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Frontalieri, una realtà svizzera sempre più contestata

Frontalieri in coda di primo mattino alla dogana del Gaggiolo (Mendrisiotto), diretti in Svizzera. Ti-Press / Francesca Agosta

In Svizzera il numero di lavoratori frontalieri è esploso dopo l'entrata in vigore degli accordi di libera circolazione. In Ticino e a Ginevra, vengono talvolta attaccati in modo violento, mentre la coabitazione è più pacifica nell'Arco giurassiano e nella Svizzera tedesca. swissinfo.ch ha cercato di capire il perché.

«I nemici dei ginevrini! Basta frontalieri! I posti di lavoro vanno riservati agli svizzeri». Il Movimento cittadino ginevrino (MCG), secondo principale partito del canton Ginevra, ha già scelto bersaglio e manifesti in vista dell’elezione del governo e del parlamento cantonale, il prossimo 6 ottobre. Il suo fratellino vodese, l’MCV, si mostra altrettanto agguerrito: «Il flusso di frontalieri in provenienza dalla Francia favorisce il deterioramento delle infrastrutture, aumenta l’inquinamento, alza la pressione sui salari e spinge numerosi cittadini del nostro paese all’assistenza sociale». Stesso tono anche nel canton Ticino, dove non passa settimana senza che la Lega dei Ticinesi se la prenda coi frontalieri, parlando tra l’altro di “deleterio assalto alla diligenza elvetica” e tacciando la vicina penisola di “Fallitalia”.

«Queste osservazioni sono difficili da digerire, soprattutto per coloro che da tanti anni s’impegnano per lo sviluppo della loro impresa e del paese nel quale lavorano», risponde Jean-François Besson, segretario generale del Raggruppamento transfrontaliero europeo, associazione che rappresenta i frontalieri francesi attivi in Svizzera.

Nel canton Ginevra, circa un quarto dei lavoratori è frontaliere. Sono attivi in tutti i settori dell’economia locale, dall’industria alla salute passando per il commercio al dettaglio, la finanza e perfino le organizzazioni internazionali. Ogni giorno sono oltre 65’000 i lavoratori stranieri che fanno i pendolari tra la Francia e Ginevra. Quasi il doppio rispetto a dieci anni fa.

Altri sviluppi

Carenza di infrastrutture

«Il rifiuto del frontaliere è legato soprattutto al congestionamento del traffico e alla carenza di alloggi. Non si tratta tanto di una questione di mercato del lavoro, ritiene Jean-François Besson. Perché di fatto – e tutti gli studi lo dimostrano – questa manodopera è stata indispensabile allo sviluppo fenomenale che ha conosciuto Ginevra negli ultimi anni e non ha rubato lavoro ai residenti svizzeri».

Professore all’Alta scuola di lavoro sociale di Ginevra e autore nel 2007 del libro «Migrants au quotidien: les frontaliers», Claudio Bolzman ricorda che già negli anni Sessanta e Settanta vi erano forti tensioni dalle due parti della frontiera.

Ma questa paura dell’invasore francese ha radici molto più lontane nel tempo. A Ginevra, la festa patriottica per eccellenza, l’Escalade, celebra ogni anno, nel mese di dicembre, la vittoria della Repubblica protestante ginevrina sulle truppe francesi della Savoia. Più tardi, sottolinea Claudio Bolzman, quando Ginevra è stata annessa alla Confederazione, ha ottenuto dalla Francia di Napoleone Bonaparte soltanto una piccola parte dei territori vicini. E ciò ha lasciato cicatrici profonde.

In Svizzera, gli effetti negativi della libera circolazione delle persone restano limitati. È la conclusione di un rapporto pubblicato l’11 giugno 2013 dalla Segreteria di Stato dell’economia (SECO), che ha tra l’altro analizzato il mercato di lavoro nelle regioni di frontiera dal 2002 ad oggi.

«Non abbiamo osservato differenze significative tra le regioni di frontiera e il resto della Svizzera, per quanto concerne l’evoluzione dei salari e il tasso di disoccupazione», afferma Peter Gasser, responsabile del dossier libera circolazione alla SECO.

