del tutto soddisfacente, poiché in fondo non concretizza completamente quello che è l’obiettivo principale del divieto di fumo, ossia proteggere il personale”, osserva Angelo Tomada, collaboratore scientifico presso l’Ufficio di promozione di valutazione sanitaria del canton Ticino.

Nel cantone a sud delle Alpi, il divieto ha dato esiti positivi. Da un’inchiesta effettuata tra il marzo del 2007 (un mese prima dell’introduzione del divieto) e il maggio del 2008 (un anno dopo) è scaturito che lo stato di salute dei lavoratori del settore della ristorazione era migliorato.

Quando nei bar si poteva ancora fumare il 15% dei lavoratori lamentava frequenti mal di testa e il 12,9% diceva di tossire spesso. Un anno dopo le percentuali erano scese rispettivamente al 10,5 e al 7,6%.

“Dall’inchiesta – aggiunge Tomada – è inoltre emerso che il divieto di fumare è generalmente ben accetto da clienti, dipendenti ed esercenti”.

Diminuzione del giro d’affari?

Uno degli argomenti spesso invocati per dire no al divieto di fumo è legato alla diminuzione del giro d’affari. Un argomento che del resto ha fatto breccia quando si è trattato di elaborare la legge federale. L’eccezione a cui possono aggrapparsi i piccoli esercizi pubblici è pensata infatti proprio per limitare i danni economici.

In Ticino, un esercizio pubblico su cinque (soprattutto quelli di piccole e medie dimensioni) ha constatato un calo del giro d’affari. “Tuttavia – si legge nella sintesi dell’inchiesta – già prima dell’introduzione del divieto circa l’11% degli intervistati indicava una riduzione del fatturato del locale rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente”.

Sapere se effettivamente il divieto di fumo abbia portato a una riduzione degli affari è quindi compito estremamente arduo, tanto più che i fattori – soprattutto nell’attuale contesto di crisi – sono molti. “Piccoli problemi ci sono probabilmente stati. Lo studio ha però pure evidenziato che gli esercenti contrari al divieto tendevano a dare risposte più negative rispetto a chi era favorevole. In generale, le ricerche effettuate in diversi paesi sono giunte alla conclusione che non vi è stato un impatto economico importante”, spiega Angelo Tomada.

Pochi impatti sul consumo

La messa al bando del fumo negli esercizi pubblici non ha per contro avuto un impatto rilevante sul consumo.

“L’aspetto secondario della legge poteva essere di cercare di ridurre il numero di fumatori. Ciò non è avvenuto e del resto diverse ricerche hanno mostrato che al massimo vi sono dei leggeri cambiamenti a corto termine”.

Tuttavia il divieto di fumo deve essere considerato in una prospettiva più ampia, che comprende altre misure di lotta e di prevenzione nell’ambito del tabagismo.

“Il cambiamento c’è comunque stato – conclude Tomada – ma per rendersene conto bisogna analizzare l’evoluzione a medio termine. In un decennio siamo infatti passati dal 32 al 27% di fumatori”.

Daniele Mariani, swissinfo.ch

Ogni giorno, il 21% della popolazione svizzera è esposto al fumo di altre persone per almeno un’ora, stando al rapporto sul tabagismo passivo dell’Università di Zurigo del 2008.

L’83% dei frequentatori di esercizi pubblici, principali luoghi dove si è esposti al fumo passivo, si dice infastidito dal tabacco.

La percentuale di lavoratori esposti al fumo altrui sul posto di lavoro è scesa dal 54% nel 2001/2002 al 35% nel 2008.

Il 66% della popolazione di età compresa tra i 14 e i 65 anni auspica un divieto generale di fumare negli esercizi pubblici. Nella Svizzera francese (76%) l’approvazione è maggiore che nella Svizzera tedesca (64%). Ticinesi e grigionesi, cantoni in cui all’epoca era già stato introdotto il divieto, si erano inoltre detti favorevoli nella misura dell’83%.

Tre quarti degli Stati europei hanno introdotto delle restrizioni o dei divieti in materia di fumo.

In questi Stati è vietato fumare senza eccezioni negli esercizi pubblici: Albania, Croazia, Estonia, Finlandia, Francia, Gran Bretagna, Irlanda, Islanda, Italia, Lettonia, Lituania, macedonia, Malta, Norvegia, Paesi Bassi, Slovenia e Svezia.

In Germania, Austria, Belgio, Danimarca, Spagna, Liechtenstein, Lussemburgo, Montenegro, Portogallo, Cechia e Romania esistono delle restrizioni, ma non vige un divieto completo.

Bosnia Erzegovina, Bulgaria, Cipro, Grecia, Ungheria, Polonia, Sebia e Slovacchia non prevedono invece nessuna restrizione.

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