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Cenni Najy: “Non m’immagino né la Svizzera né l’UE lasciare il tavolo dei negoziati”

Ursula von der Leyen e Simonetta Sommaruga in piedi si stringono la mano.
La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen (a sinistra) ha ribadito alla presidente della Confederazione Simonetta Sommaruga l'auspicio di una rapida firma dell'accordo quadro istituzionale Svizzera-UE. Keystone / Alessandro Della Valle

Svizzera e Unione europea non sono in luna di miele, anche se domenica il popolo elvetico ha chiaramente rifiutato di abolire la libera circolazione. Bisognerà ancora armarsi di pazienza per arrivare alla firma di un accordo quadro istituzionale tra Berna e Bruxelles, avverte Cenni Najy, ricercatore ed esperto di questioni europee all'università di Ginevra.

La presidente della Confederazione Simonetta Sommaruga e la sua omologa della Commissione europea Ursula von der Leyen hanno avuto un colloquio telefonico lunedì, all’indomani della netta bocciatura alle urne elvetiche dell’iniziativa “per la limitazione”, promossa dall’Unione democratica di centro (UDC, destra conservatrice). Ursula von der Leyen ha invitato il governo svizzero a procedere rapidamente alla conclusione dell’accordo quadro istituzionale, che dovrebbe regolamentare le relazioni a lungo termine tra l’UE e la Confederazione. La volontà c’è, ma il percorso è pieno di insidie, secondo Cenni NajyCollegamento esterno, specialista di questioni europee all’università di Ginevra e vicepresidente del think tank forausCollegamento esterno.

Cenni Najy è ricercatore ed esperto di questioni europee all’università di Ginevra. È anche vicepresidente del think-thank di politica estera svizzera foraus. unige

swissinfo.ch: Il rifiuto dell’iniziativa “per la limitazione” con quasi il 62% di no può essere interpretato come un chiaro segnale da parte del popolo svizzero a favore della via bilaterale?

Cenni Najy: È un chiaro segnale che non dovremmo aggiungere un’altra crisi alla crisi del coronavirus. Attraverso la pandemia, gli svizzeri si sono resi conto della necessità di collaborare con i nostri vicini, con l’UE. Ciò ha svolto un ruolo nella portata del no all’iniziativa dell’UDC. I cittadini hanno plebiscitato la via bilaterale, un approccio pragmatico e cooperativo.

“Attraverso la pandemia, gli svizzeri si sono resi conto della necessità di collaborare con i nostri vicini, con l’UE”.

La chiarezza del risultato pone il governo in una posizione di forza nel proseguimento dei negoziati con Bruxelles?

Il Consiglio federale esce rafforzato da questa vittoria, che non era scontata in anticipo. Tuttavia, ciò non significa che i problemi strutturali della via bilaterale verranno risolti con un colpo di bacchetta magica. Ora abbiamo una versione definitiva dell’accordo quadro istituzionale, negoziato per anni, ma la Svizzera è riluttante a firmarlo e ritiene che alcuni punti debbano essere chiariti. Questi aspetti, tuttavia, non sono semplici dettagli. Sono importanti, anzi capitali. Ci si può dunque chiedere se non sarà necessaria una rinegoziazione piuttosto che un semplice chiarimento.

Attaccato da tutte le parti in Svizzera, l’accordo quadro istituzionale ha ancora un futuro?

Sia da parte di Bruxelles che della Svizzera c’è comunque una certa volontà di trovare soluzioni per concludere questo lungo negoziato. Il governo elvetico avrà però un compito complesso: quello di appianare le numerose divisioni emerse negli ultimi mesi o anni, sia a destra che a sinistra dello spettro politico. Dovrà spiegare cosa è stato negoziato e in che misura i timori espressi siano giustificati o meno, cercando di trovare un terreno d’intesa su alcune questioni aperte con l’UE.

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Una rinegoziazione completa dell’accordo è un’illusione?

A mio avviso, non ci sarà una grande rinegoziazione, ma piuttosto adeguamenti nella versione attuale dell’accordo. Svizzera e UE ne discutono da quasi 10 anni. L’UE non accetterà una rinegoziazione dalla A alla Z, perché la Svizzera ha problemi interni. Ci vorrebbe così tanto tempo che Bruxelles, probabilmente, preferirebbe non avere alcun accordo piuttosto di tale scenario.

L’UDC ha già annunciato che la sua prossima battaglia sarà contro l’accordo quadro istituzionale, giudicando che minaccia la sovranità del Paese. Questo timore è fondato?

Di fatto, l’accordo non cambierà praticamente nulla della situazione attuale. La Svizzera generalmente adotta di spontanea volontà lo sviluppo del diritto europeo relativo agli accordi bilaterali. Esistono, tuttavia, alcune eccezioni con le quali non si è allineata, in particolare per quanto riguarda la direttiva sulla cittadinanza europea. La ripresa di quest’ultima darebbe più diritti sociali agli europei che vengono a lavorare in Svizzera. In concreto, renderebbe un po’ più difficile l’espulsione dalla Confederazione di criminali stranieri provenienti dall’UE. Il numero di casi all’anno, tuttavia, può essere contato sulle dita di una mano. Si tratta di questioni emotive, di principio, ma che a mio avviso non avrebbero un impatto reale sulla sovranità del Paese.

Le misure di accompagnamento, che dovrebbero in particolare regolare il problema del dumping salariale, sono al centro delle critiche della sinistra. C’è modo di trovare una soluzione?

Per me questo è il punto più problematico. Negli ultimi vent’anni, la Svizzera ha messo in atto diverse misure di accompagnamento alla libera circolazione. Secondo la maggior parte degli esperti, costituiscono una vera protezione contro il dumping salariale. Si tratta di un dispositivo legale che funziona bene, ma non è completamente eurocompatibile. Se cadessero queste misure, la sinistra smetterebbe di sostenere con tanta forza la via bilaterale e la libera circolazione delle persone. E, senza la sinistra, il governo non avrebbe più l’appoggio politico necessario per proseguire la via bilaterale.

Potremmo mettere in atto nuove misure di accompagnamento in linea con il diritto europeo, ma per questo le parti sociali dovrebbero sedersi attorno al tavolo. Finora, non c’è volontà di farlo.

Se la Svizzera non riuscisse a trovare una soluzione, potrebbe decidere di abbandonare l’esercizio?

Non m’immagino né la Svizzera né l’UE lasciare il tavolo dei negoziati. Il Consiglio federale non vuole assumersi la responsabilità del fallimento delle trattative. È più un gioco di pazienza. Questo accordo istituzionale contiene principi fondamentali ai quali l’UE è molto legata. È illusorio sperare di poter rinunciare a tutto e ricominciare da capo affinché questi principi svaniscano.

Se non c’è la volontà di entrambe le parti di avanzare, l’accordo rimarrà così com’è per alcuni mesi, o addirittura anni, finché la situazione in Svizzera non sarà cambiata o l’UE sarà maggiormente disposta a fare concessioni. Meglio aspettare che la situazione si appiani, piuttosto che ricominciare da capo. In ogni caso, non credo che un accordo quadro possa essere firmato prima della fine dell’anno.

Traduzione dal francese: Sonia Fenazzi

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