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I cileni in Svizzera attendono ancora giustizia

Nel 1973, la Svizzera ha deciso di accogliere 200 rifugiati cileni. Più tardi ne giunsero molti di più. Keystone

Dopo il recente malore di Augusto Pinochet, le migliaia di ex rifugiati cileni che vivono in Svizzera si chiedono se l'ex dittatore risponderà mai dei suoi atti davanti alla giustizia.

I ricordi della repressione feroce che subirono militanti di sinistra e intellettuali dopo il colpo di Stato del 1973 sono ancora vivi.

Dopo l’infarto che lo aveva colpito lo scorso fine settimana, il generale ed ex uomo forte del Cile Augusto Pinochet sembrava in fin di vita. Poi da martedì le sue condizioni di salute hanno cominciato a migliorare.

Fra gli ex-rifugiati cileni in Svizzera, l’ennesimo malore del generale suscita molti dubbi. «Curiosamente, Pinochet si ammala ogni volta che rischia di dover fare i conti con la giustizia», constata Fernando Ruiz, presidente del Comitato memoria e giustizia a Ginevra.

Le vittime del regime temono che Pinochet muoia prima di dover rispondere dei suoi atti nell’aula di un tribunale. E le ferite della repressione che hanno subito bruciano ancora.

Un rifiuto ufficiale

«Abbiamo ricevuto molto in fretta informazioni sugli arresti di massa, ma c’era una sorta di rifiuto ufficiale di riconoscerne la fondatezza. Il Dipartimento federale degli affari esteri ci rispondeva che le nostre informazioni non erano confermate», ricorda Christian Lalive d’Epinay.

Il sociologo ginevrino, che ha lavorato in Cile alla fine degli anni Sessanta, osserva anche che i profughi cileni, generalmente militanti di sinistra, non ricevettero in Svizzera la stessa accoglienza riservata nel 1968 alle vittime cecoslovacche del comunismo.

In Cile, dopo il colpo di stato che nel 1973 portò al potere Augusto Pinochet, la repressione colpì sindacalisti, membri dei partiti di sinistra, religiosi, giornalisti e intellettuali e le loro famiglie.

«L’atmosfera era soffocante», racconta Hayin-Ray Antileo, giunta in Svizzera nel 1977, all’età di 15 anni. «Come me, la mia migliore amica aveva visto arrestare e imprigionare suo fratello. Ma non avevamo osato dircelo».

«Sono tornato a Santiago nel 1974 per localizzare degli amici. Regnava una diffidenza generalizzata, che derivava da una paura altrettanto generalizzata», ricorda dal canto suo Christian Lalive d’Epinay.

Fuga in Svizzera

All’inizio parecchie persone pensavano che la dittatura non avrebbe retto a lungo. Poi il tempo è passato, Pinochet è rimasto al governo e molti profughi cileni hanno raggiunto la Svizzera.

«Sono arrivata con mia sorella, mia nonna e mia madre, che aveva perso il suo posto di rettrice dell’Università di Santiago. A Zurigo abbiamo ritrovato mio fratello, sfuggito alle torture», dice Hayin-Ray Antileo. «Avevo un visto turistico, necessario fino agli anni Ottanta, e una piccola valigia, per non attirare l’attenzione».

Altri, come Fernando Ruiz, passarono la frontiera clandestinamente, sotto la protezione di associazioni religiose. Militante di sinistra e professore universitario, Ruiz fu detenuto due anni in un campo di prigionia. Una volta rilasciato le continue minacce e il divieto di lavorare lo spinsero a rifugiarsi dapprima in Gran Bretagna, poi in Svizzera, dove ha lavorato come interprete.

Ricordi dolorosi

E poi c’è stata la vicenda di Pierre Rieben, uno svizzero recatosi a Santiago come giornalista indipendente. Arrestato, torturato e violentato, era stato costretto a trascorrere una settimana estremamente difficile in una caserma delle forze aeree nel 1974.

Grazie all’insistenza di un’amica, l’ambasciata era riuscita a rintracciarlo pochi giorni dopo il suo arresto. Ne era seguita la liberazione e l’espulsione. Dei ricordi ancora terribili per quest’uomo oggi 72enne, che da allora non è mai più ritornato in Cile.

Da parte loro, a poco a poco, i cileni giunti in Svizzera hanno capito che non erano soltanto in transito e vi si sono stabiliti.

La dittatura è caduta nel 1990, ma più di 3500 cittadini cileni (oltre a circa 2500 naturalizzati) continuano a vivere in Svizzera. Le numerose manifestazioni culturali organizzate un po’ ovunque testimoniano ancor oggi della loro presenza nel nostro quotidiano.

Alcune centinaia di persone hanno invece tentato il ritorno in patria. «Un passo tutt’altro che facile perché il governo non ha fatto nulla per aiutarli», spiega Fernando Ruiz.

Accordi di riammissione

A fine novembre, la Svizzera ed il Cile hanno poi firmato un accordo di riammissione per rinforzare la lotta contro le migrazioni illegali. «Un accordo che c’inquieta», dichiara Fernando Ruiz. «La riammissione ne risulterà quasi impossibile».

«Il Cile ci ha chiesto di beneficiare di un trattato di assistenza giudiziaria. Berna ne ha approfittato per negoziare pure un accordo di riammissione», precisa Dominique Boillat, portavoce dell’Ufficio federale delle migrazioni.

«Non si tratta di una politica attiva della Confederazione. Questo genere di accordi permettono di semplificare le pratiche di rimpatrio e garantiscono la protezione delle persone riguardate», precisa il portavoce.

Dal 1973 al 1990, anno delle dimissioni di Pinochet dalla presidenza, la Svizzera ha ricevuto 5828 domande d’asilo da parte di cittadini cileni.
Tra il 1973 e il 2005 sono stati naturalizzati 2469 cileni.
Alla fine del 2005 vivevano in Svizzera 3654 cittadini cileni.

La presidenza del democristiano Eduardo Frei (1964-1970) apre un’era liberale che prosegue fino all’elezione del socialista Salvador Allende nel 1970.

Spinto dalla destra cattolica, dall’economia e dagli Stati Uniti, il generale Pinochet prende il controllo del paese l’11 settembre 1973 (Allende viene trovato morto nel palazzo presidenziale).

Secondo le organizzazioni umanitarie, 3000 persone sono morte o sono sparite tra il 1973 e il 1990. Più di 30’000 sono state torturate.

Nel 1990 Augusto Pinochet cede la presidenza e si proclama senatore a vita, una carica che gli garantisce l’immunità.

Nel 1998 viene posto agli arresti domiciliari a Londra in seguito ad un mandato di arresto internazionale emesso dalla giustizia spagnola.

Dopo il ritorno in Cile nel 2000, nel 2004 la Corte suprema gli leva l’immunità per frode fiscale e nel 2005 per l’assassinio di opponenti politici.

Nel 2006, Michelle Bachelet viene eletta presidente.

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