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Preparativi di guerra negli USA, apprensione in Afghanistan

Il consiglio di sicurezza americano riunito a Camp David questa fine settimana Keystone

Al termine di una riunione del consiglio di sicurezza nazionale, il presidente americano George W. Bush ha espresso la sua volontà di "vincere la prima guerra del 21esimo secolo", annunciando una lunga crociata contro il terrorismo e i paesi che lo sostengono. La tensione aumenta in Afghanistan, dove anche il CICR ha deciso di evacuare il suo personale.

Bush è ritornato domenica a Washington, dopo una riunione di due giorni del consiglio di sicurezza nazionale, con il quale ha esaminato i piani e le modalità di una risposta armata agli attentati che hanno sconvolto martedì scorso gli Stati uiti. Nel fine settimana, il presidente americano ha inoltre designato apertamente il saudita Osama bin Laden, quale principale sospetto per l’azione terroristica.

E’ la prima volta che l’accusa contro bin Laden arriva dall’uomo finora considerato più potente al mondo. E lascia presagire che la resa dei conti stia per scattare. “Li troveremo, li staneremo e li porteremo davanti alla giustizia” ha detto George W. Bush.

La macchina bellica americana si sta mettendo in moto: Bush, che deve approntare la risposta militare da dare al “gruppo di barbari”, ha chiesto agli americani di “essere pronti”. Il ricchissimo saudita protetto dai talebani afgani “non potrà sfuggire agli Stati Uniti”. Nessun dubbio sulla colpevolezza di bin Laden anche per il vice-presidente Dick Cheney.

Domenica Cheney – ricordando l’estensione della rete di bin Laden a Jihad islamica e diversi altri gruppi terroristi – ha confermato che gli Stati Uniti lanceranno un’operazione per stroncare l’organizzazione. Non sarà un blitz: “ci vorranno probabilmente anni per avere ragione di Osama bin Laden e della sua organizzazione terroristica Al Qada”.

Il vento di una guerra nuova soffia più forte. Il segretario alla difesa americano Donald Rumsfeld domenica ha parlato alla tv affermando che “la rete terroristica responsabile degli attacchi va molto oltre una sola persona. Gli Stati Uniti colpiranno i conniventi. Non abbiamo scelta”.

Dal canto suo Osama bin Laden ha risposto domenica, smentendo qualsiasi sua implicazione negli attacchi terroristici dell’11 settembre negli USA.

In un comunicato, diramato dall’agenzia privata con base in Pakistan Aip, bin Laden ribadisce quanto affermato dai talebani, che sostengono di non avere a disposizione i mezzi per organizzare attentati terroristici dopo le restrizioni imposte dal loro capo supremo, il mullah Mohammad Omar, nei contatti col mondo esterno. “Vivo in Afghanistan, e non posso partecipare a simili attività”.

La forza contro un nemico nuovo

Se Bush ha parlato di un “nemico nuovo”, di una guerra diversa, un generale del Pentagono – coperto dall’anonimato – ha spiegato che effettivamente “non combatteremo questa guerra con un ampio dispiegamento di soldati nel campo di battaglia”. Questo perchè, ha aggiunto, “non ci stiamo preparando per punire, ci stiamo preparando per sradicare il terrorismo”.

Venerdì sia la Camera dei rappresentanti che i Senatori avevano autorizzato il presidente Bush a far ricorso alla forza militare. La risoluzione, adottata praticamente all’unanimità da entrambe le Camere, accorda luce verde a George W. Bush per “fare uso di tutta la forza necessaria e appropriata contro nazioni, organizzazioni o persone accusate di aver pianificato, autorizzato o commesso gli attentati terroristici che hanno scosso gli Stati uniti.

Al Pentagono si stanno studiando vari scenari. In particolare sono quattro le opzioni considerate – che sono in realtà gli schemi “classici” di un’azione bellica – secondo quanto trapelato al Dipartimento della difesa: l’azione a distanza con i missili, i raid aerei, le azioni mirate sul terreno con gruppi di commando, la guerra di terra con largo impiego di truppe.

Il mondo resta in attesa della strategia statunitense: nell’imminenza di una rappresaglia contro gli autori delle stragi del “martedì nero” il Pentagono ha stabilito un totale black out dell’informazione. Perfino i siti web del Dipartimento della Difesa – precisi di solito nel documentare in tempo di pace i movimenti del dispositivo bellico USA – sono stati chiusi o sono in fase di riparazione “per motivi di sicurezza”.

Quello che è certo è che lunedì il Pentagono lancia l’operazione “Noble Eagle”, cioè il richiamo di 35mila riservisti. Venerdì Bush aveva proclamato lo stato di emergenza nazionale e approvato la mobilitazione di 50mila riservisti, sostanzialmente per la difesa del territorio.

Fuga dall’Afghanistan

La situazione nel Paese è estremamente tesa. Temendo l’attacco americano gli ultimi operatori umanitari occidentali hanno lasciato domenica Kabul. Tra loro cinque funzionari della Croce rossa internazionale.

