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Quale diritto in guerra?

Durante un conflitto solo il diritto umanitario può proteggere i civili Keystone Archive

Ginevra ha commemorato i 25 anni dei protocolli aggiuntivi alle Convenzioni di Ginevra. Un diritto internazionale che fatica ad imporsi.

L’anniversario – organizzato congiuntamente dal Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR) e dal ministero svizzero degli esteri – cade a fagiolo. Gli attentati dell’11 settembre e le conseguenti risposte militari oltre al ritorno dell’opzione nucleare tattica sono una testimonianza dell’evoluzione inquietante del fenomeno della guerra.

Questa è anche l’opinione del ricercatore francese Paul Virilio: “La guerra ha sempre seguito delle regole precise, iscrivendosi in un rapporto di forza politico. Attualmente la guerra sta uscendo da questo quadro aprendo così la via all’ascesa degli estremismi”, spiega Virilio. “Gli attentati dell’11 settembre si situano sullo stesso piano di Auschwitz e Hiroshima”.

La banalizzazione dell’arma atomica

“Questi attentati sottolineano l’emergenza di quei movimenti che proclamano il loro disprezzo per il diritto umanitario. Sono gruppi intenzionati a prendersela con civili, in particolare con i cittadini di un determinato Paese”, afferma preoccupato François Bugnion, direttore del diritto internazionale al CICR. Un responsabile che vede anche con sgomento il rischio di una banalizzazione dell’arma nucleare.

Giovedì, in occasione delle celebrazioni di Ginevra, un gruppo di esperti e diplomatici ha d’altronde cercato di valutare la portata di questi avvenimenti sul diritto umanitario internazionale.

Questo quadro giuridico tenta, in effetti, di limitare la violenza dei conflitti e di proteggere coloro che non vi partecipano. Un quadro in continua evoluzione dal 1864, anno della creazione della Croce Rossa.

“Ogni nuova tappa di questo diritto è stata raggiunta dopo una guerra”, dice Luigi Condorelli, professore di diritto umanitario internazionale all’università di Ginevra. “Bisognava saper trarre i dovuti insegnamenti da questi avvenimenti”.

“Una guerra di ritardo”

“Le Convenzioni di Ginevra”, prosegue il professor Condorelli, “hanno permesso di colmare le lacune aperte del diritto umanitario, all’indomani della seconda guerra mondiale.”

Nessuno poteva prevedere l’Olocausto, la creazione di armi di distruzione di massa, come la bomba atomica o il crescente numero di civili, uccisi nei conflitti. “E’ uno dei problemi del diritto umanitario internazionale”, spiega Condorelli, “il diritto arriva spesso con una guerra di ritardo”.

I protocolli aggiuntivi del 1977 hanno tentato di incorporare le guerre interne, scaturite dal processo di decolonizzazione. Conflitti fra Stati e movimenti non statali. Si tratta di un tentativo tutt’altro che futile, secondo il professore di diritto: “I vari testi corrispondono a ideali ma anche ad una volontà precisa da parte degli Stati firmatari. Inoltre, le Convenzioni di Ginevra sono gli strumenti di diritto internazionale più accettati dalla comunità di Stati”.

Mancano i meccanismi di controllo

Luigi Condorelli relativizza: “Questa adesione ovviamente si sgretola non appena scoppia un conflitto”. Coscienti del problema, molti governi hanno tentato di rimediare, in occasione dei negoziati sui protocolli aggiuntivi, ma senza successo.

“Manca ancora un meccanismo che permetta di verificare il rispetto di queste regole. Un rispetto che attualmente è legato alla buona volontà delle parti”, sottolinea il professor Condorelli.

Unico spiraglio di speranza: la Corte internazionale di giustizia – in gestazione – e i tribunali ad hoc sul Rwanda e l’ex Yugoslavia. “Sono gli unici meccanismi di messa in pratica reale del diritto umanitario internazionale”, ritiene Luigi Condorelli.

François Bugnion è comunque convinto dell’utilità del diritto umanitario internazionale: “Il CICR è convinto che le Convenzioni di Ginevra e i loro protocolli aggiuntivi abbiano permesso di erigere delle barriere contro l’avanzata dell’orrore”.

E Luigi Condorelli sottolinea: “Il diritto umanitario interviene quando tutto il resto è fallito. E’ un segnale d’allarme”.

swissinfo/Frédéric Burnand, Ginevra

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