 L’Osservatorio universitario dell’impiego (OUE) di Ginevra ha pubblicato in aprile uno studio che sfata l’idea secondo cui i frontalieri ruberebbero posti di lavoro agli svizzeri. Per l’OUE, i disoccupati residenti non corrispondono spesso ai profili ricercati nell’Arco lemanico.

L’Unione sindacale svizzera (USS) ritiene invece che la pressione sui salari sia una realtà, in particolare nei settori in cui non vi è un contratto collettivo di lavoro (CCT). Per Travail.Suisse, sono necessari controlli più severi nelle regioni caratterizzate da una forte immigrazione o con un importante numero di frontalieri.

Negli ultimi anni sono state lanciate diverse iniziative cantonali e un’iniziativa federale che chiedono l’istituzione di un salario minimo.

Basilea, città aperta

La situazione è invece molto più tranquilla a Basilea. E ciò malgrado la città si trovi al crocevia di tre paesi (Svizzera, Francia e Germania) e sia confrontata anch’essa ormai da tempo con un importante afflusso di manodopera transfrontaliera. Stando al sociologo Cédric Duchêne-Lacroix, franco-tedesco residente in Francia (a pochi minuti di bicicletta dall’Università di Basilea dove lavora), questa differenza di percezione ha diverse cause: «A Basilea, vi è una minore concentrazione della popolazione rispetto a Ginevra. I frontalieri, la cui crescita è stata più moderata – oggi sono 53’000 nei due semicantoni di Basilea, soltanto 7’000 in più rispetto al 2002 – non provocano lo stesso sentimento d’invasione. Ciò è legato soprattutto a un sistema di trasporti meno congestionato e alla struttura economica della città».

Mentre il tasso di disoccupazione raggiunge il 5,5 per cento a Ginevra, a Basilea città è del 4 per cento. Molti dei frontalieri arrivati negli ultimi anni sono anglofoni attivi in multinazionali farmaceutiche. «Basilea e Ginevra sono due città internazionali, ma a Ginevra il costo della vita è più alto e una parte della classe popolare si sente trascurata rispetto al trattamento riservato a diplomatici, super ricchi e lavoratori frontalieri», sottolinea il sociologo basilese.

Inoltre, secondo Cédric Duchêne-Lacroix, storicamente Basilea ha sviluppato relazioni molto più pacifiche con i suoi vicini. «Da tempo, la città è considerata come una delle più aperte della Svizzera. Molti monumenti ricordano d’altronde i forti legami con l’Alsazia».

Altrove nella Svizzera tedesca, «il discorso anti frontalieri è stato rimpiazzato dalla polemica su un afflusso eccessivo di lavoratori tedeschi residenti sul territorio », sottolinea Cédric Duchêne-Lacroix. Zurigo conta così 76’000 residenti tedeschi, contro soltanto 8’000 frontalieri. Gli altri cantoni germanofoni, che accolgono il maggior numero di frontalieri, sono Argovia (12’700), San Gallo (8’500), Grigioni e Sciaffusa (5’000).

Dopo l’entrata in vigore, il 1° giugno 2002, degli accordi di libera circolazione delle persone con l’Unione europea, il 1° giugno 2007 le autorità hanno soppresso l’obbligo di residenza nella fascia di confine (20 km) per i frontalieri.

Le imprese non sono più sottoposte a quote di permessi di lavoro, né all’obbligo di preferire la manodopera nazionale al momento del reclutamento.

I lavoratori frontalieri ottengono il permesso di lavoro (G) dal momento della firma del contratto. Sono però obbligati a rientrare al proprio domicilio almeno una volta a settimana.

Senza frontalieri, niente orologi svizzeri

Come a Ginevra, anche nel canton Ticino il numero di frontalieri è cresciuto sensibilmente negli ultimi anni – oggi sono 56’000, in aumento del 75 per cento dal 2002 – e sono il bersaglio preferito della destra populista.

