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L’uomo che parla la lingua del metal detector

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"Non sono un cacciatore di tesori". Dice l'uomo il cui stile ricorda vagamente quello di Indiana Jones. Thomas Kern / Swissinfo.ch

Alla fine di agosto, la notizia del ritrovamento di un accampamento militare romano a 2'200 metri di altitudine, nei pressi di Tiefencastel, nel Cantone dei Grigioni, ha fatto il giro del mondo. È stata una scoperta sensazionale, resa possibile grazie all'attività di un archeologo autodidatta. SWI swissinfo.ch lo ha incontrato per conoscere meglio questa attività e approfondire il fenomeno dei "cercatori di tesori" in Svizzera.

Gli occhi di Romano AgolaCollegamento esterno brillano come quelli di un bambino. Ha appena trovato una moneta romana di bronzo. “Sono trascorsi duemila anni dall’ultima volta che qualcuno l’ha tenuta in mano.

“Avevo 14 anni e stavo raccogliendo patate in un campo. Nella terra rivoltata dall’aratro ho visto qualcosa che luccicava: era una vecchia moneta austriaca.”

Ogni ritrovamento suscita in me sempre forti emozioni”, dice Agola. Il 60enne non vuole essere definito un “cacciatore di tesori”, anche se con il cappello a falde larghe in testa ricorda vagamente Indiana Jones. E, come l’iconico archeologo protagonista della celebre serie cinematografica, Romano Agola non conosce paura. “Più che una passione, la definirei una malattia”, spiega sorridendo. “Mi sono ferito più volte alle gambe e alle braccia, e mi sono quasi cavato un occhio durante la ricerca di oggetti metallici nascosti sottoterra”.

L’arte di cercare tesori sepolti

Con un metal detector, una sorta di stampella con in cima un piatto che oscilla continuamente da destra a sinistra come un pendolo, l’archeologo autodidatta scandaglia il suolo di un bosco nel Canton Berna. In base al segnale acustico emesso dal rilevatore, Agola riconosce il metallo interrato: ferro, piombo, una lega o semplicemente un foglio di alluminio.

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“Qui sotto c’è un bossolo. Questo è un pezzo di ferro, e questo una pellicola di alluminio.” Thomas Kern / Swissinfo.ch

“Con gli strumenti attuali è molto più semplice localizzare e individuare gli oggetti. A seconda dell’induzione elettromagnetica dell’oggetto metallico e della profondità in cui si trova, il cercametalli emette un suono diverso”, spiega l’esperto che cammina spedito nel sottobosco, facendosi strada tra arbusti e rovi.

Romano Agola conosce la lingua del metal detector: “Faccio questo mestiere da oltre 40 anni e so quando vale la pena scavare”, dice mentre si ferma ad ascoltare con più attenzione. “Qui sotto c’è un bossolo. Questo è un pezzo di ferro, e questo una pellicola di alluminio”. L’abilità e la competenza non bastano però per trovare qualcosa: ci vuole anche un po’ di fortuna. Dea bendata che circa due anni fa ha baciato l’esperto di prospezione, il quale da una quindicina d’anni visita regolarmente il bosco in riva al fiume Aare per il Servizio archeologico del Canton Berna.

“Ho trovato un recipiente contenente 65 monete celtiche e romane d’argento”,Collegamento esterno racconta. “È stato un ritrovamento sensazionale; un tesoro che è stato l’attrazione principale di una mostra temporanea al museo storico di Berna”.

99% dei ritrovamenti sono rifiuti

È stata una scoperta che lo ha ripagato per le innumerevoli ore trascorse all’aperto, disegnando ghirigori in boschi e prati con il suo cercametalli. “I reperti archeologici sono una minima parte dei ritrovamenti”, dice Agola, spiegando che il 1850, anno dell’introduzione delle monete federali, gli serve come riferimento per valutare il valore archeologico dei manufatti ritrovati.

In media dissotterra da 20 a 30 oggetti all’ora, di cui il 99% sono rifiuti quali fogli di alluminio, lamiere, fili metallici, lattine, spilli, chiodi, viti e bossoli. “In gioventù trovavo quasi soltanto rifiuti”, spiega, riandando alla memoria al giorno in cui ha trovato la sua prima moneta antica. “Avevo 14 anni e stavo raccogliendo patate in un campo. Nella terra rivoltata dall’aratro ho visto qualcosa che luccicava: era una vecchia moneta austriaca. È stata per me come una rivelazione. Ho capito che ovunque potevano celarsi dei tesori. Andavano solo trovati”. E così, con il primo stipendio da apprendista ha acquistato il suo primo metal detector per 300 marchi tedeschi in Germania.

“Ho cominciato a camminare nei boschi con il cercametalli, dove con mia grande gioia trovavo monete moderne da 20, 50 centesimi o un franco”, dice Agola, che ha dovuto aspettare sei anni prima di rintracciare qualcosa di davvero prezioso dal punto di vista archeologico: una moneta romana. “Orgoglioso del ritrovamento, mi sono recato al Servizio archeologico di Berna, che però non ha affatto apprezzato”, racconta ora sorridendo della sua giovanile ingenuità. “Quello che facevo era illegale e per questo motivo mi hanno vietato di continuare, avvertendomi che mi avrebbero sequestrato l’apparecchiatura se avessi insistito”.

