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“Nessuno ci chiede di abbandonare la nostra sovranità”

Chiarezza e precisione sono le qualità fondamentali nella diplomazia, per Yves Rossier, numero due del Ministero svizzero degli esteri Keystone

La Svizzera e il suo principale partner commerciale, l’Unione europea, discutono da anni sull’organizzazione delle relazioni bilaterali. Entro la fine dell’anno, il governo federale definirà le linee direttive per i nuovi negoziati. swissinfo.ch ne ha parlato con il segretario di Stato Yves Rossier.

Stando al numero due del ministero degli esteri, la Svizzera manterrebbe la sua libertà d’azione anche in caso di decisioni da parte della Corte europea, tuttavia dovrebbe essere pronta ad accettare possibili conseguenze.

swissinfo.ch: I media parlano di lei come di un diplomatico atipico, uno che affronta le varie questioni di petto. Si rivede in questa immagine?

Yves Rossier: Non proprio. Se ci riferiamo alla mia attività diplomatica, sarebbe opportuno chiedere ai miei interlocutori all’estero. Un importante diplomatico britannico, Harold Nicolson, affermò: “Le qualità fondamentali nella diplomazia sono la chiarezza e la precisione. Queste due sono doti apprezzate”.

L’immagine del diplomatico vestito elegantemente che mangiucchia cioccolata tenendola con le punta delle dita è un’idea distorta della realtà che appartiene al passato.

La quotidianità del diplomatico è ben diversa; è scandita da colloqui di vario genere e dalla ricerca di soluzioni. La chiarezza e la precisione sono indubbiamente utili.

Le relazioni tra Berna e Bruxelles sono complicate: mentre la Svizzera vuole proseguire sulla via bilaterale, molti nell’Unione europea ritengono che questa strada non sia più percorribile. L’UE vorrebbe che la Svizzera recepisse più celermente gli sviluppi del diritto comunitario. La Svizzera vuole evitare qualsiasi adeguamento automatico.

Tuttavia, entrambe le parti vogliono negoziare un percorso comune. Lo scorso agosto, il governo elvetico ha adottato un progetto di mandato negoziale per un accordo istituzionale con l’UE. Esso prevede che in caso di divergenza sull’interpretazione del diritto comunitario negli accordi bilaterali, le parti possano rivolgersi alla Corte di giustizia dell’UE (CGUE) di Lussemburgo per un parere non vincolante. Un comitato misto Svizzera-UE resterebbe competente per trovare una soluzione di compromesso, basandosi sul parere della CGUE. La Confederazione non vuole in ogni caso rinunciare alla propria sovranità.

L’opposizione al progetto governativo proviene principalmente dall’Unione democratica di centro, che è contraria ai negoziati con l’UE in generale. Critiche sono però giunte anche dai socialisti, che temono per il futuro delle misure di accompagnamento a tutela dei lavoratori. Per Bruxelles, alcune di queste misure sono discriminanti e costituiscono la prova che la Svizzera non applica e non interpreta il diritto comunitario allo stesso modo degli Stati membri dell’UE.

La data di nuovi colloqui con l’UE non è ancora stata fissata, ma si prevede che inizieranno il prossimo anno.

swissinfo.ch: Da un anno e mezzo riveste la carica di segretario di Stato del ministero degli esteri elvetico. È rimasto sorpreso dal quadro che si ha della Svizzera all’estero?

Y. R.: Non ho avuto sorprese. La Svizzera gode ancora di un buon nome all’estero. Siamo piuttosto noi i veri esperti nel relativizzare i nostri pregi e nel cercare i nostri difetti.

Ci sono vari motivi che spiegano il fatto che siamo ben visti all’estero. Per esempio, la qualità delle nostre imprese e l’eccellente lavoro nell’aiuto allo sviluppo. Facciamo parte di quegli Stati che sono presenti in maniera visibile nel mondo e non in forma indiretta attraverso il sostegno alle organizzazioni internazionali.

Altri due assi nella nostra manica sono il nostro sistema di formazione e quello politico, anche se non è sempre facile capire come funzionano i processi decisionali in Svizzera. I miei interlocutori si interessano spesso al sistema politico elvetico.

Mi sono anche opposto all’immagine stereotipata, a cui qualcuno si riferisce tra il serio e il faceto, di una Svizzera nascondiglio per rifugiati fiscali e fondi neri. Sfatare questa immagine fa parte del gioco ed è anche ciò che facciamo.

swissinfo.ch: Il Consiglio federale è pronto a discutere con l’UE sulle questioni istituzionali. Libertà, indipendenza e sovranità sono valori molto radicati in ampie fasce della popolazione. Il principale partito del paese non vorrebbe alcun negoziato. Il governo è invece disposto a trattare. Perché?

