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Politica europea: il governo non cambia rotta

Per Micheline Calmy-Rey (a sinistra) e Doris Leuthard non è ancora conclusa l'era degli accordi bilaterali con l'Ue Keystone

La strategia degli accordi bilaterali settoriali, avviata dagli anni '90, costituisce ancora oggi il miglior strumento per proseguire le relazioni con l'Unione europea, afferma il Consiglio federale. Viste le crescenti difficoltà, il governo intende tuttavia studiare nuove opzioni nella sua politica europea.

La via bilaterale seguita finora dalla Confederazione nei rapporti con l’Unione europea (Ue) si è dimostrata valida e ha permesso di salvaguardare positivamente gli interessi della Svizzera in questi ultimi anni, hanno ribadito a più riprese la presidente della Confederazione Doris Leuthard e la ministra svizzera degli affari esteri Micheline Calmy-Rey, illustrando i risultati delle discussioni sulla politica europea tenute mercoledì dal Consiglio federale.

“Questa via sta diventando però sempre più difficile”, ha indicato Doris Leuthard. Finora, la Svizzera ha concluso ben 120 accordi bilaterali con Bruxelles, che devono essere continuamente adattati e rinegoziati, generando un grande onere di lavoro per l’amministrazione federale, il parlamento e anche i cantoni.

I negoziati si rivelano inoltre sempre più complessi. La Confederazione deve infatti trattare ora con ventisette paesi membri dell’Ue. Il diritto europeo è in continua trasformazione e Berna si vede quindi costretta a riprendere regolarmente nuove norme. Con il trattato di Lisbona, i membri dell’Ue hanno rafforzato ulteriormente i loro legami: il governo elvetico deve quindi fare in modo che la Svizzera non venga discriminata nell’ambito di questo processo di integrazione europea.

Pressioni di Bruxelles

“La via bilaterale non è finita, come si è sentito dire più volte negli ultimi tempi. Attualmente costituisce la soluzione che raccoglie i maggiori consensi all’interno del paese”, ha sottolineato la presidente della Confederazione.

Il Consiglio federale considera tuttavia necessario riesaminare l’evoluzione dei rapporti con l’Ue, tenendo conto delle crescenti difficoltà poste dalla via bilaterale. Non da ultimo il fatto che si rafforzano sempre più le pressioni da parte di Bruxelles per costringere in futuro la Svizzera a riprendere automaticamente il diritto europeo.

A tale scopo, il governo ha creato mercoledì un gruppo di lavoro incaricato di valutare entro fine anno le possibili soluzioni per proseguire la politica europea della Confederazione, preservando nel migliore dei modi gli interessi della Svizzera e nel contempo la sua sovranità.

“Siamo chiaramente interessati a migliorare l’intensità dei nostri rapporti con l’Ue e a partecipare al grande mercato unico europeo. Ma nel contempo vogliamo poter influire sulla politica europea e non limitarci soltanto a riprendere quello che decidono gli altri”, ha aggiunto Doris Leuthard.

Questa opzione è possibile anche senza un’adesione all’Unione europea. Lo dimostra l’esempio del Trattato di Schengen: la Svizzera, che vi ha aderito alla fine del 2008, dispone di un potere decisionale per quanto riguarda l’adeguamento dell’accordo tra i paesi membri e fa parte di tutti i comitati direttivi.

Tutto è possibile

“Conclusione di un accordo quadro con l’Ue, adesione allo Spazio economico europeo, adeguamento della via bilaterale attuale: tutto è possibile”, ha indicato Micheline Calmy-Rey. “Qualsiasi soluzione non rappresenta un obbiettivo, ma uno strumento per sviluppare gli interessi della Svizzera”.

Dobbiamo trovare una soluzione che tenga conto anche del sistema politico svizzero, ha aggiunto la ministra elvetica degli affari esteri. In particolare si tratta di escludere misure di compensazione o altre imposizioni da parte di Bruxelles nel caso in cui la Svizzera si ritrovi in ritardo nell’applicazione di un accordo, ad esempio in seguito ad un referendum.

“Non vogliamo più accettare una clausola ghigliottina”, ha dichiarato Micheline Calmy-Rey, facendo allusione all’accordo sulla libera circolazione delle persone. Un suo rifiuto da parte del popolo svizzero nell’ambito della votazione federale avrebbe minacciato di far saltare tutto il primo pacchetto di accordi bilaterali conclusi con l’Ue.

Per la Confederazione è in ogni caso fondamentale mantenere rapporti amichevoli con i vicini paesi europei. Ma lo stesso vale anche per l’UE. “La Svizzera è il secondo partner economico per i Ventisette, dopo gli Stati uniti. Condividiamo gli stessi valori e molto spesso le stesse posizioni nel quadro delle conferenze e degli organismi internazionali”, ha osservato la ministra degli affari esteri.