Una risorsa preziosa per la comunità archeologica svizzera

Romano Agola, però, ha continuato, ma cercando nei Cantoni vicini. Per fortuna. È proprio grazie a lui se i Servizi archeologici hanno cambiato idea sull’attività di chi utilizza un metal detector per la prospezione del terreno. Con il passare del tempo, Agola si è fatto un nome tra i professionisti. Il primo a dargli fiducia è stato il Canton Friburgo, che gli ha permesso di passare a setaccio il Mont VullyCollegamento esterno, tra i laghi di Neuchâtel e Morat. “Durante le mie ricerche ho individuato un conio per la produzione di monete celtiche”, racconta Agola, sottolineando che tale scoperta ha aperto gli occhi alla comunità archeologica svizzera, che da allora non lo ha più visto come una minaccia per la ricostruzione storica, ma come un alleato.

Nel 1997, Romano Agola ha incontrato Stefan Hochuli, archeologo cantonale di Zugo, che a sua volta ha deciso di metterlo alla prova, affidandogli la prospezione del BaarburgCollegamento esterno, un pianoro sulla cima di una collina a nord-est di Baar. “Il primo anno ho trovato numerosi reperti risalenti a varie epoche, mentre gli esperti dell’Università di Berna, senza metal detector, avevano rilevato in due anni un unico oggetto risalente all’età del ferro”, spiega Agola. Nel corso degli anni, la collaborazione tra Hochuli e l’archeologo autodidatta si è consolidata, tanto che le ricerche di Romano Agola si sono estese a tutto il territorio del Canton Zugo.

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Il permesso delle autorità archeologiche cantonali resta in bella vista sotto il parabrezza. Thomas Kern / Swissinfo.ch

Ciò ha portato alla scoperta di siti trascurati precedentemente dagli esperti. Inoltre, epoche storiche povere di reperti, come l’età del ferro, erano improvvisamente ben documentati

Vincere lo scetticismo degli archeologi

Romano Agola è ormai considerato un’autorità nel campo della prospezione anche grazie alla sua collaborazione con vari enti e istituzioni, quali le polizie forensi, le università e diversi servizi archeologici cantonali. Non è più l’unico a collaborare con gli esperti ed esperte del settore.

 In Svizzera, i ricercatori e ricercatrici con metal detector legali sono alcune centinaia, mentre si stima che quelli illegali siano alcune migliaia. La loro attività è vietata dalla legge ed è un problema per il patrimonio archeologico. Questi “cacciatori di tesori” senza licenza cantonale danneggiano i siti, rimuovendo manufatti senza documentare adeguatamente il ritrovamento, il che significa perdere importanti informazioni contestuali. Inoltre, rubano reperti che appartengono allo Stato.

“Per me, il valore più grande è la riconoscenza della comunità archeologica.”

Chi possiede una licenza cantonale deve superare lo scetticismo iniziale della comunità scientifica e conquistarsi la loro fiducia. Archeologhe e archeologi temono, infatti, che chi caccia tesori si appropri dei pezzi migliori o fornisca informazioni inaccurate sulla provenienza dell’oggetto. “Per me, il valore più grande è la riconoscenza della comunità archeologica, la pubblicazione di un mio ritrovamento in un libro o la sua esposizione in un museo”, afferma Romano Agola. “Non metto certo a repentaglio la mia reputazione, vendendo online una moneta antica”.

Quella trovata oggi è finita in un sacchetto di plastica numerato. Dopo quasi quattro ore di ricerca, il bottino è modesto. Oltre alla moneta romana di bronzo, ne ha trovato un’altra di epoca celtica, un anello con una gemma blu, forse di età moderna, alcuni pallettoni di piombo da moschetto e un pezzo di ferro battuto. “È stato un buon giorno per me?”, si chiede Romano Agola. “Lo è ogni volta che ho la fortuna di stringere tra le mani qualcosa di antico e databile”, afferma mentre guarda con soddisfazione i manufatti dissotterrati sotto un cielo plumbeo carico di pioggia, nel cuore di un bosco del Canton Berna.

Lo sviluppo tecnico dei metal detector ha contribuito significativamente al successo della ricerca di metalli. Già i primi dispostivi permettevano di localizzare oggetti. Quelli di ultima generazione sono molto più precisi ed emettono suoni diversi in base alla conduttività del metallo, permettendo al ricercatore e alla ricercatrice di riconoscere se l’oggetto interrato è composto da ferro, alluminio, leghe o metalli preziosi.

Da oltre dieci anni, Romano Agola impiega un “pinpointer”, una specie di penna che gli permette di individuare con precisione millimetrica i manufatti, evitando così di rovinarli mentre li toglie dalla terra.

Il successo dell’attività di ricerca dipende molto dalla preparazione, ad esempio attraverso lo studio di mappe storiche, fotografie aeree e cartine LiDar. Queste ultime presentano dei modelli digitali in 3D del territorio e mostrano la Svizzera senza vegetazione, rivelando dettagli che altrimenti sarebbe impossibile scoprire sul posto.

Verso la fine del primo secolo avanti Cristo, prima della gola del Crap Ses, tra Cunter e Tiefencastel, nella Val Sursette, nel Canton Grigioni, si consumò una battaglia tra le truppe romane e i combattenti locali. Nell’ambito del progetto di ricerca “CVMBAT” (termine romancio che significa battaglia), Romano Agola ha partecipato alla ricerca con il Gruppo di lavoro prospezione SvizzeraCollegamento esterno.

Stando agli studi, l’unità militare romana era partita a sud di Chiavenna, passando per il passo del Settimo fino alla regione della gola del Crap Ses. “Durante l’attività di prospezione mi sono chiesto se nei dintorni non ci fossero tracce dell’avanzata romana”, racconta Agola. “Ho consultato così i modelli del terreno delle mappe LiDAR alla ricerca di strutture anomale. Ed è così che ho scoperto l’accampamento romano, fortificato da tre fossati e un vallo”. È una scoperta straordinaria perché permette di tracciare con precisione l’avanzata delle truppe romane nelle Alpi di oltre 2’000 anni fa.

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