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Risveglio primaverile al Museo d’arte di Berna

Installazione di Ilya Kabakov. Kunstmuseum Bern

Con la mostra "La macchina del tempo", il museo d'arte di Berna rivisita la sua collezione e comincia a dire addio a Paul Klee.

Il nuovo museo di Renzo Piano che ospiterà le opere di Paul Klee pone una sfida fondamentale al museo d’arte di Berna: senza le opere del famoso artista fondatore insieme a Kandiskij dell’astrattismo lirico, di che cosa vivrà in futuro il Kunst Museum?

Alla riscoperta della propria identità nel contesto internazionale

L’esposizione “La macchina del tempo” (22 marzo 21 luglio 2002) cerca un punto d’uscita dal dilemma, scavando negli archivi e attingendo alla collezione permanente. Un procedere non nuovo, ma che in questo caso ha la specificità di mettere insieme opere che hanno un legame preciso con Berna, che non si trovano dunque in altri musei, ma che reggono il confronto internazionale. Ferdinand Hodler, Ernst Hodel, Albert Anker, Dieter Roth, Mereth Oppenheim, Markus Raetz sono tra i nomi chiave di questa collezione.

Quasi tutte le sale che il visitatore abituale conosceva a memoria sono cambiate. Sparita la distinzione tra arte antica, classica, moderna e contemporanea, l’intero museo si trasforma in una grande macchina del tempo in cui convivono passato e presente. E alcune di queste sale sono destinate a restare “arredate” in questo stile al di là dei quattro mesi dell’esposizione.

Carta bianca agli artisti

Alcuni artisti di fama internazionale hanno poi ricevuto l’incarico di far dialogare il proprio lavoro con quello dei maestri del passato, installando opere che vanno dal 1300 al giorno d’oggi. Franz Gertsch ad esempio dialoga con Ferdinand Hodler ed è un dialogo intriso di spunti biografici, di ricordi d’infanzia. Hodler non ci è mai apparso così vicino.

Molto personale è anche l’installazione dell’artista americano Joseph Grigely: sordo dall’infanzia, l’artista ricrea una sua “acustica visuale”. “Da bambino ci sentivo e ho continuato a ripetere il linguaggio nella mia testa e a leggere, ma cosa succederebbe se perdessi anche la vista?” mi dice. Nelle opere da lui scelte c’è sempre un riferimento al sonoro, ma è attraverso l’occhio che sono stimolati ricordo e immaginazione dei suoni.

Il colore invade le pareti

I colori classici delle pareti nei musei sono il bianco o il nero: nel museo d’arte di Berna i muri sono adesso anche rossi o verdi o addirittura marroni. Ad esempio alcuni quadri di Arnold Böklin vengono presentati con uno sfondo grigio scuro, che era la maniera in cui furono presentati all’epoca (1886-87). La sala che ospita dipinti della scuola del “Blaue Reiter” è invece di un bel giallo acceso. Il tema centrale del Baue Reiter era proprio il colore.

La fine della cronologia

Il visitatore è invitato a trovare un filo conduttore e un ordine che non essendo cronologico è più o meno nascosto. Se si accostano Fra Angelico, Francisco Goya, Raymond Pettibon, Ilya Kabakov e antichi maestri bernesi anonimi, tanto per fare alcuni esempi, il percorso diventa molto più aperto. E non manca naturalmente la multimedialità. Lungo la passeggiata si incontrano diverse installazioni sonore di Dieter Roth, proiezioni di diapositive che ricordano le passate esposizioni e un’interessante installazione dell’artista tedesca Anna Anders che filma i sorveglianti delle sale del museo. L’auto-riflessione sul museo come istituzione si fa totale.

Aspettando il nuovo direttore, Matthias Frehner, che entrerà in carica in estate, il Museo d’arte di Berna si lancia dunque in una primavera avventurosa. Come ricorda il responsabile dell’esposizione attuale, Ralf Beil, alla fine del romanzo pioniere del genere fantascientifico, il protagonista di Time Machine trova un grande museo nascosto e lo fa venire alla luce con piccoli mezzi, dei fiammiferi. Il futuro del Museo d’arte di Berna comincia così.

Raffaella Rossello

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