Nuovi negoziati in vista

Nella sua seduta di mercoledì, il Consiglio federale a pure approvato i mandati per l’avvio di due nuovi negoziati con l’Ue. Il primo mira ad armonizzare le norme tra Berna e Bruxelles sulla sicurezza e il controllo delle sostanze chimiche. A tale scopo, la Svizzera potrebbe aderire al regolamento REACH (registrazione, valutazione, autorizzazione e restrizione delle sostanze chimiche), introdotto nel 2007 dall’Ue.

L’adesione a questo regolamento, che definisce requisiti molto rigorosi per la fabbricazione e la commercializzazione dei sostanze chimiche, permetterebbe di migliorare la protezione dell’uomo e dell’ambiente dai rischi legati a queste sostanze. Nel contempo consentirebbe di evitare eventuali discriminazioni per le aziende elvetiche che esportano prodotti chimici nell’Ue.

Il secondo mandato riguarda la collaborazione tra le autorità elvetiche e quelle dei Ventisette in materia di lotta transfrontaliera ai cartelli e ad altre intese che minacciano la concorrenza. La mancanza di un accordo tra Berna e Bruxelles non permette alle autorità garanti di operare e collaborare in modo ottimale.

Per concludere, il Consiglio federale vuole esaminare entro fine anno l’eventualità di avviare un dialogo con l’Ue per quanto concerne la fiscalità delle aziende. Negli ultimi tempi si sono rafforzate le pressioni da parte dei Ventisette, affinché la Svizzera riprenda il codice di condotta dell’Ue sull’imposizione fiscale delle imprese.

Reazioni contrastanti

Come era prevedibile, la strategia abbozzata dal governo ha suscitato reazioni contrastanti. Il Partito liberale radicale sostiene la posizione Consiglio federale: “Le speculazioni sulla prossima fine della via bilaterale erano completamente fuori luogo”, scrive lo schieramento politico di centro, secondo il quale “la Svizzera ha dimostrato la sua forza e la sua stabilità nell’affrontare la crisi economica e può quindi negoziare con l’Ue da una posizione di forza”.

La via bilaterale “sta portando la Svizzera verso un vicolo cieco”, afferma invece il Partito ecologista, per il quale la strategia del Consiglio federale è “priva di visioni e di coraggio”. A detta dei Verdi, per poter disporre di voce in capitolo nei confronti dell’Ue, la Svizzera deve rilanciare rapidamente la sua domanda di adesione.

Da parte sua, l’Azione per una Svizzera neutrale e indipendente ritiene che il governo abbia già chinato la testa di fronte all’Unione europea, come “dimostrano le lamentele del Consiglio federale sulle difficoltà di proseguire la via bilaterale e lo spirito di sottomissione messo in mostra nei confronti di Bruxelles”.

Armando Mombelli, swissinfo.ch

1992: Il 50,3% dei votanti respinge il trattato di adesione allo Spazio economico europeo.

1997: Il 74% dei cittadini svizzeri rifiuta di pronunciarsi sull’adesione all’Unione Europea, come chiedevano i partiti della destra nazional-conservatrice.

2000: I cosiddetti Accordi bilaterali I (libera circolazione delle persone, ostacoli tecnici al commercio, mercati pubblici, agricoltura, trasporti aerei e terrestri, partecipazione della Confederazione ai programmi di ricerca dell’UE) sono approvati dal 67,2% dei votanti.

2005: Col 54,6% di voti favorevoli, la popolazione svizzera approva l’accordo di associazione a Schengen e Dublino (controlli alle frontiere e asilo).

2006: Il popolo accetta (53,4%) di sostenere finanziariamente la transizione politica ed economica dei nuovi Stati membri dell’Unione Europea.

2009: Il 59,6% dei votanti approva il rinnovo dell’accordo di libera circolazione delle persone con l’UE e la sua estensione a Bulgaria e Romania.

1961: Sette paesi, tra cui la Svizzera, siglano il trattato che instaura l’Associazione europea di libero scambio (AELS).

1963: La Svizzera entra a far parte del Consiglio d’Europa.

1992: Il governo svizzero presenta la domanda per aprire dei negoziati in vista di un’adesione all’adesione all’Unione Europea. La richiesta è tuttora in sospeso.

2006: Il rapporto del governo sull’integrazione europea sottolinea a chiare lettere che la politica europea della Svizzera è basata sulle relazioni bilaterali.

Dal 1972, Berna e Bruxelles hanno firmato circa 120 trattati bilaterali.

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