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Parlamentari italiani rilanciano il dialogo con Berna

Le trattative bilateriali dovranno risolvere anche la vertenza sui ristorni delle imposte prelevate sui redditi dei frontalieri Keystone

Dopo anni di incomprensioni, questa settimana dovrebbero cominciare ufficialmente le trattative tra Svizzera e Italia sulla spinosa vertenza fiscale. La nuova volontà di dialogo tra i due paesi è emersa anche durante una visita di due giorni a Berna di una delegazione di parlamentari italiani.

“Questo incontro dimostra ancora una volta che, parlandosi, si comprendono meglio le ragioni degli altri e che il dialogo è il solo strumento con il quale si possono migliorare i rapporti tra due Stati, nonostante le divergenze”, dichiara a swissinfo.ch il deputato liberale radicale Fulvio Pelli, presidente della delegazione elvetica per la cura delle relazioni con il Parlamento italiano, che ha accolto lunedì e martedì a Berna sette colleghi italiani.

Proprio la mancanza di dialogo sulle questioni più spinose ha accentuato in questi ultimi anni le incomprensioni tra due paesi, che avrebbero invece grande interesse a coltivare più intensamente la loro amicizia e la loro collaborazione: l’Italia è il secondo partner economico più importante per la Svizzera, mentre la Confederazione è il sesto maggiore mercato per le esportazioni italiane.

I lavori avviati dal 2001 per rivedere la Convenzione di doppia imposizione e appianare la vertenza fiscale sono rimasti praticamente bloccati da tale data. Da parte svizzera, fino a pochi anni fa Berna non era disposta a concessioni in materia di assistenza amministrativa e di segreto bancario. La Confederazione era così finita in Italia sulle liste nere dei paesi non cooperativi in ambito fiscale, una misura che ha penalizzato gli scambi transfrontalieri, gli investimenti diretti e l’industria d’esportazione elvetica.

Rimprovero superato

“Le liste nere sono la conseguenza del rifiuto della Svizzera, in tempi passati, di adattare le proprie prassi di collaborazione fiscale alle regole internazionali definite dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE)”, riconosce Fulvio Pelli. “Questo rimprovero è però superato, visti gli adattamenti eseguiti dalle autorità svizzere a partire dal 2009. L’Italia non ha però voluto entrare in materia su una revisione degli accordi di doppia imposizione, ciò che non abbiamo mai compreso”.

Da parte italiana, il governo ha infatti preferito ricorrere a strumenti unilaterali, come gli scudi fiscali e le perquisizioni delle banche svizzere nella Penisola, che hanno suscitato un certo scalpore, ma hanno dato pochi frutti per risolvere il problema principale per Roma, ossia quello degli ingenti averi depositati dai cittadini italiani nelle banche svizzere, che sfuggono al fisco italiano. 

“Da noi si parla di 300 miliardi di euro”, ci dice Fabio Evangelisti, deputato dell’Italia dei valori e presidente della sezione bilaterale di amicizia italo-svizzera del Parlamento italiano. “Purtroppo, il precedente governo italiano – quello di Berlusconi e Tremonti – non aveva nessuna intenzione di arrivare ad un accordo. Preferiva essere generoso con i grandi evasori fiscali, tant’è che l’ultimo scudo fiscale, volto a favorire il rientro dei capitali, prevedeva una tassazione di solo il 5%, veramente bassa, risibile”.

Politica degli annunci

Dopo la luce verde accordata da Bruxelles agli accordi fiscali negoziati dalla Svizzera con Germania, Gran Bretagna e Austria, nel maggio scorso il nuovo governo italiano di Mario Monti ha finalmente deciso di cambiare strategia, annunciando l’apertura di trattative con la Confederazione per risolvere l’annosa vertenza fiscale. Trattative, condotte finora dal gruppo di pilotaggio bilaterale, che inizieranno ufficialmente proprio questa settimana a Berna.

“Questo governo sembra effettivamente intenzionato a raggiungere un accordo. Ho però l’impressione che sia un po’ troppo legato ad una ‘politica degli annunci’, ossia ad annunciare prima l’intesa e poi a realizzarla, mentre sarebbe più utile concludere un accordo e poi annunciarlo”, afferma Fabio Evangelisti.

Più ottimista Daniele Toto, deputato di Futuro e libertà per l’Italia: “Credo che da parte del governo italiano vi sia attualmente la volontà di ritornare ad una normalità assoluta, con un accordo sulla tassazione dei capitali che porterebbe a stralciare rapidamente la Svizzera dalle liste nere”.

Medicina importante

Ma quali sono agli occhi dei deputati italiani gli ostacoli maggiori che vanno superati dai negoziatori per giungere finalmente ad un accordo? “La problematica principale è più che altro legata all’entità della tassa alla fonte: si tratta da un lato di permettere allo Stato italiano di recuperare una fiscalità sommersa e dall’altro di evitare alla Confederazione una fuga di capitali verso paradisi fiscali lontani”, ritiene Daniele Toto.