Y. R.: Prima di tutto non stiamo negoziando sulla nostra sovranità. Essere sovrani significa poter fare ciò che si ritiene giusto. Noi lo possiamo comunque fare. La situazione con l’UE va guardata da un altro punto di vista. L’UE ha creato un mercato funzionante. Ora, ci dobbiamo chiedere se vogliamo restare in disparte o se cerchiamo di non farci isolare. Questa è una decisione sovrana.

Possiamo sempre dire di non voler partecipare, ma allora dobbiamo essere disposti a pagare le conseguenze, soprattutto economiche, di questa decisione. Infatti, essere sovrano non significa poter fare ciò che uno desidera e credere di farla franca.

Nessuno ci chiede di abbandonare la nostra sovranità. Tuttavia, per svariati motivi, è uno scenario paventato in Svizzera. Per esempio, possiamo rinunciare in qualsiasi momento all’accordo sulla libera circolazione delle persone con l’UE, con le relative conseguenze. Siamo sicuri di fare i nostri interessi prendendo una decisione simile? Non credo proprio.

swissinfo.ch: L’Europa è il principale partner commerciale per l’industria elvetica…

Y. R.: Il nostro interesse nei confronti dell’Europa non è soltanto di natura economica. Tuttavia, è vero: L’entità degli scambi commerciali con la Lombardia è uguale a quella con la Cina. Di pari importanza sono anche quelli con la Baviera e con il Giappone. Quelli con il Baden-Württemberg sono addirittura superiori a quelli con gli USA.

Ma la questione non si pone soltanto in termini di libero scambio. Le decisioni dell’UE e degli Stati membri dell’UE sono de facto decisioni politiche. Queste ultime riguardano la politica ambientale, sociale, della formazione, e sono scelte che ci toccano direttamente.

Dal punto di vista economico lo scambio ammonta comunque a un miliardo di franchi per giorno lavorativo. Tuttavia non va dimenticata la componente umana: con 1,2 milioni di europei che vivono in Svizzera, la Confederazione contribuisce molto alla mobilità all’interno dei confini europei. Il dieci per cento di questa mobilità riguarda la Svizzera, mentre un quarto di tutti i frontalieri europei valica giornalmente i nostri confini.

swissinfo.ch: Lei si trova tra due fronti: l’uno, quello interno, che non vuole fare concessioni, l’altro, quello dell’UE che vuole invece un accordo quadro e un recepimento automatico dei nuovi sviluppi del diritto dell’UE. Qual è il suo margine di manovra?

Y. R.: L’UE non ci chiede nulla. Ci dice soltanto che ci sono alcune condizioni che dobbiamo rispettare se intendiamo continuare a prendere parte al mercato comune.

L’unico settore in cui l’UE fa pressione è quello fiscale. In questo ambito il vento è cambiato decisamente. Anche qui possiamo dire: No, grazie. Sarebbe tuttavia una decisione gravida di conseguenze. Rispetto a questo tema specifico, concordo con lei, ma per quanto riguarda il mercato comune non sono mai stati messi in dubbio gli accordi bilaterali esistenti. Tuttavia, se intendiamo accedere ad altri mercati e firmare altri accordi, allora dobbiamo discutere sulle condizioni ed è ciò che faremo. Se non vogliamo, non siamo però obbligati a negoziare.

swissinfo.ch: Il Consiglio federale ha deciso di seguire la strada dei negoziati.

Y. R.: Sì, questa è una decisione sovrana e strategica. Il Consiglio federale è convinto che lo scollamento aumenterà se non facciamo qualcosa e che prima o poi la rottura potrebbe arrivare con conseguenze pesanti dal punto di vista economico. Se si inizia a discutere soltanto quando ci si trova in una posizione difficile, allora le trattative sono molto più ardue.

Ora siamo in una posizione confortevole e siamo sullo stesso livello dei nostri interlocutori.

swissinfo.ch: Quali ripercussioni hanno per le attività della Svizzera in Mali, il sequestro e l’uccisione di due giornalisti francesi di RFI avvenuti all’inizio di novembre a Kidal?

Yves Rossier: Questo avvenimento non ha nessuno influsso diretto con le attività della Svizzera nel paese dell’Africa occidentale. L’impegno della Svizzera in Mali è diversificato. Da tempo siamo molto presenti in ambito di aiuto umanitario, cooperazione allo sviluppo e politica di pace, soprattutto nel Nord del paese. Tra l’altro, sosteniamo la popolazione locale scacciata a causa del conflitto interno.

