Prospettive svizzere in 10 lingue

Quale minoranza latina in governo?

Equilibrismo linguistico sotto la cupola di Palazzo federale Keystone Archive

Il gruppo socialista alle Camere federali sceglie questo weekend la candidata alla successione di Ruth Dreifuss.

In lizza: tre donne romande, una ticinese e un neocastellano.

Fra i criteri di scelta, anche se ha perso importanza, non va dimenticata l’appartenenza confessionale, mentre negli ultimi decenni si è imposta con evidenza la questione della presenza femminile.

Nessuna di queste regole è giuridicamente vincolante: è eleggibile in Consiglio federale chiunque abbia il diritto di voto (art. 143 della Costituzione federale).

La clausola cantonale, che impediva la presenza in governo di più di un membro proveniente dallo stesso Cantone è stata sostituita con una formula generica “le diverse regioni e le componenti linguistiche del Paese devono essere equamente rappresentate” (art. 175 CF).

Gli equilibri tra gruppi linguistici

Storicamente, le minoranze linguistiche sono sempre state equamente rappresentate in Consiglio federale. All’inizio era prevalsa la formula 5:2 (5 germanofoni e 2 “latini”), adottata per la composizione del primo governo federale nel 1848.

Nel corso del XX secolo si è avuto sovente un governo con 4 germanofoni e 3 “latini”. Soltanto durante quattro anni (dal 1876 al 1880), ci fu un Consiglio federale composto da sei svizzero-tedeschi e da un solo romando.

In seguito la doppia presenza romanda è venuta a mancare per periodi relativamente brevi: dal 1913 al 1917, dal 1934 al 1947 e dal 1967 al 1970.

La presenza italofona

La presenza italofona ha conosciuto un andamento più irregolare: dopo Franscini (1848-1857) e Pioda (1857-1864) ci fu un eclissi di ben 47 anni, tra il 1864 e il 1911, quando fu eletto Giuseppe Motta.

Le ragioni di questa lunga assenza, che ebbe ripercussioni alquanto negative sui rapporti tra il Ticino e la Confederazione, sono da ricercare anche nella situazione interna del Cantone, considerato a Berna poco affidabile a causa dell’instabilità e della litigiosità che sfociava talvolta in episodi di violenza politica.

Con Motta ed Enrico Celio ci fu una presenza ininterrotta fino al 1950; in seguito la Svizzera italiana è stata presente in Consiglio federale dal 1954 al 1959 con Giuseppe Lepori, dal 1966 al 1973 con Nello Celio e dal 1986 al 1999 con Flavio Cotti.

Il Grigioni italiano non è invece mai stato rappresentato nel governo federale: nel 1962, il mesolcinese Ettore Tenchio, candidato ufficiale del partito democristiano, fu battuto dal vallesano Roger Bonvin.

Due anni di maggioranza latina

La minoranza romancia è stata rappresentata una sola volta con il grigionese Felix Calonder (dal 1913 al 1920). Per alcuni anni, dal 1917 al 1919, ci fu un Consiglio federale con soli tre germanofoni e quattro rappresentanti della Svizzera latina: il ticinese Motta, il retoromancio Calonder e i romandi Ador e Decoppet.

Una situazione venutasi a creare con le dimissioni forzate di Arthur Hoffmann nell’estate del 1917: in un momento non proprio roseo per le relazioni confederali, il responsabile degli affari esteri si era compromesso con un’iniziativa diplomatica di pace in favore della Germania.

Svizzera latina, una nozione astratta

La nozione di “minoranza latina” è tuttavia puramente aritmetica: la Svizzera italiana non si è mai sentita rappresentata da un consigliere federale romando e i romandi non si sono mai riconosciuti in un consigliere federale ticinese.

Su molte questioni di interesse nazionale le posizioni delle due minoranze divergono ampiamente: per motivi regionali nella politica dei trasporti; per una questione di mentalità nei rapporti con l’Europa, per ragioni di temperamento e di Realpolitik nelle relazioni con la Svizzera tedesca.

I romanci, invece, si sentono probabilmente più vicini a un grigionese tedescofono che a un ticinese.

Marco Marcacci

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