Una posizione condivisa da Fabio Evangelisti: “Credo che dovremmo essere intelligenti da una parte e dall’altra per individuare un livello di tassazione tale da non essere risibile per le esigenze italiane, ma neanche vessatorio al punto da produrre dei contraccolpi per la piazza finanziaria svizzera. Personalmente, alla mancanza di un accordo preferisco perlomeno un piccolo accordo, anche perché i previsti introiti fiscali rappresentano, nella situazione attuale, una medicina importante per l’economia italiana”.

Altrettanto impegnativi si presentano i negoziati in vista di nuovo accordo sui lavoratori frontalieri italiani. In base alla convenzione attuale, il Cantone Ticino preleva un’imposta alla fonte sui redditi dei frontalieri e riversa il 38,8 % di questo gettito all’Italia. Troppo agli occhi delle autorità ticinesi, che l’anno scorso avevano perfino bloccato la metà dei ristorni, per spingere Roma ad aprire trattative sulle vertenze bilaterali in corso.

“L’accordo sui frontalieri è un accordo costoso per il Canton Ticino, dal momento che l’aliquota attuale produce un importo rilevante di imposte incassate e ristornate. Con Vienna vige un altro sistema, con il quale i frontalieri pagano le loro imposte soprattutto in Austria e il ristorno dalla Svizzera è molto inferiore. Da parte italiana può esservi un interesse a rivedere l’accordo, ma probabilmente a condizione che lo si riveda nella sostanza integrale e non solo nella quota”, spiega Fulvio Pelli.

Lacune di conoscenza reciproca

La visita a Berna dei parlamentari italiani ha inoltre permesso di confrontare le rispettive posizioni anche sugli altri dossier bilaterali di maggior rilievo, tra cui i trasporti, la politica energetica e le relazioni istituzionali tra la Svizzera e l’UE. L’incontro è stato, non da ultimo, un’occasione importante di scambio tra i rappresentanti di due paesi limitrofi, ma molto distanti nel grado di conoscenza reciproca.

“Da parte italiana, questi incontri sono sicuramente molto produttivi per migliorare anche la conoscenza delle istituzioni svizzere, in particolare della democrazia diretta e del federalismo che sono quasi unici al mondo”, osserva Franco Narducci, deputato del Partito democratico eletto sulla lista europea e residente in Svizzera.

Per il parlamentare, che meglio di tutti conosce la situazione nei due paesi, la lunga vertenza fiscale non ha intaccato particolarmente l’immagine della Svizzera in Italia. “Da parte degli italiani vi è una grande ammirazione per la Svizzera. Direi che in tante virtù svizzere vedono un po’ i loro difetti, come la questione del rispetto dell’ambiente e l’efficienza nell’affrontare i problemi”.

Per la Svizzera, l’Italia è il secondo principale fornitore di beni e servizi (19 miliardi nel 2011) e il terzo mercato d’esportazione (16 miliardi nel 2011).

Gli investimenti italiani nella Confederazione, a cui sono legati quasi 14’000 posti di lavoro, hanno raggiunto 5 miliardi di franchi a fine 2010. Tra le maggiori imprese italiane attive in Svizzera vi sono Generali, Fiat, Pirelli e Bulgari.

La Confederazione figura invece al sesto rango tra i partner economici dell’Italia per quanto riguarda le esportazioni e al nono tenendo conto delle importazioni.

Gli investimenti svizzeri in Italia corrispondevano a 20 miliardi di franchi nel 2010. Le imprese elvetiche – tra cui ABB, Nestlé, Novartis, Roche, Zurich, UBS, CS e Swisscom – danno lavoro a circa 76’000 persone nella Penisola.

Inoltre, circa 55’000 cittadini italiani attraversano i ogni giorno la frontiera per lavorare sul territorio elvetico.

Il gruppo di pilotaggio istituito dopo la ripresa del dialogo tra Berna e Roma, decisa il 9 maggio 2012, ha fissato cinque temi di negoziazione.
 
Il primo riguarda la regolarizzazione degli averi italiani nelle banche svizzere e l’imposta alla fonte. Le parti negoziano sulla base degli accordi ‘Rubik’, che la Svizzera ha già firmato con Germania, Gran Bretagna e Austria. Questo modello prevede il pagamento di un importo forfettario unico sui capitali non dichiarati per regolarizzare il passato e il prelievo di un’imposta alla fonte per il futuro.
 
In contropartita, Berna vuole un migliore accesso al mercato italiano per gli istituti bancari elvetici.
 
Un altro tema sul banco dei negoziati è la revisione della Convenzione contro la doppia imposizione, che dovrebbe essere modificata sulla base delle norme in materia di scambio di informazioni dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico.
 
Da rivedere anche l’Accordo sui frontalieri, risalente al 1973. Il canton Ticino chiede in particolare che l’aliquota del 38,8% prelevata sui redditi dei frontalieri e retrocessa all’Italia sia ridotta.
 
L’ultimo punto dolente riguarda la presenza della Svizzera sulle liste nere italiane dei paradisi fiscali. Ciò comporta una serie di misure che penalizzano gli scambi transfrontalieri, gli investimenti diretti e l’industria di esportazione elvetica.

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