Le colonne che si formano ogni mattina a numerosi valichi di frontiera, un tasso di disoccupazione più alto (4,6 per cento) rispetto alla media svizzera del 3,1 e la volontà di sottolineare la propria identità svizzera rispetto al grande fratello italiano sono tra le cause scatenanti dell’avversione nei confronti dei frontalieri e della sua strumentalizzazione politica. «L’identità svizzera si costruisce spesso per negazione rispetto a quella dei vicini. Non è una specificità ticinese», rileva tuttavia Paola Solcà, responsabile del centro di ricerca sulle migrazioni alla Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana (SUPSI).

Rispetto ad altre regioni del paese, il Ticino è confrontato anche con un dumping salariale più importante, come l’ha mostrato di recente un reportage della televisione pubblica (RSI).

Il parlamento ticinese ha indirizzato una lettera al governo federale per contestare i risultati di uno studio realizzato a livello federale, che conferma i benefici della libera circolazione delle persone, incluso nelle regioni frontaliere. Dall’entrata in vigore di questi accordi, spiega Paola Solcà, i frontalieri non vengono assunti unicamente per i posti meno qualificati, dove erano in concorrenza più che altro con i lavoratori stranieri residenti in Ticino. Oggi i frontalieri sono sempre più presenti anche nel terziario, in particolare nei settori sanitario e finanziario».

Nell’Arco giurassiano, culla dell’orologeria svizzera, dove lavorano circa 40’000 frontalieri (il doppio di dieci anni fa), la situazione è a metà strada tra Basilea e Ticino, ritiene Patrick Rérat, ricercatore all’Istituto di geografia dell’università di Neuchatel. «Tutti concordano sul fatto che l’industria orologiera non potrebbe svilupparsi senza i frontalieri, dato che il 60 per cento degli impiegati del settore non ha un passaporto svizzero. Allo stesso tempo, vi sono crescenti timori per quanto riguarda il congestionamento del traffico, il dumping salariale e la concorrenza tra frontalieri e lavoratori indigeni meno qualificati».

Patrick Rérat, dell’università di Neuchâtel, ha osservato nell’Arco giurassiano il fenomeno dei nuovi frontalieri che si installano vicino alla frontiera svizzera alla ricerca di un lavoro. Sarebbero circa il 20 per cento nella Franca Contea. «Alcuni vengono dalla Bretagna o dal Sud della Francia. Spesso hanno le qualifiche necessarie per trovare un impiego nell’orologeria o nel settore sanitario».

La situazione è identica in Ticino e nel canton Ginevra, dove in alcuni casi questi nuovi frontalieri avrebbero superato il numero di frontalieri domiciliati da lungo tempo nella regione. Tra loro, vi sono sempre più giovani provenienti da un’Europa del Sud colpita dalla crisi economica.

Una situazione che preoccupa Jean-François Besson, segretario generale del Raggruppamento transfrontaliero europeo: «Da anni ormai i francesi si spostano da lontano per guadagnare due a quattro volte di più in Svizzera. Il fattore nuovo, è che alcuni cittadini europei sono ormai pronti ad accettare un impiego a qualsiasi condizione. La posta in gioco è alta per le autorità svizzere, che devono fare di tutto per evitare il dumping salariale e l’acuirsi delle tensioni».

Nei loro rispettivi studi, Patrick Rérat dell’università di Neuchâtel e Claudio Bolzman dell’Alta scuola di lavoro sociale di Ginevra, hanno dimostrato che i lavoratori frontalieri sono spesso ben integrati nel tessuto sociale elvetico.

«Non sono qui unicamente per un calcolo economico opportunista», rileva Claudio Bolzman. «La maggior parte dei frontalieri ha amici a Ginevra e diversi centri di interesse».

«I frontalieri dell’Arco giurassiano trascorrono spesso parte del loro tempo libero in Svizzera per assistere a una partita, andare in piscina oppure uscire con gli amici», sottolinea dal canto suo Patrick Rérat. Fanno anche parte della spesa in Svizzera, ad esempio sigarette e benzina, meno care che nel territorio francese, aggiunge il geografo.

(Con la collaborazione di Sonia Fenazzi)

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