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«Serve una riforma del modello politico maliano»

I soldati francesi hanno già riconquistato le principali città del nord del Mali occupate dai gruppi islamici Keystone

Accolto all'inizio con favore da quasi tutti, l’intervento francese in Mali suscita ora anche voci critiche. Grande conoscitore della regione, Gilles Yabi lancia un monito verso chi si limita a una lettura superficiale del conflitto che potrebbe peggiorare l’attuale crisi.

Con l’entrata in azione dell’esercito francese in Mali, l’attenzione mediatica ha puntato i suoi riflettori su questa regione, considerata la nuova polveriera del pianeta. Direttore per l’Africa occidentale presso l’organizzazione non governativa International Crisis Group, il beninese Gilles Yabi ci illustra i rischi del conflitto.

swissinfo.ch: L’intervento della Francia in Mali non è, come molti esperti affermano, una semplice continuazione della guerra in Libia?

Gilles Yabi: C’è una relazione tra l’eliminazione del colonnello Gheddafi e la destabilizzazione della regione settentrionale del Mali. Infatti, una parte delle armi e dei combattenti, che l’anno scorso ha innescato la ribellione nei pressi di Bamako, è arrivata direttamente dalla Libia. Ma Al-Qaida nel Maghreb islamico (AGMI) è presente da una decina di anni nella regione e sarebbe sbagliato ridurre gli sconvolgimenti nel Nord del Mali al solo fattore libico.

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Delicata mediazione svizzera in Mali

Questo contenuto è stato pubblicato al “La Svizzera, che non ha alcun interesse diretto nella regione, è ben posizionata per mantenere i contatti con le diverse popolazioni del Mali del nord e i loro rappresentanti. Al momento opportuno, ciò potrà agevolare discussioni e negoziati”, dice Jean-Pierre Gontard, ex vice-direttore dell’Istituto universitario di studi dello sviluppo di Ginevra, che conosce bene la…

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Gli interventi militari francesi avvengono in una situazione politica regionale e internazionale diversa. In Libia, la Francia ha preso parte al conflitto sotto l’egida della NATO, ma senza il sostegno africano. Nel Mali, invece, la Francia può contare su un chiaro appoggio regionale, se necessario su quello della Comunità degli Stati dell’Africa occidentale (CEDAO).

swissinfo.ch: Quale forza militare reale hanno a disposizione i «terroristi» contro cui si batte la Francia?

G.Y.: Nei primi giorni del conflitto, alcuni militari francesi hanno dichiarato d’essere rimasti sorpresi dall’equipaggiamento e dalla determinazione dei combattenti islamici, armati fino ai denti e organizzati in lunghe colonne di pick-up. Grazie al suo vantaggio aereo, la Francia ha respinto rapidamente l’offensiva islamica.

Tuttavia, le cose potrebbero complicarsi. È probabile che i ribelli decidano di ritirarsi nelle zone difficilmente accessibili. Sarà molto complicato andare a stanarli e scacciarli da queste regioni desertiche e montagnose del Mali settentrionale.

L’islamismo radicale dei gruppi, contro cui la Francia è scesa in campo nel Mali, «è una messinscena e fa da paravento a una vera e propria politica economica del terrorismo», sostiene Mohammad Mohamedou, professore invitato presso l’Istituto di alti studi internazionali e dello sviluppo di Ginevra e direttore del Programma regionale presso il Centro ginevrino per la politica di sicurezza (CGPS).

In questi nuovi movimenti islamici, Mohammad Mohamedou vi riconosce un terrorismo mondializzato e apolitico che indossa una parvenza religiosa per mascherare le sue infime attività, come la presa di ostaggi presso un impianto di estrazione di gas in Algeria. «La caratteristica di questi nuovi gruppi transnazionali è la possibilità di agire su più livelli simultaneamente, ciò che ne aumenta notevolmente l’impatto, che va ben oltre le loro reali capacità».

