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«I cittadini devono sentire che il comune gli appartiene»

Mimoza Kusari-Lila: «Un sindaco deve saper fare tutto ciò che una madre sa fare a casa: occuparsi di dieci problemi diversi alla volta. Per questo abbiamo bisogno di più donne sindaco». swissinfo.ch

La democrazia diretta si può anche inventare dall’alto. Presente recentemente a Bienne per la conferenza annuale della cooperazione svizzera con l’Europa orientale, la prima donna alla testa di un comune in Kosovo espone il suo credo per quanto concerne la partecipazione dei cittadini.

Con il suo fisico da star del cinema e il suo doppio nome di fiore, Mimoza Kusari-Lila ha tutto per piacere. Non è però grazie allo charme che questa politica agguerrita è diventata, a meno di 40 anni, il primo sindaco donna in Kosovo. Economista formatasi dapprima nel suo paese poi negli Stati Uniti, dipendente della Banca mondiale e dell’Agenzia statunitense per lo sviluppo (USAID), è stata successivamente portavoce del governo, deputata (meglio eletta) in parlamento, poi vice primo ministro, responsabile del Commercio e dell’Industria. Nel 2013 ha lasciato le sue funzioni a livello nazionale per candidarsi come sindaco di GjakovaCollegamento esterno, importante comune al confine con l’Albania di circa 100’000 abitanti.

Gjakova è il municipio del Kosovo con la più lunga frontiera comune con la vicina Albania. swissinfo.ch

«Un sindaco deve saper fare tutto ciò che una madre sa fare a casa: occuparsi di dieci problemi diversi alla volta. Per questo abbiamo bisogno di più donne sindaco», sottolinea subito rivolgendosi ai partecipanti presenti alla conferenzaCollegamento esterno. Al di là dello slogan, la «pozione Mimoza» sembra aver successo a Gjakova, comune molto attivo nella promozione economica, l’unico in Kosovo ad avere un centro d’innovazione e che cerca di raggiungere certi standard europei (in particolare in materia di alloggio e di servizi elettronici), «in previsione del giorno in cui il Kosovo aderirà all’UE».

Non da ultimo, Gjakova è stato nominato nel 2014 comune più trasparente del paese dall’Istituto democratico del Kosovo. Questo in uno Stato che figura tra i peggiori della regione per quanto concerne la corruzione: al 110° posto su 175, stando alla classifica stilata da Transparency International.

swissinfo.ch: Da diversi sondaggi emerge che nei Balcani la popolazione diffida molto delle autorità, pur avendo un po’ più di fiducia nell’eletto locale che nel politico nazionale. Lei come è riuscita a conquistare questa fiducia?

Mimoza Kusari-Lila: Avevo già un certo percorso a livello nazionale. La gente si è forse detta che ‘questa donna, dopo aver fatto tutto ciò, deve essere capace di dirigere il comune’. Per essere un buon sindaco, bisogna essere impegnati, seri, avere una visione e una credibilità per quanto concerne il potere di cambiare le cose.

L’aiuto svizzero nei Balcani

Adottata nel 2007, la Legge federale sulla cooperazione con gli Stati dell’Europa dell’Est impone alla Svizzera di sostenere gli ex paesi del blocco comunista «nei loro sforzi di attuazione e di consolidamento della democrazia, nonché nella transizione verso l’economia di mercato e nell’instaurazione delle relative strutture sociali».

Per il periodo 2013-2016, la Svizzera ha stanziato 1,125 miliardi di franchi a tale scopo. Metà della somma va alle ex repubbliche sovietiche, l’altra metà a cinque Stati dei Balcani (Albania, Bosnia, Kosovo, Macedonia e Serbia). Sul posto, due terzi dei fondi sono gestiti dalla Direzione dello sviluppo e della cooperazione e l’altro terzo dalla Segreteria di Stato dell’economia. Questa somma rappresenta circa il 10% della cooperazione svizzera allo sviluppo.

A questi 1,125 miliardi si aggiungono 1,257 miliardi investiti nei nuovi paesi dell’UE nel quadro del contributo all’allargamento.

Concretamente la Svizzera sostiene la formazione di impiegati municipali, la modernizzazione delle infrastrutture, la semplificazione delle procedure burocratiche, la gestione sostenibile dell’energia, l’approvvigionamento in acqua potabile, la formazione professionale o i sistemi sanitari.

Detto ciò, non immaginavo quanto questo lavoro fosse impegnativo. Sono veramente indaffarata 24 ore su 24, sette giorni su sette. Bisogna occuparsi di tutti i problemi in dettaglio, andare al cuore delle cose, essere capaci di capire la vita dei cittadini ordinari. È un’altra sfida rispetto a quella di lavorare al governo centrale, ma nello stesso tempo quando si riesce a risolvere certi problemi è gratificante.