Anche molti afgani cercano di lasciare il Paese, nonostante la chiusura delle frontiere per l’Iran: il tentativo è di raggiungere il Pakistan, dove già vivono decine di migliaia di profughi. I talebani hanno chiesto alla popolazione di rimanere e di lottare in difesa dell’Afghanistan. Il loro appello è stato accolto da alcuni rifugiati, che stanno tornando dal Pakistan.

L’abbandono degli operatori umanitari occidentali inciderà pesantemente sulla situazione di almeno sei milioni di persone, un quarto della popolazione afgana. Il Paese è in condizioni di estrema povertà da almeno 23 anni, a causa delle guerre che ne hanno devastato il territorio. La peggiore, quella contro l’ex Unione Sovietica.

Non si sa che cosa accadrà adesso agli otto occidentali che i talebani stanno processando per il reato di tentativo di conversione degli afgani al cristianesimo.

L’associazione rivoluzionaria delle donne afgane, un movimento anti-talebani, ha lanciato un appello agli Stati Uniti perché “distinguano fra il popolo afgano e un pugno di fondamentalisti terroristi”.

Vista l’accresciuta tensione internazionale, lunedì il Dipartimento svizzero degli affari esteri ha ufficialmente sconsigliato qualsiasi viaggio in direzione di Pakistan, Jemen e Afghanistan.

Prosegue l’inchiesta, tracce anche in Svizzera

2 arresti e 25 fermati col pretesto di violazioni delle norme dell’immigrazione ma sospettati di sapere qualcosa: l’inchiesta sulle stragi del martedì nero dell’America si allarga a macchia d’olio. Dal quartier generale dell’Fbi sono partiti domenica i dati segnaletici di un altro centinaio di persone che potrebbero avere avuto a che fare con gli attentati.

Da 30 a 50 cellule dell’organizzazione potrebbero essere ancora alla macchia, hanno indicato fonti di “intelligence” citate dal settimanale Newsweek. Un quinto dirottamento suicida potrebbe esser stato sventato per miracolo martedì scorso, quando un volo per Los Angeles è stato bloccato dopo le prime quattro stragi.

In Svizzera il Ministero pubblico della Confederazione ha aperto, sabato, un’inchiesta contro ignoti, in seguito alla probabile pista del terrorismo che sarebbe transitata dalla Confederazione. Almeno uno dei dirottatori che hanno compiuto le stragi ha soggiornato in Svizzera e ha acquistato a Zurigo due coltelli tascabili pagati con una carta di credito.

Lo ha confermato Jean-Luc Vez, direttore dell’Ufficio federale di polizia. Vez non ha dato ulteriori ragguagli sull’uso fatto dai terroristi delle armi, in particolare se i coltelli siano stati usati per il dirottamento dei quattro aerei.

Si continua a scavare

Da mercoledì nessun segno di vita sotto le 450mila tonnellate, crollate, delle Torri gemelli. A “ground zero”, come ormai tutti chiamano le macerie del World Trade Center, i soccorritori lavorano 24 ore su 24 da oltre 120 ore.

Ma il morale resta alto: “dobbiamo crederci”, dice un volontario. Nonostante l’incrollabile speranza americana, sale il bilancio dei dispersi: il sindaco di New York Rudolph Giuliani ha detto che le persone che mancano all’appello sono ora 5097.

Lunedì Berna ha detto quanto siano attualmente difficili le operazioni per contattare gli svizzeri residenti negli Stati Uniti di cui non si hanno piû notizie dopo gli attentati di martedì scorso. E’ certo che a bordo degli aerei usati come bombe dai terroristi vi erano due confederati, ma il Dipartimento federale degli esteri (DFAE) teme che nella distruzione delle Torri gemelle di New York almeno 5 svizzeri siano rimasti uccisi.

Tra i dispersi elvetici anche numerosi turisti, ma non si sa se al momento degli attentati si trovassero a New York oppure in altre città americane. In tutto sono circa 100 gli svizzeri che ancora mancano all’appello: la lista si è comunque sostanzialmente accorciata nelle ultime ore.

In rotta verso gli USA

Sabato è ripreso lentamente il traffico aereo internazionale verso gli Stati Uniti. Le compagnie europee hanno parzialmente ripristinato i voli dopo la riapertura dello spazio aereo americano ai voli esteri.

Sul normale svolgimento delle partenze hanno pesato l’alto numero di passeggeri in lista d’attesa, l’incertezza degli orari nonchè il rafforzamento dei controlli di sicurezza.

In generale i voli sono completi e non sono possibili nuove prenotazioni prima della metà della settimana entrante. Le compagnie chiedono ai passeggeri di presentarsi agli scali diverse ore prima della partenza.

Chi intende volare verso l’America può vedersi sottomettere un questionario, subire doppi controlli di identità. Rigorosissime le “perquisizioni” dei bagagli.

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