Questa nuova situazione si traduce in una moltiplicazione del traffico, su grande scala, di droga, armamenti, carburante e ostaggi. È ciò che avviene – per esempio – nel Sahara, ma anche nel Delta della Nigeria, al largo della Somalia, così come nel Nord del Messico, continua il professore.

La caduta del colonnello Gheddafi ha avviato la destabilizzazione del Nord del Mali, favorita dall’unione di più fattori. «Il ritorno dei tuareg armati fino ai denti, la disponibilità d’armamenti dopo il saccheggio dei depositi di Gheddafi e, infine, il caos dello Stato nel quale i gruppi armati radicali vi hanno sguazzato tranquillamente e grazie a cui hanno potuto scorrazzare nella regione con maggiore facilità rispetto al passato».

swissinfo.ch: Quali sono i veri obiettivi dei gruppi islamici che seminano il terrore nel Nord del Mali?

G.Y.: I combattenti rispondono a una mera logica opportunistica. Entrare a far parte dei gruppi armati è, spesso, l’unica fonte di sostentamento per le popolazioni nel Nord del Mali.

Per quanto riguarda i capi, loro abbinano la dimensione ideologica e jihadista con l’arricchimento personale. AQMI è in rapporti diretti con la rete del crimine organizzato. Questi gruppi islamici sono profondamente radicati nelle comunità e nell’economia locali e per questo motivo sarà difficile isolarli.

swissinfo.ch: L’azione francese avrà difficoltà a rendere sicura la regione, nuovo focolaio del terrorismo mondiale?

G.Y.: Certo, è necessario combattere i gruppi terroristi, che sono una vera minaccia, ma la presenza francese rischia, con il passare del tempo, di mettere in pericolo l’economia e la coesione del paese. Il continuo impoverimento della popolazione favorirà ulteriormente la violenza in Mali.

La crisi in Mali è molto complessa e l’intervento militare francese tende a nascondere tutti gli altri aspetti del conflitto.

swissinfo.ch: Le sorti dei tuareg sono una delle chiavi per risolvere la crisi?

G.Y.: Storicamente, Bamako è stata incapace di rispondere in maniera adeguata ai bisogni dei territori e delle popolazioni del Nord del Mali. Il problema dei tuareg, che risale all’indipendenza del paese, dovrà essere affrontato prima o poi. È dunque indispensabile coinvolgere i tuareg, ma anche le altre comunità del Mali settentrionale, nel programma di restaurazione dello Stato e di ridefinizione del sistema di governo della regione.

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Gli “uomini blu” del deserto

Questo contenuto è stato pubblicato al Il fotografo Thomas Kern di swissinfo.ch si è recato nel nord del Mali per incontrare gli “uomini blu” del deserto, molti dei quali sono ormai sedentari. Una visita compiuta tra il 2001 e il 2004, prima dell’arrivo degli islamisti radicali nella regione.

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swissinfo.ch: Quale responsabilità ha il governo maliano in questa crisi?

G.Y.: All’origine della destabilizzazione del Mali c’è anche  l’aumento della criminalità. A lungo, si è confuso il processo di democratizzazione con il consolidamento dello Stato, due cose però molto distinte.

È necessario riflettere in maniera approfondita sul modello politico maliano e mettersi di buona lena a ricostruire un esercito efficace e poteri politici e militari che non siano coinvolti nei traffici di vario tipo.

swissinfo.ch: Quale ruolo dovrà avere l’Algeria per garantire la stabilità futura nella regione?

G.Y.: L’Algeria ha un ruolo centrale vista la sua posizione geografica. Inoltre, i capi dell’AQMI sono soprattutto di origine algerina. La sicurezza a medio e lungo termine del Nord del Mali dipenderà dall’Algeria e dai rapporti che si instaureranno tra quest’ultimo stato e il Mali. Tuttavia, la sua posizione come mediatrice di primo piano nella regione è stata indebolita dal fatto che ha dovuto, suo malgrado, allinearsi con la forza d’intervento francese.

(Intervista fatta prima dell’offensiva delle forze francesi contro Timbuctù)

Traduzione di Luca Beti

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