Sul canale radiofonico più ascoltato del paese vi è un talk-show dove la gente telefona per esporre i suoi problemi o fare domande ai politici. L’80% delle telefonate chiama in causa il comune o il sindaco.

swissinfo.ch: Al di là delle lamentele, lei insiste sulla necessità di una vera partecipazione civica. Anche se la popolazione del Kosovo in media è piuttosto giovane, molte persone sono nate in Jugoslavia, un paese che non si può dire incoraggiasse veramente la libera espressione dei cittadini…

M.K.-L.: Piano piano questo aspetto migliora. Il ruolo dei leader è di tracciare la strada. Dando prova di apertura su certe procedure relative a decisioni importanti per la popolazione, si mostra alla gente che può partecipare. Ad esempio, a Gjakova l’anno scorso abbiamo organizzato quattro udienze pubbliche sul budget in diversi luoghi del comune, oltre alla discussione ordinaria all’Assemblea. Ciò ha permesso di abbordare numerosi temi, fino all’equilibrio uomini-donne nell’amministrazione e nella società in generale. È stata una prima nel comune.

In queste occasioni, si può constatare che la gente può apportare ogni sorta di competenza. Ad esempio per il nuovo stadio di calcio, che dovrà rimpiazzare quello attuale che ha 50 anni. Quando ne abbiamo dibattuto, sono venuti architetti, ingegneri, urbanisti, appassionati di sport, persone che hanno capito che non si trattava solo di dibattere per dibattere, ma che era un vero appello alla partecipazione.

Penso quindi che se i politici sono aperti, se vogliono veramente creare questa partecipazione, suscitare nei cittadini il sentimento che il comune appartiene loro, funziona. Credo anche che se l’eletto comincia a richiudersi su se stesso, a lavorare per lui, senza pensare al bene pubblico, finirà primo o poi per essere sanzionato. La democrazia è di gran lunga il miglior sistema che le società umane hanno inventato fin qui. A Gjakova cerchiamo di fare del nostro meglio per farla funzionare, nel quadro del sistema politico del nostro paese.

swissinfo.ch: La Svizzera è molto fiera della sua democrazia diretta. La ricetta potrebbe essere applicata in Kosovo?

M.K.-L.: Avete ragione di essere fieri, poiché il funzionamento della democrazia e in generale di tutto il sistema in Svizzera è un modello per il resto del mondo. Basta venire qui per rendersene conto. A Bienne come altrove, sono impressionata nel vedere come i trasporti e tutti i servizi pubblici funzionano bene, come i parchi sono curati…

Da noi, evidentemente, la gente ha altri problemi esistenziali. Quando ci si alza il mattino per andare al lavoro – quando lo si ha – la domanda è sapere se uscirà acqua dal rubinetto, se la si potrà bere senza rischi, se non vi sarà una nuova interruzione della corrente o quando il quartiere avrà una nuova linea di autobus che eviterà ai nostri bambini di dover fare quattro chilometri a piedi per andare a scuola.

Detto ciò, a livello locale i cittadini possono già eleggere le assemblee comunali e i municipi [in Serbia, paese da cui il Kosovo si è separato nel 2008, i sindaci sono invece ancora nominati dai consigli regionali, ndr]. Lavoriamo anche su una struttura più piccola del comune, su unità organizzate attorno a un villaggio o un quartiere, a cui diamo un potere locale. Come abbiamo visto durante le udienze sul budget, ciò stimola la partecipazione e la circolazione dell’informazione, nei due sensi.

swissinfo.ch: Oltre a queste questioni politiche, la priorità che si è fissata per il suo mandato è lo sviluppo dell’impiego…

M.K.-L.: Evidentemente. Abbiamo identificato i potenziali di sviluppo e sono numerosi. Siamo ormai in un’economia di mercato e non più in un sistema pianificato. È il settore privato che farà decollare l’economia, creerà impieghi e ricchezza.

A Gjakova, abbiamo dato via a una cura dimagrante dell’amministrazione comunale, non sostituendo certe persone che vanno in pensione. Il settore pubblico deve però snellirsi in tutto il paese. Ciò che mi aspetto dal governo non sono tanto degli investimenti nei lavori pubblici – che sono comunque importanti – quando piuttosto un quadro legale che permetta al settore privato di svilupparsi.

Quando vi è un tasso di disoccupazione del 40 o del 50%, la gente vuole lavorare. Non può mangiare delle strade o delle infrastrutture. 

Traduzione di Daniele Mariani

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