Abbiamo continuato la nostra attività di sviluppo in Mali anche durante il recente conflitto tra il governo e i separatisti del Nord. Siamo rimasti nella capitale Bamako, una presenza sempre molto apprezzata.

Facciamo parte del Comitato internazionale di valutazione e controllo, che sorveglia il rispetto del trattato di pace di Ouagadougou. Quest’ultimo stabilisce che il Nord, dopo il cessate il fuoco del mese di giugno, sia integrato politicamente ed economicamente nel paese.

È un compito importante e di grande interesse internazionale. Il comitato deve assicurare che la soluzione trovata sia rispettata sul lungo periodo. Questo impegno deve evitare l’insorgere, com’è avvenuto in passato, di nuove rivolte.

swissinfo.ch: Perché è stato scelto il senatore Didier Berberat quale rappresentante della Svizzera nel Comitato internazionale di valutazione e controllo?

Yves Rossier: I motivi di questa scelta sono molteplici. La persona designata doveva conoscere bene l’Africa occidentale. E il consigliere agli Stati Berberat la conosce molto bene. Inoltre, Berberat ha una grande esperienza professionale e di vita. Il vissuto di una persona anziana è molto importante in Africa. Inoltre, come consigliere agli Stati ha una fitta rete di relazioni a livello internazionale e di francofonia. In sintesi: è di casa in questa parte del mondo e conosce le persone importanti.

swissinfo.ch: Un nodo cruciale – almeno per l’opinione pubblica elvetica – è legato alla questione dell’istituzione che sarà chiamata a dirimere possibili controversie. Ora questo compito spetta alla Corte europea. Quali sono le sue competenze?

Y. R.: Prima di tutto, le controversie sono appianate a livello politico, ossia da un comitato misto in cui siedono sia l’UE sia la Svizzera. Se in una disputa nascessero dubbi sull’interpretazione del diritto applicabile, sarebbe necessario chiedere un parere alla Corte europea. La Corte europea è l’unica istanza che può decidere al riguardo. Quest’ultima ha la sovranità interpretativa, così come il Tribunale federale in Svizzera.

Negli accordi per accedere al mercato comune riprendiamo il diritto dell’UE. L’obiettivo è di garantire uguali condizioni per tutti. L’uguaglianza è la chiave per accedere al mercato. Le relazioni commerciali oltre i confini nazionali devono essere il più possibile libere e aperte. Le regole sul mercato comune europeo vengono fissate dall’UE e non altrove. O accettiamo queste regole, e così abbiamo lo stesso trattamento, oppure vi rinunciamo.

Se ci fosse una controversia, dovrebbe intervenire il tribunale che ha la sovranità interpretativa sul diritto europeo per dirimere la questione. Ma come giungere a un accordo tra le due parti? La decisione politica spetterebbe a un comitato misto. Non si tratta quindi di un processo con una condanna della Svizzera. Naturalmente l’opinione del tribunale avrebbe una grande valenza, ma noi abbiamo sempre ancora la possibilità di scegliere, se auspicabile dal punto di vista politico, di non seguire un’interpretazione del diritto europeo. Tuttavia, anche in questo caso dobbiamo essere pronti ad accettare le conseguenze di questa decisione.

swissinfo.ch: Esperti di diritto hanno opinioni divergenti in merito alle competenze e all’interpretazione di possibili decisioni della Corte europea. Come si spiega queste differenze di vedute?

Y. R.: Queste divergenze di opinione possono essere spiegate così. Abbiamo tracciato le linee guida di una soluzione. In questo momento stiamo elaborando un mandato e alla fine dei negoziati ci sarà una soluzione. Solo allora sarà possibile discutere sull’argomento. Lanciarsi in interpretazioni su un tema ancora fumoso è difficile. Gli esperti di diritto non conoscono il risultato dei negoziati e nemmeno il mandato.

swissinfo.ch: Il presidente della Commissione europea José Manuel Barroso è ritenuto un amico della Svizzera. Lascerà la sua carica nell’autunno 2014. Qual è il suo orizzonte temporale di manovra?

Y. R.: Il prossimo anno si terranno anche le elezioni europee. Probabilmente sarebbe meglio se concludessimo i nostri negoziati prima che entri in carica la nuova commissione. Altrimenti rischiamo di dover rispiegare tutto dall’inizio, con una conseguente perdita di tempo.

(Traduzione dal tedesco: Luca Beti)

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